La prova provata che a pagare la crisi sono i trentenni
Il passaggio di consegne della generazione che ha goduto del boom economico divorandosi tutta la ricchezza nazionale di tre generazioni non è più procrastinabile.
E' indubbiamente colpa delle furberie e dell'ingordigia di quella generazione, seppur con meritevoli esempi che hanno faticosamente marciato in senso contrario, se la catastrofe economica del nostro Paese ha investito chi non ha avuto la fortuna di nascere a cavallo degli anni '40 e '50 (al massimo fino alla metà degli anni '60): pensioni baby, scatti di anzianità dell'ultim'ora per avere pensioni più ricche, giovani pensionati che arrotondano in nero devastando il mercato dell'offerta, sistema retributivo che ha soffocato i bilanci dell'Inps costringendolo al graduale passaggio al sistema contributivo, paghe in entrata inferiori di 4 o 5 volte rispetto ai meno produttivi baroni che infettano ancora aziende pubbliche e private e così via.
In virtù di questo elenco non esaustivo e di altre importanti concause macroeconomiche mescolate a dovere dalla più inetta classe politica del mondo occidentale, la disoccupazione giovanile ha toccato a settembre la vetta del 40,4% (record mai registrato in precedenza). Il dato, già di per se stesso drammatico, assume contorni ancora più disperanti quando si vanno ad analizzare i dati sul potere d'acquisto di quei pochi che lavorano e che hanno un'età compresa tra i 30 e i 39 anni.
La Banca d'Italia ha pubblicato dei dati che Filippo Teoldi per lavoce.info ha elaborato e che spiegano bene il disastro verso cui andiamo incontro, come un'auto lanciata a 200 km/h contro un muro. I dati riportati nel grafico mostrano il reddito medio dei trentenni nati nel 1947 (primo pallino in corrispondenza della data 1977), nel 1954 (secondo pallino sulla data 1984) e nel 1961 (terzo pallino sulla data 1991). Come si può vedere coloro che iniziarono la loro carriera nel 1977 guadagnavano circa il 10% in più del salario medio del periodo, quelli che iniziarono a lavorare nel 1984 circa il 3% in più mentre la curva ha iniziato a scendere sotto il valore 1 per i trentenni che hanno iniziato a lavorare all'incirca dopo il 1993. Da quel momento la picchiata è stata vertiginosa e i nati nel 1980 o giù di lì si ritrovano disoccupati in oltre il 40% dei casi e con un salario del 12% inferiore rispetto agli stipendi medi.
Insomma, appare chiaro chi sta pagando la crisi. E non sono certo i cinquantenni, sessantenni e settantenni che ancora incassano lauti stipendi spesso immotivati considerando una preparazione accadimica inferiore a quella della generazione successiva e un livello di produttività inevitabilmente più basso.
La caduta del potere d'acquisto dei trentenni, inoltre, non sembra poter rallentare, né tantomeno invertire la rotta nel breve e medio periodo. Questa situazione è infatti la radice di quasi tutti i problemi italiani.
La domande che devono quindi essere rivolte ininterrottamente ai politici sono due:
1) come si può sostenere il mercato interno se la fascia d'età che tradizionalmente più deve spendere (i trentenni che comprano casa, mettono su famiglia, fanno figli, comprano la macchina, comprano vestiti per migliorare la propria posizione lavorativa, e in alcuni casi devono badare a genitori che si avvicinano a una certa età?) vive mediamente abbondantemente sotto la soglia di povertà?
2) Ma spingendoci ancora oltre: quando per raggiunta fine del ciclo vitale i pensionati che ancora sostengono le giovani famiglie non ci saranno più cosa accadrà? Sarebbe meglio iniziare a pensarci subito prima che la violenza dilaghi.
Per questo motivo il reddito di cittadinanza non è più procrastinabile.
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