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Con la Bianchi sulle Ippovie tra le Case sparse del Cormor

 |  Redazione Sconfini

In onore di quest'estate che tarda a decollare mi sono comprata una bici degli anni '50, una di quelle con i freni a bacchetta. Con 40 euro ho realizzato il sogno del viaggio comodo su due ruote. Ruggine a parte, è il mio trono d'osservazione ambientale, che questa volta mi ha accompagnata in un percorso naturalistico veramente speciale.

 

Da qualche tempo girava voce di nuove piste ciclabili da Udine a Pagnacco (a 10 chilometri da Udine), ma nessuno ne sapeva nulla di preciso. Dall'autostrada e dalle provinciali della zona si vedevano invitanti strade bianche mai notate prima e animate da pedoni e ciclisti anche durante i giorni feriali.

 

Grufolando il territorio per capire meglio la situazione, ho scoperto in anteprima sul suo completamento, ma in ritardo di cinque anni sulle sue intenzioni, il percorso naturalistico In@natura, una trentina di chilometri lungo la Valle del Cormor attraverso i comuni di Tavagnacco, Pagnacco, Tricesimo, Colloredo di Monte Albano, Cassacco, Treppo Grande e Buia. "Ah... ma lei intende il progetto delle Ippovie?". "Può darsi... se sono le strade di campo dal Parco del Cormor a Pagnacco...". "Sì, sì... vanno fino a Buia... è il nuovo progetto Ippovie: strutture di collegamento e valorizzazione turistica della Valle del Cormor".

 

Finalmente una notizia concreta dopo tanto vociferare. "Avete una mappa, qualcosa?". "Certo, abbiamo i prospetti completi di cartina". Che dire, non speravo tanto e quindi, sempre con la mia Bianchi del dopoguerra (devo ricordarmi di metterci delle margherite bianche plastificate sul manubrio), mi precipito a Tavagnacco, capofila del consorzio dei sette Comuni promotori del progetto.

 

Mi godo virtualmente il tragitto nella sua totalità e faccio altre due scoperte.

Una riguarda il sentiero naturalistico gemello in Slovenia. Le Ippovie slovene vanno dal maneggio Pristava Lepena vicino a Bovec e scendono lungo la Valle dell'Alto Isonzo fino al maneggio Turisticna Kmetija Pri Flandru, passando per Tolmin. Sulla cartina slovena non si vedono autostrade, solo una linea marrone con simboli di cavalli, mountain bike e due gambe. Una mancanza colmata dall'A23 friulana che accompagna le Ippovie per lunghi tratti.

 

La seconda sorpresa è che il tam tam è stato più veloce dei lavori di adeguamento e ha portato in anticipo un sacco di gente fra le strade storiche e rurali delle Ippovie. L'idea di riqualificarle è una piacevole sorpresa, sembra più teutonica che italiana. Senza offendere i più sensibili, di solito in Italia cemento è sinonimo di pulizia e progresso...

 

Domenica 13 maggio.

Con la Bianchi adagiata comodamente nel bagagliaio dell'auto, guido per una ventina di minuti, fermandomi ispirata a Vendoglio (un chilometro da Colloredo di Monte Albano). Scarico la super bici e insieme ce ne andiamo verso Colloredo. A ridosso del torrente Cormor, a pochi metri dal camposanto, sulla sinistra, imbocchiamo la strada bianca che ci hanno indicato in paese. È facile da individuare, corre nel bosco collinare parallelamente al torrente e all'imbocco c'è un pannello in legno ancora vergine, che fra un po' probabilmente ospiterà la cartina dell'intero percorso.

 

Da qui si pedala nel sottobosco su sentieri che fino a un anno fa erano di fango, usati solo dai trattori e dalla gente del posto. Ora per terra c'è la ghiaia sparsa sulle carreggiate allargate, con i fossi per l'acqua piovana e qualche pala meccanica ferma, in attesa del lunedì per ricominciare a liberare le vie dalle sterpaglie.

 

Sole, campi coltivati, gelsi carichi di scure more mature a bordo strada. Non un palo della luce, niente tralicci né orrendi capannoni, solo persone che passeggiano o si fanno il giro su due ruote. Per qualche chilometro sembra di stare su un altro pianeta, poi s'intravedono alcune case di un borgo e sbuco su una stretta strada asfaltata.

