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Coceanzi: un castagno monumentale aspetta le Krivapete

 |  Redazione Sconfini

È un venerdì pomeriggio di metà novembre e non voglio perdermi gli ultimi raggi di una splendida giornata di sole autunnale: devo assolutamente battere il freddo e la pioggia sul tempo, e sfruttare questi 18°C. Mi continua a ronzare un pensiero, non mi abbandona, vado in fibrillazione. Devo fare qualcosa perché altrimenti rischio di diventare attiva e, francamente, non mi sembra una possibilità da prendere seriamente in considerazione. Mi chiameranno signorina pigrizia pur per qualcosa… ho una reputazione da difendere.

 

Mi concentro meglio e metto a fuoco il pensiero. È tempo di fare una gita, e la leggenda che ho letto qualche tempo fa sulle Valli del Natisone m’ispira la meta: «Una volta, tanto tempo fa, gli abitanti delle Valli erano poco ingegnosi. D’estate quando gli abitanti di Sorzento andavano a prendere l’acqua alla sorgente di “Tarnje”, scorgevano in lontananza qualche Krivapeta che si lavava i piedi. Tutti sapevano che queste conoscevano cose che nessun altro al mondo sapeva e così molte volte gli uomini si rivolgevano a loro da lontano perché svelassero qualche segreto. Ma invano. Un giorno un uomo vide una Krivapeta che dormiva sotto un castagno, prese una corda, la legò e la portò in paese dove tutti le si avvicinarono per farle domande. “Vi insegnerò tutto se poi mi lascerete libera”. Gli abitanti accettarono e così la Krivapeta iniziò a insegnare a fare il burro, a cuocere la gubana, a cucire le pantofole, a intrecciare i cesti e affilare i coltelli. Fatto questo la Krivapeta chiamò tutti i paesani e disse: “Adesso che vi ho insegnato tutto quello che sapevo, dovete lasciarmi libera”. Quando fu liberata, corse verso la montagna e gridò: “Vi ho insegnato tutto, ma non a fare lo zucchero”» (Aldina De Stefano, Tesi di laurea: Le Krivapete delle Valli tra storia e leggenda, Università degli Studi di Urbino, Anno Accademico 1998-99).

 

E quindi, mi sembra ovvio, come le Krivapete andrò alla ricerca di un castagno. E non uno qualunque, perché la storia mi ha ricordato un bosco particolare, quello di Coceanzi. Chissà che lassù non riesca a respirare la magia dalla quale sono nati i racconti e i loro personaggi.

Partendo da Udine imbocco la strada statale per Cividale, supero la Forum Iulii longobarda e proseguo verso Pulfero. Tra San Pietro al Natisone e Pulfero in località Tiglio giro a sinistra prendendo la provinciale in direzione Tarcetta e, attraversato questo piccolo paese, punto verso Antro e la collina. Lasciata la famosa grotta di San Giovanni d’Antro a sinistra, dopo qualche minuto arrivo ad un’indicazione sulla destra che dice Sosgne, con una stradina stretta e ripida che s’inabissa nelle sterpaglie lasciando intravedere qualche tetto. Non c’è posto per parcheggiare fuori, e così decido di non fermarmi a curiosare. Ancora qualche centinaio di metri e mi compare il cartello Coceanzi. Sono sorpresa: solo 2,5 chilometri da Tarcetta, è veramente vicino. Mollo l’auto appena trovo un piccolo slargo fra le prime case del borgo e m’incammino verso la strettoia e il tornante che si arrampica verso l’ultimo borgo. Assieme Coceanzi, Cedermas, Florim, Parmirzi, Dorboli e Sosgne formano Pegliano (Ofijan), nome collettivo e non paese vero e proprio, tutti appartenenti al comune di Pulfero.

Qui il sole, nonostante siano appena le 14.30 o giù di lì, già si fa timido, illuminando però generosamente l’altro lato della vallata, che si apre suggestiva. Nel breve tratto a piedi incontro galline e galli che occupano la carreggiata. Cerco di far circolare, ma non mi danno proprio retta: sono loro i padroni della strada assieme a diversi cani che scorazzano fra le strade bianche dei sentieri e le abitazioni del borgo.

 

Vedo immediatamente il cartello che indica la mia meta, il castagno tricentenario. Prendo la direzione indicata, ma ho voglia di parlare e così disturbo una ragazza in giardino scatenando anche i suoi due cani da caccia, ai quali non risulto simpatica. Lei, invece, è gentile e mi accompagna per un pezzetto, cercando di ricacciare in casa le due bestie, indecise tra l’ubbidienza alla padrona e l’astio verso di me. Sono poche le famiglie che abitano a Coceanzi: ho contato una decina di case, e la ragazza mi dice che ci sono una quarantina di abitanti. Mi suona strano, ma guardandomi in giro mi rendo conto che il numero comprende probabilmente tutta Pegliano.

Dopo aver salutato con soddisfazione un altro signore, che assolutamente non conosco, m’incammino sul sentiero verso i castagni centenari. Potrei usare molti aggettivi per descrivere la stradina, ma mi accontento di definirla bellissima. Inizialmente il sentiero, a destra, si apre su un meleto e alcuni campi coltivati e ben tenuti oltre i quali si possono ammirare le dolci e assolate colline sulle quali pigramente si crogiolano numerosi paesini.

 

Man mano che cammino su un tappeto di gusci di castagne e di foglie gialle, di diverse forme e sfumature, la via si stringe e i campi lasciano il posto agli alberi. Fra i rami scopro che mi guarda il Matajur, e lì vicino ritrovo anche la cima ancora grigia del Monte Nero con la sua inconfondibile parete ripidissima. Non si sente un suono,

se si esclude la motosega di qualcuno che dall’altra parte della valle sta facendo lavoretti in casa. Ogni tanto, mentre cammino, sento che mi arriva qualche folata d’aria calda. Che strana sensazione… che siano i sospiri delle Krivapete che mi osservano nascoste fra i primi imponenti castagni che incontro?

Mi manca poco, ancora qualche metro. Eccolo lì, sulla sinistra, il castagneto con un cartello visibile ancor prima dell’alberone. Rimango folgorata. Ero impaziente di far conoscenza con Sua Maestà, e trovarmici di fronte fa un certo effetto. Lo studio da lontano, ci giro attorno, lo tocco e provo ad abbracciarlo. L’impressione è di essere uno sputo al confronto. Più di venti metri di altezza e una circonferenza d’abbraccio di almeno 5 persone. Lo fotografo da più angolazioni senza trascurare gli altri suoi abnormi compagni più giovani di lui di un paio di secoli.

 

Un tempo, trent’anni fa circa, gli abitanti dei dintorni raccoglievano le castagne per loro, le famiglie e gli animali, ora però non più. È un luogo da visitare, spesso lo si fa di passaggio perché da qui il sentiero continua ad anello lungo la parete della montagna per ritornare al punto di partenza, Tarcetta. Ma non esageriamo… sarà per un’altra volta, quando avrò una giornata intera a disposizione e magari in compagnia di amici.

 

Ivana Macor

 

In collaborazione con Help!  

 

 


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