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Ovasta, tra papaveri e pomi di terra

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Uno, due, tre… otto, nove… dodici, tredici e quattordici, o forse quindici moto e sidecar probabilmente della Seconda guerra mondiale, targhe tedesche e lussemburghesi, superandoci salutano con una complicità tra lontani parenti.

 

Molto lontani visto la bardatura che ci portiamo addosso. Proprio italiani arcobaleno: la Vespa del ’56 verde bugesa, caschi bianchi e giallo fastidio, vista la giornata fresca anche un’abbondante giacca a vento leggera giallo canarino, scarpe da ginnastica rosso acceso; la sobrietà nera è esclusiva del capo vespista. C’è un che di piacevolmente perverso nell’essere fuori luogo, a volte.

 

> CATERINA LA GRANDE

“Vi vengo a prendere? Che macchina avete?”, “Siamo in Vespa, ma siamo già ad Ovaro, fra dieci minuti siamo da te”. Caterina si mette a ridere… “fate con calma” dice. Ha ragione, avevamo appuntamento per le undici, ma tra una tappa e l’altra è arrivato mezzogiorno inoltrato.

 

Non si può mai fare una stima precisa con la bugesa. È un gioiellino, lei, ma se si ferma ai semafori, agli stop o per fare benzina, riaccenderla non è un’operazione veloce. Bisogna sempre e comunque togliere prima la candela e pulirla, e quando è stanca e surriscaldata, fermarsi e attaccargli il pippolo della candela che si libera con troppa facilità. La mitica bugesa è comunque una certezza a 40 chilometri orari, un captatore di immagini e sensazioni insuperabili e un passe-partout all’interno dei confini carnici. Si inerpica per i tornanti, e ce la fa senza alleggerirla di un passeggero.

 

Caterina ci vede da lontano, saluta dalla cima dell’altura e ci viene incontro. Parcheggiamo all’inizio di una discesa, così poi basterà spingere per metterla in moto, candela permettendo. La padrona di casa ci fa strada lungo il sentierino fino all’orto e al giardino curatissimi dai quali si ammira parte del paese e l’intera vallata, compresi Luincis, Clavais, Liariis e Lenzone.

 

I boschi a perdita d’occhio sono il suo regno. Caterina abita da sola a Ovasta da 13 anni. Ogni mattina, da aprile a novembre, parte alle cinque e ritorna solo verso mezzogiorno, non senza essersi portata a casa un cesto di funghi. È un’esperta. “Una volta – racconta – rimanevo fuori fino alle sei del pomeriggio, ma adesso le gambe non ce la fanno più”. Una settantina d’anni portati con eleganza e bellezza da questa donna. “Conosco ogni sentiero – aggiunge Caterina – e sto bene in mezzo ai boschi, da sola. Non amo molto la compagnia, sono un orso”. Lo sguardo è caldo, ironico, sincero. “Trascorro il mio tempo passeggiando, raccogliendo funghi, curando le mie piante e il mio orto, leggendo e ogni tanto cucinando per gli amici che mi vengono a trovare”, conclude Caterina.

 

Entrando in casa si rimane ammirati dalle decorazioni e dalle composizioni in stoffa e fiori secchi fatti da lei: “I sutu, quant che no si sa ce fa…” (trad. “Cosa vuoi, quando uno ha tanto tempo da non saper cosa fare…”). Il quadro di legno con fiori in tela di sacco a rilievo, marrone su bianco, in camera da letto, è frutto di fantasia, estro e una fine lavorazione artigianale. A lei però non interessa vendere le originali creazioni frutto di una fine lavorazione artigianalesue idee, si limita a fare le sue creazioni per amici e conoscenti che glielo chiedono. Caterina è ormai di casa ad Ovasta, ma “sono sempre una «foresta» (una straniera, una che viene da fuori, ndr), meglio andare da Gigi, che ci racconta un paio di storie, va”.

