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foto di Neva Gasparo

La dignità non si nega a nessuno

 |  editor

Hospice è un termine ancora poco diffuso nel linguaggio comune, ma ha un valore sociale che si sta accrescendo notevolmente giorno dopo giorno. Con questo vocabolo si indicano le strutture sanitarie, pubbliche o private, che praticano per prassi la cosiddetta

sedazione palliativa, la terapia del dolore o altre pratiche mediche che “aiutano” i pazienti in stato terminale a spegnersi senza inutili sofferenze. È in corso tra i medici italiani (e non) un vivacissimo dibattito sul dilemma che centri come questi pongono alla collettività ma soprattutto all’etica professionale dei medici alle prese con la difficoltà di stabilire il preciso confine tra l’eutanasia e l’accanimento terapeutico, soluzioni opposte ma in realtà vicinissime ed entrambe rifiutate dal codice deontologico professionale.

 

Il dibattito sull’efficacia degli Hospice è inevitabilmente esteso alla collettività, che si trova divisa tra una visione di risposta adeguata e dignitosa alla sofferenza di uomini e donne che stanno terminando il loro percorso di vita terreno e di sollievo alle famiglie costrette a convivere con la malattia ed il dolore, il più delle volte non solo fisico, e quella di centri nei quali non viene data la massima assistenza possibile, con particolare riferimento alla qualità dei farmaci, e all’interno dei quali viene praticata una sorta di eutanasia “dolce e legalizzata”.

 

Ad aiutarci a fare chiarezza è il prof. Mauro Melato, presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della provincia di Trieste nonché presidente della Federazione regionale Fvg, e quindi massimo esponente della “voce dei medici”. “Esiste una spinta sociale diffusa verso l’eutanasia e il testamento biologico – esordisce Melato – quasi sempre in mancanza del necessario approfondimento non solo etico-morale ma anche tecnico-giuridico”. Proprio per dare risposte certe agli iscritti, l’Ordine nazionale ha recentemente convocato un Consiglio nazionale a Udine in cui si è affermato che “occorrerà definire il profilo delfoto di Neva Gasparo miglior esercizio del principio di autodeterminazione a nostro giudizio compiutamente esigibile e praticabile all’interno di un’alleanza terapeutica fondata sulla reciproca fiducia, informazione, consenso, scambio e rispetto dei reciproci valori etici e civili e delle rispettive libertà. Emerge dunque il pressante bisogno di ridefinire nuovi profili di cura e di avvicinare a questa responsabilità tecnico professionale la presa in carico di queste fragilità che va oltre questo nostro impegno”. “Gli Hospice – aggiunge Melato – sono nati anche per ridurre i tempi di degenza e i posti letto negli ospedali, e, ora, l’istituzionalizzazione del fenomeno richiede la massima attenzione”.

 

La sensazione agli occhi del profano è che queste strutture, nella gestione dei pazienti e nell’assistenza, siano molto più costose che non gli ospedali tradizionali. “È una percezione errata – chiarisce Melato – poiché in realtà le cure somministrate negli Hospice sono di basso costo e l’assistenza, sebbene molto qualificata, riguarda prevalentemente gli aspetti psicologici ed anestesiologici. Certo è che ci sono situazioni drammatiche, legate a dolori intensissimi e a condizioni di vita insopportabili da affrontare. Per esse l’Hospice rappresenta la soluzione in grado di alleviare e riportare sotto controllo i dolori e gli ingestibili sintomi della malattia terminale, garantendo decoro e dignità al paziente e sollievo ai familiari”. “Gli Hospice – aggiunge – sono strutture che garantiscono comunque una qualità di vita residua ai pazienti molto più alta di qualunque altra struttura e sono in grado di gestire assieme alle famiglie gli eventi luttuosi. Ma questo non deve bastare perché sarebbe preferibile che l’evoluzione del sistema ci porti non a un irragionevole aumento degli Hospice ma invece a una situazione di deospedalizzazione dei pazienti terminali, affinché questi possano affrontare gli ultimi giorni della loro vita confortati dall’affetto dei propri cari a casa, nel proprio letto”. “L’Hospice insomma – conclude Melato – è una risposta possibile, ottima per chi è solo, ma non è la migliore risposta in assoluto ed è compito dei medici portare l’evoluzione del sistema verso la migliore delle soluzioni. Bisogna infatti evitare che tali strutture siano funzionali a una società manageriale, come quella contemporanea, che trascura le esigenze del singolo per guardare in primis alla gestione economica del sistema Sanità puntando a tempi di degenza ospedaliera più limitati possibile”.

