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Andare a tempo

 |  Redazione Sconfini

Non c’è sempre corrispondenza tra la nostra età biologica e quella cronologica. Quando si parla di riabilitazione dell’anziano, ed in particolare degli obiettivi della riabilitazione, ci si può trovare in una posizione ambigua tra la fantasia di cancellare i segni della vecchiaia ed il dovere di rispettare un’età che ha delle peculiarità proprie.

In quest’era digitale in cui ci sembra di poter plasmare tutto come vogliamo, non ci rendiamo conto di lasciarci trascinare dall’illusione che i nostri desideri possano sempre diventare realtà, anche nelle nostre relazioni più intime. La grande tentazione di pensare ad una vita liscia e senza difficoltà colpisce proprio tutti: anche colui che è vecchio, ma non accetta gli evidenti segni della senescenza, oppure colui che guarda i vecchi e vorrebbe fermare il proprio tempo.

Se è così brutto e pesante invecchiare in condizioni normali, figuriamoci quanto diventa doloroso se sono presenti le patologie specifiche dell’invecchiamento, in cui si concentrano tutti i cambiamenti che, in fondo, temiamo di più nel corso della nostra vita: perdere le forme del nostro corpo, perdere la capacità di ragionare, essere sempre più vicini alla morte.

Ci sono vari modi per aforologiofrontare l’invecchiamento e non tutti invecchiamo nello stesso modo, e ciò significa che non c’è sempre corrispondenza tra la nostra età biologica e quella cronologica. Di fatto, ci sono persone che invecchiano bene, e tutto quello che hanno acquisito nel loro processo di crescita sono in grado di mantenerlo ed in parte adattarlo, avendo la possibilità di continuare ad avere una qualità di vita senza particolari scossoni, con caratteristiche relazionali che non disorientano né loro né chi gli sta vicino. Ce ne sono altre, invece, che reagiscono male, e rimangono intrappolate in problemi che alla fine diventano patologie psicologiche oppure sono colpite da malattie di tipo organico come possono essere le demenze; ciò comporta uno sconvolgimento totale nelle loro relazioni interpersonali, facendo emergere grosse difficoltà sia nell’anziano stesso sia in chi gli sta vicino.

Ma che cosa significa allora avere una buona relazione con l’anziano?

Se essa è concepita come un tentativo di “rieducare” l’anziano ad essere quello che era, negando la sua emotività ed in questo modo impedendo ogni conflittualità, la relazione non è paritaria fra le due parti in gioco. In questo tipo di rapporto chi viene ulteriormente indebolito è l’anziano stesso, che non si sente capito. D’altra parte, chi è più giovane comprende che questo suo tentativo d’opera “rieducativa” non è fruttuoso e si sente sconfitto ed impotente. Molti sono i familiari che dichiarano di non saper più cosa fare per avere rapporti non troppo conflittuali con i loro parenti anziani.

Bisogna ammettere che l’anziano, per proteggere la propria autostima, è ostinato nelle sue modalità di comportamento, e dobbiamo essere noi ad imparare ad usare nuove strategie per metterci in relazione con lui. Queste strategie possono nascere da un’approfondita conoscenza dei cambiamenti psicofisici di una persona anziana.

A questo punto non rimane altro che costruire una nuova modalità di relazione che rispetti le caratteristiche fisiologiche e patologiche della senescenza.

Rispettare non significa accettare supinamente che la persona anziana abbia comportamenti, atteggiamenti e mentalità rigide e non controvertibili, ma, al contrario, partendo da essi, bisogna trovare il modo per rilanciare alcune caratteristiche ed interessi che sembrano irrimediabilmente perduti.

Pensiamo a certi aspetti regressivi e melanconici, se non addirittura depressivi, che si manifestano in modo tanto comune fra la popolazione anziana. La tendenza a demandare gran parte degli atti della vita quotidiana, un po’ per la convinzione di non esserne più capaci, un po’ per la paura di subire un ulteriore scacco quando si scopre che non si funziona più come prima, e la conseguente tristezza che ciò comporta, spesso rendono l’anziano un soggetto non più in grado di organizzare e progettare la propria esistenza, anche nel breve periodo.

Questa incapacità di progettare il futuro lo trasforma in una persona priva di qualsiasi interesse, soprattutto quello di esercitare un suo diritto primario: esistere in quanto soggetto pensante. Riuscire a far capire a queste persone che possono ancora funzionare adeguatamente, pur avendo perso alcune “capacità”, ma utilizzando quelle rimaste in compensazione a quelle perdute, significa spesso ridare loro dignità e fiducia, aiutandoli ad abbandonare certi comportamenti difensivi che li trasformano in esseri senza speranza. Questa è l’ottica della “riabilitazione”.

Riabilitare, dunque non significa dispensare l’elisir d’eterna giovinezza, ma effettuare un’operazione che stimola l’anziano a trovare un equilibrio personale tra le proprie potenzialità ed i propri limiti, consentendogli di tenere un equilibrio soddisfacente dal punto di vista emotivo, affettivo e relazionale.

Sono, infatti, questi aspetti della vita psichica che incidono profondamente sull’individuo e ne condizionano attivamente il funzionamento cognitivo. Riteniamo che far leva su di essi possa essere la chiave di volta per arrivare ad un recupero più stabile possibile di facoltà come memoria, attenzione, linguaggio, che subiscono forti cali nella senescenza.

A questo proposito è importante capire che i ricordi non sono solo una lista di fatti od episodi senza senso da tenere in mente, ma, al contrario, sono significativi nella misura in cui sono legati ad emozioni, piacevoli o spiacevoli, in relazione ad altri. Una volta recuperata l’emozione che ha reso un certo evento unico per quella persona, è facile che esso riaffiori nella memoria.

Ovviamente, in alcuni casi assisteremo ad un riacquisto marcato e molto significativo delle facoltà, in altri sarà anche modesto o minimo, ma sicuramente rappresenterà il meglio che quella persona, in quel particolare periodo della sua esistenza, è in grado di dare a sé ed al resto dell’ambiente. Questo è un successo: garantisce una qualità di vita migliore all’anziano, ai suoi parenti ed alla società stessa.

Concludendo, la riabilitazione non è un mezzo per togliersi di torno la vecchiaia, non serve a rimanere giovani all’infinito, ma è uno strumento valido per evitare il degrado delle persone anziane, migliorando i loro rapporti con i familiari e con l’ambiente circostante.

KAIRÓS - Associazione Professionale per lo studio dell’invecchiamento

 

 


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