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Sclerosi multipla: nuovi trattamenti, tra scetticismo e auspicate certezze

 |  Redazione Sconfini

È tutta italiana l'importante ricerca che ha consentito di fornire un altro determinante tassello per conoscere qualcosa di più sulla sclerosi multipla (vedi articolo: Sclerosi multipla e ricerca: il futuro diventa sempre più promettente), malattia neurodegenerativa del sistema nervoso che in Italia interessa 57mila persone soprattutto fra i 20 e 40 anni, limitando la capacità motoria e le normali funzioni della loro vita. Il prof. Paolo Zamboni, il medico ferrarese che ha fatto la scoperta, ha sicuramente contribuito non poco a spiegare alcuni meccanismi di una malattia grave, di cui si cerca ancora di trovare una spiegazione. Gli studi effettuati dal professore, che opera nel Centro malattie vascolari dell’Ospedale di Ferrara, hanno condotto alla scoperta dell’insufficienza venosa cronica cerebrospinale (Ccsvi), situazione in cui il cervello e il midollo spinale riescono a drenare verso il cuore con difficoltà il sangue non ossigenato e ricco di tossine a causa di un restringimento di alcune vene (giugulari, azygos). Il mancato drenaggio del sangue verso il cuore favorisce l’accumulo di ferro attorno ai vasi sanguigni del cervello, situazione non ottimale vista la dannosità di questo elemento.


Va detto che già in passato alcuni scienziati, studiando il cervello di pazienti affetti da questa patologia, avevano notato dei depositi di ferro più alti rispetto alle altre persone attorno alle vene del cervello (anziché essere drenati dalla testa al cuore per essere eliminati). L’aspetto interessante è che nessuno si era mai soffermato più di tanto su questo aspetto e si riteneva che l’eccesso di ferro fosse un prodotto di rifiuto della sclerosi multipla. Il prof. Zamboni, esaminando le vene del collo di persone affette da sclerosi multipla con un doppler ad ultrasuoni, ha notato che quasi tutti hanno un restringimento, torsione o blocco definitivo di quelle vene che devono drenare il sangue dal cervello. Lo stesso controllo in persone sane, invece, non evidenziava nessuna di queste malformazioni.


“Ciò che è stato altrettanto sorprendente – ha puntualizzato in numerose interviste il prof. Zamboni – non è tanto il fatto che il sangue non defluisca al di fuori del cervello, quanto il fatto che si crea un reflusso, una sorta di retromarcia che lo porta a refluire verso l’alto. Per me è stato davvero incredibile scoprire che i depositi di ferro nella sclerosi multipla si trovano esattamente in prossimità delle vene, quindi si tratta di una disfunzione del drenaggio delle vene stesse. Tutto ciò è veramente importante perché il ferro è pericoloso: produce radicali liberi, veri killer per le cellule. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di eliminare l’accumulo di ferro”.


Constatare il restringimento è una procedura semplice: un ecodoppler, esame che si differenzia da quelli comunemente eseguiti per la necessità di una poltrona mobile e di sonde e software dedicati. Questo esame è in grado di riconoscere la stenosi delle vene, che interessa il 90% dei pazienti con la sclerosi multipla. Il trattamento, invece, messo a punto dallo stesso Zamboni, non necessita di ospedalizzazioni complesse ed anestesie: consiste in una puntura endovenosa in cui viene inserito un catetere alla cui estremità c’è un palloncino gonfiabile; il catetere viene fatto navigare da un radiologo nelle vene del paziente fino alle vene bloccate, a questo punto il palloncino viene gonfiato per dilatare i restringimenti.


Non c’è che dire, è una scoperta importante, che sicuramente potrebbe aprire le porte ad un nuovo approccio nella diagnosi e cura di questa malattia, ma allo stesso tempo sta destando non poco timore tra chi sino ad ora ha guadagnato con questa malattia. Già perché, a quanto sembra, c’è qualcuno che vive con la sclerosi multipla, e poi ci sono quelli che vivono di sclerosi multipla. “In Italia – ha dichiarato il prof. Zamboni in un’intervista rilasciata al Giornale di Vicenza – la sanità ministeriale mantiene le distanze, inoltre i pochi imperi farmaceutici che producono interferone (finora l’unica cura ufficiale e convalidata) continuano ad incassare in tutto il mondo miliardi di dollari e ovviamente cercano di mettersi di traverso”, ma per i malati di sclerosi multipla la scoperta del prof. Zamboni è già molto più di una speranza.