 

Ad arricchire di nuovi spunti il dibattito, uscendo di poco dal settore medico in senso stretto, è la dottoressa Roberta Vecchi, psicologa presso la Casa di Cura Pineta del Carso di Trieste, all’interno della quale è attivo uno dei due Hospice del Friuli Venezia Giulia (l’altro è ad Aviano). “L’esperienza di questi pochi anni di attività degli Hospice (introdotti in Italia poco più di un lustro fa dall’allora Ministro della Sanità Rosy Bindi, ndr) è a mio giudizio positiva – afferma la psicologa – e questo per una serie di motivi. In primis perché a livello di cure palliative nelle strutture ospedaliere spesso non c’è una risposta adeguata e morire dietro ad un paravento, come ancora purtroppo avviene in alcune circostanze e in alcune zone del nostro Paese, non è una cosa piacevole”.

 

Queste strutture, nate in Inghilterra oltre 50 anni fa con il St. Christopher Hospice, e poi diffusesi a partire dai Paesi anglosassoni, hanno conosciuto un’evoluzione leggermente diversa da Paese a Paese: in Italia la legge prevede che obbligatoriamente ce ne sia almeno uno per regione. “In realtà – spiega la dottoressa Vecchi – la loro diffusione è ancora a macchia di leopardo poiché nel Meridione è ancora sviluppata la cultura dell’ospedale tradizionale e del tenere l’ammalato in casa, nonostante le grandi sofferenze fisiche e psicologiche cui va incontro la famiglia”. “Credo inoltre che – aggiunge – il numero di posti letto negli Hospice sia ancora basso rispetto al numero che le statistiche epidemiologiche suggeriscono; l’ideale comunque sarebbe avere molti centri, preferibilmente piccoli o piccolissimi, in più punti possibile e questo per evitare lunghe e quotidiane trasferte ai familiari e per garantire un servizio medico di accoglienza che sia ottimale”.

 

E proprio sulla qualità e sui costi degli Hospice che la psicologa interviene in conclusione: “Può essere vero che i costi dei farmaci somministrati ai pazienti terminali ospitati in queste strutture siano più bassi, ma è l’Organizzazione Mondiale della Sanità a dettare le regole e a scegliere le soluzioni più consone per accompagnare gli ultimi giorni dei malati terminali. Inoltre, e questo è molto importante, gli Hospice investono in formazione e qualità del personale cifre che le strutture ospedaliere non possono permettersi: si pensi, ad esempio, ai numerosi corsi di formazione fatti ad hoc per tutti i livelli operativi e alla presenza di figure come lo psicologo o l’assistente sociale, praticamente del tutto assenti negli ospedali”.

 

Infine, resta da rilevare ancora una deprecabile prassi di cui alcune associazioni o fondazioni vicine agli Hospice si rendono protagoniste: nelle già logorate famiglie con malati inguaribili piovono telefonate o lettere, laddove, addirittura, non si bussa alla porta di casa, con l’intento di ottenere lasciti o donazioni. Questo non è etico. La strada per raccogliere fondi resta quella di organizzare incontri e convegni, o sviluppare progetti formativi per i volontari; in questi casi, di beneficenza non se ne farà mai abbastanza.

Giuseppe Morea

 

 

L’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri

 

Costituito con legge dello Stato, è un Ente Pubblico non Economico i cui Organi istituzionali sono democraticamente eletti dai medici e dagli odontoiatri che, conseguita la Laurea e superato l’Esame di Stato, sono obbligati per legge all’iscrizione all’Albo per poter intraprendere l’esercizio professionale. Tutti i medici all’atto dell’iscrizione sottoscrivono ed accettano il rigido Codice deontologico aggiornato nel dicembre 2006.

L’ambito territoriale di competenza di ciascun Ordine è costituito dalla provincia; l’Ordinamento prevede un unico Ordine provinciale retto da un Consiglio Direttivo, diretta espressione di voto dei professionisti iscritti, che al suo interno elegge il Presidente, il Vicepresidente, il Segretario ed il Tesoriere.

Gli Ordini provinciali hanno competenze specifiche che sono espressione di potestà amministrativa pubblica autonoma e sono riuniti per legge in una Federazione nazionale, con sede a Roma, e in aggregazione spontanea in Federazioni regionali quali organi consultivi di concertazione ed indirizzo per gli Enti provinciali.

L’Ordine è interprete delle questioni etico-morali e sociali legate alla professione, ha potere disciplinare nei confronti degli iscritti che si rendono responsabili di condotte che violano i doveri deontologici della professione, garantendo la correttezza comportamentale del professionista nei confronti dell’utente.

Il Procedimento disciplinare, promosso d’ufficio o su richiesta del Ministero della Salute o del Procuratore della Repubblica, può concludersi con l’irrogazione delle sanzioni dell’avvertimento, della censura, della sospensione da 1 a 6 mesi e della radiazione (ope legis in caso di reati di particolare gravità individuati dal legislatore, ad esempio in materia di interruzione della gravidanza).

Il medico sanzionato può ricorrere alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, con sede in Roma presso il Ministero della Salute, ed avverso alle decisioni della medesima alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione senza effetto sospensivo della sanzione irrogata.

 


In collaborazione con Help!

 

 

foto di Neva Gasparo

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