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Test genetici e salute: il nostro destino è già scritto?

 |  Redazione Sconfini

La genetica contemporanea deve trovare nelle scienze sociali alleanza e collaborazione per dare più informazioni e in forma congrua. Questo il punto fermo del workshop organizzato a Trieste nell’ambito europeo bid-brains in dialogue coordinato dalla Sissa in collaborazione con Paolo Gasparini dell’ospedale Burlo Garofolo e l’Università di Trieste.

Si è discusso sul tema “Dna e salute: il nostro destino è scritto nei geni?” delle sfide etiche e sociali collegate, indagato e valutato in merito alla rappresentazione mediatica, la percezione e l’impatto di un argomento così delicato.
Le ricerche di genetica molecolare a partire dal sequenziamento del genoma umano del 2001 sono progredite fino alla scoperta di numerose mutazioni associate a malattie, allo stato di portatore, a volte alla sola predisposizione ad ammalarsi. Queste ricerche sono state la base per la messa a punto di test genetici, ossia di esami in grado di individuare specifiche varianti nella sequenza del Dna associabili allo stato patologico.
Si è a conoscenza che malattie come l’Alzheimer e il Parkinson hanno una base genetica, specie quando presentano familiarità. Per quanto riguarda le patologie multifattoriali non si conoscono tutti i geni coinvolti: nel caso delle due malattie in particolare, quelli già identificati non determinano con certezza la comparsa della malattia ma solo una maggiore predisposizione a svilupparla (test predittivi). Nel caso di patologie a trasmissione mendeliana (cioè determinate da un unico gene e in cui i figli di una persona portatrice hanno il 50% di probabilità di ammalarsi) il test permette, nella stragrande maggioranza dei casi, di conoscere con certezza il proprio destino e, da alcuni anni, anche la fascia di età in cui compariranno i primi sintomi.
I test genetici, da quelli per patologie puramente ereditarie quali la Corea di Huntington ai test di suscettibilità per patologie multifattoriali di diversa gravità, come i tumori e le demenze più comuni, sempre più sollevano questioni controverse e complesse: problemi legati alla scelta individuale, alla medicalizzazione della vita, alla brevettabilità dei test genetici, alla diffusione di informazioni non corrette.
Test genetici sono disponibili nella pratica clinica per più di 1.300 patologie e molti altri stanno per essere introdotti. Molti di questi test costituiscono un business e la qualità dell’offerta non è sempre verificabile: già proliferano laboratori che offrono le analisi più disparate mentre in rete si promette di svelare, attraverso il Dna, quale sarà il nostro destino non solo per via delle patologie future, ma persino dei talenti individuali. Calcolare il rischio di sviluppare una determinata malattia non è una scelta neutra: solleva questioni che interessano l’individuo nella sua unicità e identità, dell’oggi e per il futuro. Per il ricorso sempre più diffuso, quindi, non ci si può non interrogare quale sarà l’impatto sulla sanità pubblica.
Certo è che per quanto riguarda le suddette patologie neurodegenerative, una volta che un individuo ha scoperto di essere più a rischio della media della popolazione, non può fare molto né per prevenire l’insorgenza della malattia né per rallentarne il decorso. Si tratta infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, di patologie a comparsa tardiva: tra il risultato del test e le prime manifestazioni del male possono passare anche decenni. È utile essere informati sui rischi genetici, anche quando non ci sono cure? Alcuni scelgono di non sapere: Verena Schmocker, paziente svizzera affetta dal Parkinson, ricorrente nella sua famiglia, ha organizzato e vissuto la sua vita giorno per giorno, senza ricorrere al test. Altri trovano nella certezza della diagnosi la forza per concedere a sé e ai propri affetti le opportunità temporanee che la vita gli offre.
Ma che cosa diagnosticano esattamente questi test? È vero che il nostro destino è scritto nei geni? Non esattamente: le cause delle malattie più frequenti nei Paesi industrializzati sono riconducibili a più di un fattore causale. Ci sono anche malattie genetiche monofattoriali nelle quali la presenza di uno (se dominante) o due geni mutati è causa necessaria e sufficiente a determinare la malattia: perfino per queste malattie l’espressione e la gravità dei sintomi possono variare anche in misura notevole da un paziente all’altro.
La diagnosi genetica è una procedura complessa per la maggior parte delle malattie più diffuse e i dati genetici, una volta conosciuti, richiedono l’interpretazione e la mediazione di un esperto, ossia di un consulente genetico. Solo il genetista è in grado di valutare gli specifici elementi emersi dai test e di correlarli con altri esami e con l’anamnesi del paziente: a volte potrà individuare un aumentato rischio di malattia suggerendo le misure idonee per la prevenzione o la diagnosi precoce; a volte non avrà evidenze significative e potrà rassicurare il paziente, suggerendo comunque la necessità di uno stile di vita sano e un’indagine continuativa nel tempo nell’ottica della diagnosi sempre più precoce.
Quando i test genetici rivelino una condizione patologica non suscettibile di trattamento o non a prognosi favorevole, le informazioni, per le loro conseguenze dirompenti, vanno comunicate dallo specialista con la dovuta cautela e assistenza psicologica che permetta di accettare una “diagnosi genetica” senza che questa venga percepita dal paziente come una “prognosi infausta” quando, magari, sintomi temuti non sono ancora presenti.
Può sorgere il sospetto che l’offerta di test sia più funzionale alle logiche di mercato delle aziende che a quelle di salute e di prevenzione per il cittadino? Non quando la diagnosi genetica è necessaria per la diagnosi di malattia e a volte anche per il trattamento, come nel caso della farmaco-genomica, cioè della medicina personalizzata in base al profilo genetico. È emersa un’unica certezza condivisibile dai più: è utile prevedere ciò che si può prevenire o curare in qualche misura.
I risultati dei test genetici sono dati sensibili, la cui conoscenza non autorizzata può dar luogo ad abusi, discriminazioni e pregiudizi sul posto di lavoro, nella società, persino in famiglia. Senza sottacere di possibili derive eugenetiche e razziste, spettri mai definitivamente sconfitti né dalla cultura né dall’etica.


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