Recentemente, ovunque si sono moltiplicati studi e ricerche per convalidare le teorie del professore. «In merito al trattamento della Ccsvi in pazienti affetti da sclerosi multipla – si legge sul sito web www.ccsvi-sm.org – i dati pubblicati mostrano un miglioramento della circolazione venosa cerebrale ed una riduzione del numero di ricadute e di lesioni attive, nonché un miglioramento della qualità della vita dei pazienti. In soggetti affetti da malattia progressiva questo andamento si blocca o rallenta. Secondo quanto pubblicato, questa esperienza protratta nell’osservazione per due anni è da considerare con attenzione come un trattamento efficace contro la sclerosi multipla da aggiungere ai trattamenti esistenti».


Da una parte c’è la comunità scientifica che vorrebbe seguire dei protocolli e fare le cose in modo ordinato e con i tempi burocratici (molto lenti), dall’altra ci sono i malati, stufi di aspettare e desiderosi di tornare a vivere come un tempo. Vogliono giustamente essere liberati, per quanto possibile, da questa tremenda malattia e lasciarsi alle spalle un brutto ricordo che halta condizionato per troppo tempo la loro vita. Ovunque nel nostro Paese sono sorte associazioni di ammalati che si oppongono con tutte le loro forze a questa lentezza e all’oscurantismo dominante che limita notevolmente ciò che potrebbe venir fatto per chi soffre di questa patologia. Sia ben chiaro che il prof. Zamboni non ha mai parlato di miracoli e si è espresso sempre in maniera molto cauta. Quanto scoperto, però, sembra portare a un sostanziale miglioramento della vita delle persone ammalate, cosa non da poco se consideriamo i problemi che una persona affetta da questa patologia deve affrontare.


Forse siamo ad un punto di svolta, ma la cosa che fa pensare e che infastidisce un po’ è che tutti questi argomenti erano già stati sollevati e parzialmente affrontati molto tempo fa, senza però mai essere approfonditi più di tanto. La letteratura, infatti, ci mostra che già nel 1863 il dottor Edouard von Rindfleisch aveva notato che in tutti i campioni di cervello prelevati su corpi di persone affette da sclerosi multipla e deceduti si poteva trovare una vena ostruita al centro di ogni lesione. Così scrisse il dottor Rindfleisch (“Archivi di Anatomia Patologica e Fisiologia”. 1863; 26:474-483): «Se si guardano attentamente le zone della sostanza bianca alterate di recente… si percepisce già ad occhio nudo un puntino rosso o una linea al centro di ciascuna lesione… il lume di un piccolo vaso pieno di sangue. Ciò ci porta a ricercare quale causa principale della malattia, un’alterazione di singoli vasi e delle loro ramificazioni. Tutti i vasi che decorrono all’interno delle lesioni e quelli che sono localizzati nelle zone immediatamente attigue, che ancora sono indenni, si trovano in uno stato di infiammazione cronica».


Negli anni seguenti, molti notarono qualcosa di anomalo nella circolazione cerebrale di persone ammalate di sclerosi multipla, ma ci si fermò sempre all’evidenza senza mai spingersi oltre. Per parlare di tempi a noi più vicini, nel 1973, presso l’Università di Innsbruck, il medico F. Alfons Schelling iniziò le indagini sulle cause e le conseguenze delle enormi differenze individuali nelle larghezze degli sbocchi venosi del cranio umano. I risultati di questo studio apparvero nel 1978 in “Anatomischer Anzeiger”, organo ufficiale della Società di Anatomia di lingua tedesca. Il suo libro delinea la storia della connessione fra sclerosi multipla e sistema venoso. Gli esempi succedutesi nel tempo sono ancora tanti e culminano nella scoperta della Ccsvi del prof. Zamboni.


Avere la sclerosi multipla è un problema che interessa ogni sfera del vivere quotidiano di chi ne è colpito e può diventare un inferno quando a poco a poco una persona non è capace di provvedere a se stessa e a chi le sta a cuore anche nelle cose più elementari. La scoperta del prof. Zamboni forse sarà errata, forse dovrà essere perfezionata, ma regala un po’ di speranza a chi è stufo di vivere a metà. Da quando la scoperta è emersa, è come se non ci fosse più tempo per aspettare ed in effetti è in parte vero: chi per troppi anni non ha potuto tagliare un tozzo di pane a causa dei tremori o chi non era in grado di provvedere al proprio sostentamento per le difficoltà insormontabili, non vuole saperne di sentirsi dire che bisogna avere pazienza. Di pazienza ne ha avuta fin troppa!

 

Paolo Baldassi

 


In collaborazione con Help!


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