 

> ALLA CORTE DEI DE CORTE

La signora Licia gestisce il bar-alimentari di questo paese di 170 abitanti, dove però non è ancora comparso Gigi a bersi un taj (bicchiere di vino). Meglio andarlo a trovare, Luigi “Gigi” de Corte, uno dei Feudatari Gismani della Carnia, come si legge sulla facciata della casa di famiglia, “Cjase de Cort”.

 

La splendida costruzione rimessa a posto nel 2000 risale al 1736. “è stata costruita da Pietro de Corte, cramâr a Edemburg (l’attuale Sopron, in Ungheria)”: a parlare è Luigi de Corte, un ottuagenario dallo sguardo acuto, appassionato di storia e di storie, una fonte inesauribile di informazioni e documenti antichi anche per professori e studiosi vari che si rivolgono a lui per le loro ricerche. Come dargli torto con una casa di famiglia che è una sorta di museo attivo in progressione.

 

“I miei antenati”, dice indicando alcuni ritratti austeri, sguardi ad olio di trisavoli e bisnonni presenti oltre la memoria. “Qui, invece, siamo io, mia moglie e i miei due figli”: i dipinti sono addobbati da fotografie e rallegrati dai disegni dei nipotini. “E questo – aggiunge – è l’angolo più antico della casa, risale al 1430”: la cantina a volte basse dove poter affettare del salame magari seduti sulla panca del 1600 firmata GC (Giobatta Cussina), un lontano parente del nostro cicerone.

 

> TRA PAPAVERI E POMI DI TERRA

Pareti intrise di storia antica e recente conservata in parte nelle carte della biblioteca, dove riposano in buona salute, tra gli altri, tutti e 18 i volumi della “Storia d’Italia” del Guicciardini o il primo dizionario italiano in formato tascabile, sorvolando su romanzi, documenti, articoli e approdando a un libello intitolato “Pomi di terra”, le Erdäpfel austriache, le Kartoffeln tedesche, insomma, le patate italiane, comprate in prova e quindi introdotte ad Ovasta dai de Corte nel 1752… “le si comprava a un centesimo e mezzo al secchio allora”.

 

Dalle carte impolverate riacquistano colore e consistenza i personaggi passati da questa casa. Qui i paracadutisti americani hanno portato in regalo scatolette di cibo e all’adolescente Luigi caramelle, piccole, dolci, colorate, non la solita fetta di polenta con lo zucchero. Braccati e isolati, venduti dai nazisti, combattuti da alleati e partigiani, in questa corte hanno trovato riparo tla Casa del regalo, ex stazione ferroviaria di Ovarore cosacchi con il loro pesante destino. “Avevo 14 anni – racconta Gigi de Corte – e dormivano da noi. Sono rimasti parecchio tempo, poi verso il 22 o 23 aprile del ’45 sono arrivati i partigiani e i tre cosacchi se ne sono scappati. Non so che fine abbiano fatto, ma uno l’ho visto io morto per strada il 2 maggio, gli altri due, chissà”.

 

> L’ANTICA FERROVIA DI DAVÂR (Ovaro)

A questa dura battaglia tra partigiani e truppe cosacche in ritirata è dedicata la via principale di Ovaro, poco a valle, lungo la quale abbiamo lasciato la bugesa per farci un panino carnico farcito e un buon caffè corretto, e chiacchiere. Una signora ha la “D” morbida e una dolce cantilena quando racconta in italiano della ex ferrovia di Ovaro: “Andava da Tolmezzo a Comeglians fino a poco dopo la Seconda guerra mondiale, poi basta”. “E dove passava?”, “Proprio qua sopra – risponde un signore sulla sessantina – e la “Casa del regalo” era la vecchia stazione ferroviaria”, una semplice costruzione in cima a una ripida scalinata, che finisce su una strada asfaltata di fresco, un tempo probabilmente sede dei binari. “Per saperne di più deve chiedere ai vecchi”, mi consiglia l’uomo. Sono perplessa, l’attimo fugge e loro perdono interesse per la mia curiosità, si girano e continuano a chiacchierare col taj di blanc e le birute frescje in buîna companja (trad. bicchiere di vino bianco e birretta fresca in buona compagnia) senza degnarmi più di uno sguardo.

