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Diventiamo ciò che siamo o siamo ciò che vogliamo?

 |  Redazione Sconfini

È interessante notare particolarità, differenze e somiglianze, senza realmente conoscere la provenienza, il carattere o le abitudini dell’individuo “preso in esame”.

Spesso è possibile azzardare una conclusione, o meglio un’ipotesi, sulla vita di chi in quel momento condivide qualche attimo di giornata con me. E vedo persone, moltissime persone, alcune del tutto anonime, che non lasciano trasparire nulla di sé, altre invece che sono ovvie e scontate, ed altre ancora che potrebbero essere tutto o niente, qualcuno o nessuno.
Non parto mai con pregiudizi o da stereotipi, ma frequentemente questi stessi si confermano da soli ed io mi ritrovo ad organizzare un grande archivio sociale. Il mio non è uno studio sociologico dettagliato ed approfondito, si tratta solo di qualche immagine catturata in un breve momento di vita di qualcun altro. Un qualcun altro che non conosco, ma che vive d’individualità e d’interazione e che, come me, è una particella, nell’immensa massa d’acqua. Infatti, come scrisse Ralph Waldo Emerson in “La fiducia in se stessi”: «La società è come un’onda. L’onda si muove in avanti, ma resta immobile la massa d’acqua di cui essa è composta. La stessa particella non s’innalza dal fondo fino alla cima. La sua unità è solo fenomenica». Ma se ogni particella deve esistere ed esiste per essere lì dov’è, questo vuol dire che ognuno di noi deve nascere e nasce nel contesto in cui deve condurre la propria esistenza. Ciò significa che la libertà degli uomini non è più sfuggire o ribellarsi alla necessità e al senso del mondo, ma comprenderlo e accettarlo.
E come si interpreta quest’onda? Quali fattori ci rendono particella A piuttosto che particella B? Come viene spiegato questo fenomeno dalla sociologia, che studia le strutture ed i processi sociali sia fra individui anonimi che a livello globale? Esso viene definito da Auguste Comte strumento di azione sociale, da Émile Durkheim come scienza dei fatti e dei rapporti sociali, infine da Max Weber come scienza che punta alla comprensione interpretativa dell’azione sociale. Ed è proprio da qui che bisogna iniziare. La società è una realtà sui generis, basata sulla coscienza collettiva, rappresentata dai pensieri, le idee ed i costrutti dello spirito umano. Tali elementi sono frutto della socializzazione tra i membri della società, che in tal modo ne confermano l’appartenenza. Che lo si voglia o no, il processo di socializzazione inizia per ciascun individuo in modo automatico con la nascita e procede attraverso le prime esperienze di interazione con il proprio corpo, l’ambiente circostante e con le persone interne ed esterne al nucleo genitoriale.
Il meccanismo generale dell’interazione e dunque della socializzazione, viene mosso dall’identificazione di sé con terze persone e dal rendere propri comportamenti altrui che ci si confanno. Queste azioni avvengono spesso in maniera inconscia quando ci troviamo sotto la forte influenza della visione d’insieme in cui cresciamo e proiettiamo la nostra vita. Ciò che un uomo è, lo acquisisce sempre per intrinseca necessità e quello che l’uomo acquista in tal modo, è proprietà vivente.
L’ambiente naturale e l’ambiente sociale, caratterizzati dai componenti strutturali della società come ad esempio la famiglia, le norme sociali, le istituzioni ed il ruolo, plasmano la vita di una persona con sfaccettature diverse, ed a volte uniche, rispetto a quelle di ogni altra. E ad ogni combinazione di queste caratteristiche corrisponde una posizione stabile che l’individuo occupa nella società, posizione che si definisce in rapporto alle altre; infatti, ogni individuo è ben consapevole dell’esistenza di una graduatoria gerarchicamente organizzata e di quale status egli ricopra rispetto ad altri. Ma un uomo ancor più consapevole prova un senso di disagio riguardo ai suoi beni, che nasce dal nuovo rispetto che ha per la sua natura. Egli ha in odio ciò che possiede soprattutto se vede che è soltanto frutto del caso e provoca un ampio divario. Le disuguaglianze permanenti generano quella che viene chiamata la stratificazione sociale, ovvero quella massa d’acqua in cui la particella non può muoversi dal fondo verso la cresta. Dunque il mondo, l’onda, è da un lato un processo e un divenire continuo, dall’altro non è che l’espressione di un’unità.
Scrisse R.W. Emerson: «Non chiedere nulla di altri e, nell’incessante mutazione, tu solo, come salda colonna, apparirai ben presto come colui che regge tutto quanto ti circonda. Chi sa che la vera forza è innata, chi sa che ogni debolezza gli deriva dal suo aver ricercato il bene fuori di sé e in ogni luogo, e, avendo ciò compreso, si rivolge senza alcuna esitazione al suo più severo e interiore pensiero, può di colpo risollevarsi e raddrizzarsi nella sua posizione eretta».
Nella mia sporadica osservazione non sono solitamente così filosofica e non parto considerando il fatto che esistiamo tutti ad incastro, che siamo tutti tasselli indispensabili di un’unica struttura. Forse non riesco a concepire del tutto questo organismo statico e dinamico contemporaneamente, dove ognuno è lì dov’è per permettere a tutto di muoversi. Noto, però, come le caratteristiche visibili di ogni persona siano riconducibili al suo background sociale e culturale e che non potrebbero essere diverse se avesse un’altra provenienza. Ma in questo cubo di Rubik dove stanno le menti e gli spiriti liberi? Forse costoro sono gli schizzi e le gocce generate dell’onda, ma che si staccano da essa.


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