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Aquileia: dal Banco d’Orio al Porto Buso

 |  Redazione Sconfini


Una e-mail dall'Argentina e all'improvviso la pigrizia si trasforma in energia investigativa. Patricia Matilde Macor abita a Tucuman e rappresenta la terza generazione di emigrati friulani che se ne andarono a cercare fortuna in Brasile e che lì rimasero.

Forse siamo parenti o forse no, ma la provenienza è la stessa, Aquileia, e il cognome pure. È affascinante pensare che, nascosto in un ramo genealogico, abbiamo un antenato in comune.

 

Come procedere con l'indagine? Abbiamo il nome del nonno e la sua data di nascita, quindi non ci resta che andare all'ufficio parrocchiale e farci dare un estratto di nascita. Prima del 1922, infatti, gli unici archivi dei nati, dei morti e dei matrimoni era tenuto dalla Chiesa. Una scampagnata fra i ricordi che mi fa ritrovare il mio trisnonno Francesco, classe 1868, e che mi delude su una mia possibile parentela con Patricia. Don Pino sostiene che se si procedesse a ritroso per un altro paio di secoli, scopriremmo sicuramente l'anello di congiunzione dei Macor, ora rovinosamente separati. Purtroppo i dati anagrafici dei miei nonni sono una gruviera, le speranze sono poche. Per digerire la notizia, decido di approfittare della bella giornata e di farmi un giro in solitaria nel paludo di Aquileia fregando la bici (ahimè quanto sforzo quest'oggi) ai miei.

 

Citando la rubrica della Settimana enigmistica "Forse non tutti sanno che", Aquileia non solo è una splendida città romana, salvata in parte dalla cementificazione stupida grazie ai vincoli archeologici delle Belle arti, ma è anche il territorio affacciato alla laguna, bonificato per diversi chilometri quadrati, che per i patiti delle strade bianche e delle due ruote significano chilometri di pedalate in un paesaggio libero verso il mare.

 

A partire dai Romani, proseguendo con Maria Teresa d'Austria fino ad arrivare al primo Ventennio, si sono recuperate dall'acqua vaste zone agricole che, a guardarle, sembra non siano state alterate dal tempo. Rinuncio senza combattere al giro lungo attraverso le località di Trebano, Pantiera, Carrette, Ca' Ospitale, Panigai e IV Partita, che si raggiungono superando il ponte delle Vergini di Aquileia vecchia, preferendo il Peep (zona nuova) e la bonifica di San Marco. Il sentiero, breve e indolore, lascia sulla destra la Marina di Aquileia, costeggia l'argine del Natissa, supera l'idrovora Ca' Padovan, e arriva a quello che conosco come il Muntunùs. Quando ero ragazzina ci venivo d'estate a prendere il sole e a fare il bagno... se ci penso mi vengono i brividi.

 

Una cosa è godere del panorama incantato del Natissa che sbocca nel canale della Teiada, dei casoni sonnacchiosi, degli isolotti spelacchiati, della luce magica che si riflette sull'acqua, del silenzio stordito dalle cicale, un'altra è farsi scarnificare dalle frotte di moscerini in assetto di guerra e sprofondare nella melma fino alle caviglie nel tentativo di un breve refrigerio agostano.

 

Da qui in avanti si apre il regno delle acque raggiungibile solo con le imbarcazioni. È il mondo di Caterina, custode del primo casone che s'incontra uscendo nel canale della Teiada a una decina di metri dalla sponda del Muntunùs. Il confine tra la provincia di Udine e quella di Gorizia passa proprio da qui.

 

Caterina, faccia scolpita dal sole, sorriso aperto, ridanciana, energica e amante del vino, ci vive assieme al marito per buona parte dell'anno, offrendo a parenti e amici ottime paste al nero di seppia o pescato casonaro. Sorprende scoprire che in questo posto non c'è corrente elettrica né acqua, e che il bagno è naturale e scarica direttamente in laguna. Caterina ha però un generatore elettrico per ogni evenienza e una riserva notevole di bottiglie d'acqua. È un luogo incredibile, vicino e allo stesso tempo lontano dal XXI secolo.

 

Con la bella stagione, gli aquileiesi spolverano le imbarcazioni e incominciano le prime escursioni lagunari. Classiche mete sono il Banco d'Orio, una striscia di sabbia splendida che una violenta mareggiata ha ridotto drasticamente qualche anno fa, e Porto Buso, l'isola distrutta da Attila.

 

Solo per pochi eletti non può mancare la sosta da Caterina. Anche appiedati non c'è problema, perché basta arrivare fino al Muntunùs, strillare per avvertirla e lei monta sulla "batela" a motore e gimcanando ti viene a prendere. La posizione del casone è strategica, di lì passa infatti il traffico nautico in entrata e in uscita da Aquileia, ma alcune volte può essere uno svantaggio, specie in piena estate.

 

Il benessere ha reso accessibile la barca a quasi tutti: il pacchetto sfortunatamente non comprende il buon senso, il che significa che sistematicamente la tronfiaggine di alcune persone e la leggerezza di altre fanno saltare i limiti di velocità sul fiume. Molti confondono Grado con la Florida, altri ritengono di essere gli unici beneficiari della laguna, altri ancora non sanno di esistere. Ad ogni modo, quando qualcuno sfreccia, l'acqua s'infastidisce e rigurgita forti ondate sulle sponde facendo sbattere le "batele" legate nel porticciolo, tralasciando ovviamente il fastidio del rumore e dell'odore di benzina bruciata. Caterina a volte ha pazienza, altre volte gesticola platealmente per far rallentare e alla decima barca esplode mandando orrende, ma colorate maledizioni, verso gli stolti.

 

Chi non è attrezzato può decidere di guardare il mondo da un'altra prospettiva con i traghetti turistici che partono da Grado e girano comodamente per la laguna; per gli altri, sarebbe un'idea quella di scivolare silenziosamente con la canoa sulle calme acque tra una secca e l'altra, sperando di incontrare qualche airone cinerino o di scorgere cespugli di "fiuri de tapo", i fiori lilla che crescono sui tapi, gli isolotti che sbucano dalla laguna. Sottinteso: guardare e non toccare.

 

Ivana Macor

 

 In collaborazione con Help!

 

 


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