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Tonsille e adenoidi: la loro funzione difensiva

 |  Redazione Sconfini

Uno degli “incubi” più frequenti per mamme e papà, quando si hanno figli in età pediatrica, sono le febbri ricorrenti e le tonsilliti, e i fastidiosi effetti connessi e annessi.

Tonsille e adenoidi sono responsabili di molti degli episodi legati alla stagione invernale, e non solo. Questi organi rappresentano la principale difesa immunitaria delle prime vie aeree. Grazie al loro diretto contatto con l’esterno, permettono all’organismo di confrontarsi con gli stimoli ambientali, svolgono un importante ruolo nella maturazione del sistema immunitario, favorendo la produzione di anticorpi sin dalla primissima infanzia. Tonsille e adenoidi aumentano di volume se sono ripetutamente stimolate dal contatto con agenti patogeni esterni: così viene attivata la loro risposta anticorpale. Nel complesso la loro azione di difesa è limitata ai primi anni di vita: aumenta fino ai tre/quattro anni, per poi decrescere.
Quando la stimolazione diventa eccessiva, a causa di infezioni o per l’azione continua da parte di alcuni agenti esterni infettivi, si può incorrere in un’ipertrofia, ovvero in un aumento di volume. Le tonsille possono andare incontro a infiammazione: si ha la tonsillite acuta (o cronica se protratta nel tempo) che nella maggior parte dei casi, se diagnosticata e curata in modo corretto, guarisce completamente senza ulteriori conseguenze. “Può accadere talvolta che i bambini siano colpiti da adenotonsilliti ricorrenti, che tendono cioè a ripresentarsi fino a 6/7 volte nel corso di un anno”, spiega il dottor Domenico Leonardo Grasso, della S.O.C. di Otorinolaringoiatria Pediatrica dell’Ospedale infantile Irccs “Burlo Garofolo” di Trieste. “Spesso – prosegue – l’infezione è causata dall’azione di un germe in particolare, lo streptococco beta-emolitico che può essere responsabile anche di gravi complicazioni. In caso di episodi ripetuti è necessaria un’attenta valutazione clinica da parte dello specialista otorinolaringoiatra per individuare le possibili terapie basate su mirati cicli di antibiotici oppure valutare, osservando per circa un anno il paziente, l’opportunità dell’intervento chirurgico di tonsillectomia”.
In quali casi è opportuno ricorrere all’intervento? “Gli elementi determinanti – risponde Grasso – nella valutazione clinica del piccolo paziente per candidarlo all’intervento, concordemente alle linee guida ministeriali, sono: presenza di ostruzione orofaringea per ipertrofia tonsillare; gravi disturbi del sonno, dal russamento (roncopatia) sino alle apnee notturne (blocco del respiro), che sono responsabili di difficoltà di concentrazione e cattive performance diurne, facile irritabilità, debolezza, disturbi della crescita, disturbi cardiaci. Inoltre quando il bimbo viene colpito da più di 4-5 episodi di tonsillite all’anno in età scolare e più di 6-7 episodi in età prescolare, o da infezioni sublatenti tali da determinare uno stadio di ipertrofia tonsillare riconducibile al quarto grado o più, associata a ipertrofia adenoidea (corresponsabile della sintomatologia ostruttiva), è certamente opportuno l’intervento chirurgico. L’intervento di adenotonsillectomia non è opportuno prima dei due anni di età, se non in casi eccezionali in cui il piccolo presenti un quadro clinico particolarmente critico”.
La fibroendoscopia della rinofaringe rappresenta l’esame diagnostico più efficace e ben tollerato nei bambini di ogni età per valutare la grandezza delle adenoidi e quindi la pervietà e la funzionalità della rinofaringe prima dell’intervento. “Si raccomanda – evidenzia Grasso – di non effettuare la radiografia laterale del collo per valutare il grado di ipertrofia adenoidea sulla base dell’insufficiente accuratezza diagnostica e del rischio radiologico per i piccoli pazienti”. L’opportunità dell’adenotonsillectomia deve’essere attentamente valutata tenendo in considerazione il rapporto costi/benefici in ogni singolo caso clinico: “è pur sempre un intervento chirurgico – ricorda l’otorinolaringoiatra – con le sue possibili complicazioni, alcune prevedibili altre meno”. La tecnica tradizionale che si propone è quella che dà maggiori garanzie per la riduzione del sanguinamento e del dolore post-operatorio. L’intervento è praticato in anestesia generale, per un maggior riscontro dei parametri vitali e un migliore controllo anatomico, in regime di day surgery o one day surgery se è previsto il pernottamento.
Non è frequente, ma può accadere, che dopo l’intervento di adenotonsillectomia il tessuto adenoideo ricresca e si ripresenti l’ipertrofia preoperatoria. “Questa evenienza – sostiene Grasso – è rara ma in alcuni casi, proprio per le caratteristiche dell’intervento e del tessuto linfonodale del paziente che predispone alla ricrescita, al follow-up si ripresenta la necessità di ricorrere a un secondo intervento che di solito utilizza non la tecnica tradizionale ma le fibre ottiche”. “In questo caso – conclude – a garanzia di una maggiore efficacia in relazione alla minore dimensione della massa ipertrofica sulla quale si deve intervenire”.


 Una sindrome febbrile periodica “misteriosa”

L’acronimo PFAPA (Periodic Fever, Aphtas, Pharyngitis and Adenitis) identifica una sindrome, diagnosticabile per esclusione nei bambini di età inferiore a 5 anni (scompare verso i 6-7 anni), caratterizzata da episodi periodici di febbre elevata (> 39 °C), perdurante per 3-4 giorni e ricorrente ogni 15-20 giorni, accompagnata da uno dei seguenti sintomi: stomatite aftosa, faringite e adenite cervicale.
Descritta per la prima volta dal dott. Marshall nel 1987, è una delle cause di febbre periodica in età pediatrica ed evoca “le febbri della crescita” di antica memoria. Non è conosciuta l’origine eziopatogenetica di questo quadro clinico. L’ipotesi più avvalorata è che la PFAPA rappresenti un disturbo minore dei meccanismi di controllo dell’infiammazione che si rende evidente, forse anche in relazione alla relativa ipertrofia del tessuto linfatico, solo nei primi anni di vita. “È stato ipotizzato che gli episodi febbrili possano dipendere da una disregolazione del sistema immunitario”, riferisce il dottor Grasso del Burlo Garofolo di Trieste. “Una caratteristica della PFAPA – continua – è che le manifestazioni cliniche si ripresentano costanti nel tempo e con una periodicità abbastanza regolare, tanto che i genitori del bambino non hanno difficoltà nel distinguere l’attacco di PFAPA dall’episodio febbrile di diversa origine e spesso sanno riconoscere e prevedere i sintomi premonitori che anticipano l’episodio febbrile”.
La malattia si presenta in genere con una febbre elevata a insorgenza improvvisa; tende a ricorrere con regolare periodicità e ai “picchi mensili” seguono periodi intercritici di completo benessere. Tipicamente c’è una faringite di modica entità e non essudativa, di solito associata a tonsillite. “Il tutto – rileva lo specialista – in assenza di segni di infezione respiratoria: la somministrazione di terapia cortisonica, infatti, risolve i sintomi”. Nei pazienti in cui gli episodi si protraggono nel tempo e in presenza di ipertrofia adenotonsillare, si può proporre la tonsillectomia. “La PFAPA – rassicura Grasso – sembra regredire a seguito dell’intervento o comunque si allungano gli intervalli intercritici con conseguente migliore gestione della sindrome, comunque benigna, e migliore benessere del paziente”.

foto: Samuel Zeller


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