 

> UN DISTACCO FLATULENTO

Cercando di superare il trauma, dopo aver ingurgitato anche una cioccolata calda contro l’aria pungente nonostante il sole, inforchiamo la bugesa, riprendendo a spinta la via del ritorno. Salutiamo per ultimo l’altero guardiano della valle, il palazzo dei Micoli Toscano, un tempo residenza dei signorotti della zona. Ma man (trad. ciao)… squatch… sprot… La “Casa delle cento finestre”, come chiamano il palazzo, assiste con distacco alla partenza poco elegante della Vespa scoppiettante… squatch… sprot… lei che troneggia signorile su questi borghi e sui suoi abitanti da quando i “toscjans” (trad. toscani), approdati in Friuli dopo la fuga dalla peste che stava devastando la loro regione, decisero di costruirla. Ci dispiace. Ma Man… squatch… sprot.

 

> COME ARRIVARCI

Imboccare l’autostrada A23 Palmanova-Tarvisio fino all’uscita Carnia, procedere per la statale 52 Carnica in direzione Tolmezzo fino a Villa Santina e da lì prendere la statale 355 Val Degano.

 

> CHI CONTATTARE

La “Casa delle cento finestre”, con il suo lucido tetto di tegole verdi ricavate dall’antica fornace dei Felice di Cella, e la “Cjase de Cort” sono residenze private, ma è possibile visitarle su appuntamento rivolgendosi all’Associazione turistica Pro Ovaro telefonando allo 0433.67223, che sarà a disposizione anche per informazioni sulle altre bellezze di Ovaro e delle sue tredici frazioni. 

Ivana Macor

 

Il lancio “des cidules”

Il “Tîr des cidules” o “des cjdulos” o “das cidules”, a seconda della zona, è un rito di origine antica probabilmente risalente al culto del fuoco, di derivazione celtica. “Les cidules”, rotelle di legno di faggio, vengono arroventate sul fuoco e poi lanciate da un’altura con messaggi di rito che segnalano le varie coppie di giovani del posto. “O mia bella cidulina in onore e in favore di … (nome della ragazza) che … (segue l’augurio)”: questa più o meno la formula tradotta dal dialetto.

I “coscriz” (le reclute, prima dell’abolizione della leva) salgono sul monte e vi accendono un falò. Quindi proclamano le coppie di nubili e celibi di ogni età con un misto di battute rituali e ironiche filastrocche pronunciate ad alta voce per l’intero paese. Alcuni partner possono essere accoppiati burlescamente o possono venir pronunciati auguri improvvisati su un altro argomento. Ai presenti, nelle cerimonie autunnali e invernali, si offre vin brulé (vino caldo aromatizzato) e, a volte, anche polenta e salsiccia. Dall’altura, intanto, rotolano i ciocchi di legno, e dal loro percorso si traggono auspici sulle unioni amorose. Se, per esempio, il tizzone si avvicina alla casa della ragazza nominata, entro un anno ci sarà il matrimonio.

Ogni zona della Carnia celebra il “Tîr des cidules” in diversi momenti dell’anno e con varianti locali. Si consiglia di rivolgersi alle varie Pro Loco per le date dei numerosi appuntamenti. In Val Degano abbiamo scelto Lauco: martedì 30 ottobre 2007 a Buttea di Lauco; mercoledì 31 ottobre 2007 in località Pesmolet di Lauco; sabato 15 dicembre 2007 a Lauco. Tutti e tre gli appuntamenti hanno inizio alle 20.30 (info: Ufficio Parco Colline Carniche, tel. 0433.74040).

 

  


In collaborazione con Help! 

  

 


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