 

E adesso? Da che parte? La segnaletica ancora manca e quindi mi oriento a logica. Leggo "Via Case Sparse del Cormor" che da Colloredo porta a Tricesimo. Giro a sinistra in direzione Tricesimo e dopo qualche metro, superato il ponte sul Cormor, prendo a destra, dove m'imbatto in una famiglia super bardata. Sono spiazzati, vengono da Tavagnacco e non sanno da che parte proseguire. Indico loro la strada lasciata alle spalle e poi la signora chiede candidamente: "Ha visto per caso delle aree attrezzate finora?"... Guardo i prati verdi spruzzati di papaveri rossi che ci circondano. Poi sposto lo sguardo bovino su di lei, bofonchio un no asociale e continuo tra lo stupito e l'infastidito il mio viaggio.

 

Ancora non sapevo che mi aspettavano un centinaio di metri proprio brutti, un tratto sul quale hanno adagiato l'autostrada, un'intrusa rumorosa a circa 10 metri sopra la mia testa. Pedalo più in fretta per allontanarmi al più presto.

 

Dopo poco l'Ippovia ridiventa umana, lo conferma il puzzo di cacca di gallina... Ma guarda chi c'è... sempre loro, le tecnobici stese a terra e i loro conducenti intenti a spigolare le more di un grosso gelso stranamente isolato dai compari. Come avranno fatto ad arrivare prima della mia Bianchi, pedalando in direzione opposta poi, è un mistero. Passandoci davanti non mi trattengo: "Sarà meglio di un'area attrezzata, no...". Sono simpatici e la prendono bene, col sorriso.

 

La fatica stranamente non si fa ancora sentire nonostante i saliscendi collinari, e al guado sul Cormor, indicato e in bella vista, prendo a destra entrando nel folto bosco.

Non so se ho fatto bene, considerando la salita infinita che mi si para davanti. Sono costretta a scendere da cavallo. Questa volta, però, ne vale la pena. Ad un certo punto, infatti, mi appare una pozza d'acqua verde, sembra profonda, come avverte il cartello di pericolo dell'azienda agricola Frangipane affisso a un enorme tronco d'albero.

 

L'acqua sgorga nella pozza per proseguire in un rigagnolo. Un lato è delimitato da due grosse pietre rettangolari leggermente inclinate, che ricordano i vecchi lavatoi in pietra. Forse lo erano davvero. Sembra essere stato un posto conosciuto e frequentato sia per la struttura della vasca naturale, sia per lo spazio circostante, compreso il pietrone squadrato sul quale sono seduta io.

 

Proseguo di malavoglia sempre con bici al traino. Se solo avessi avuto un binocolo per osservare meglio il panorama che si apre appena finito il bosco: la città di Udine, Castello e antenna Rai di via Baldasseria compresi.

 

Non capisco immediatamente dove sono, poi riconosco Fontanabona di Pagnacco: questo significa che ho percorso otto chilometri e, siccome li ho fatti quasi tutti in discesa, decido di rientrare per limitare la salita. Esco dalle Ippovie e prendo la strada statale che porta a Vendoglio attraverso Brazzacco. L'idea è di ritornare via asfalto, mi sembra la soluzione più semplice o semplicemente meno disumana. Arrivare, infatti, in cima al colle sul quale sorge Brazzacco è dura. Sul cucuzzolo, però, mi saluta uno striscione di benvenuto, che annuncia l'inaugurazione dei sentieri naturalistici battuti pure dall'esploratore Pietro Savorgnan di Brazzà, che ha dato il nome al paese.

 

Una famiglia piena di storia e di storie come quella raccontata da una pronipote dei Brazzà, la scrittrice Idanna Pucci, alla presentazione del suo libro sulla bisnonna Cora. Ricordi usciti da un baule narrano la vita della prima donna a contestare la pena di morte negli Stati Uniti. Deve essere stata un personaggio. Non potrei definire diversamente una nobildonna che dopo aver letto su un giornale americano che le arrivava in abbonamento (siamo nell'Ottocento in un borgo agricolo!) della prima condanna a morte di una donna, un'immigrata italiana di New York, fece i bagagli e se ne partì per gli Stati Uniti a difendere questa ragazza. Ancora più stupefacente è che vinse la causa.

 

La fatica mi distoglie, però, dai miei pensieri e mi riporta alla realtà, manca ancora poco. Negli ultimi due chilometri mi conforta solo il miraggio della macchina che mi aspetta paziente in lontananza.

 

Ivana Macor

 


In collaborazione con Help!

 


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