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ADHD: stare sempre attenti non è facile

 |  Redazione Sconfini

 

La difficoltà ad acquisire le nozioni secondo i ritmi proposti dalla scuola, è un fenomeno che interessa il 5% dei bambini in età

scolare. Spesso sentiamo parlare dei disturbi dell’attenzione e dell’apprendimento senza realizzare che di sovente questo tipo di disagio arreca non pochi problemi allo svolgimento dei compiti che un bambino è chiamato ad eseguire.

 

“I disturbi dell’apprendimento – afferma il dottor Aldo Scabar, dirigente medico presso la Struttura Complessa di Neuropsichiatria infantile e responsabile del programma di ricerca nell’ambito dei disturbi specifici dell’apprendimento all’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste – si presentano tipicamente dopo la scolarizzazione, mentre, in una buona percentuale dei casi, il periodo precedente può essere caratterizzato da difficoltà nell’acquisizione del linguaggio. I disturbi dell’attenzione sono difficili da rilevare in età prescolare, ciò che invece è spesso visibile è la tendenza all’iperattività e all’impulsività. I bambini sono quasi sempre molto vivaci già prima di frequentare la scuola materna e le prime esperienze di socializzazione possono preoccupare gli adulti. È importante fare attenzione soltanto alle situazioni in cui il bambino è realmente incontenibile”.

 

Il problema coinvolge un ambito ristretto di attività scolastiche (ad esempio la lettura) e ciò non a causa di problemi di intelligenza o di deprivazione culturale o ambientale. In altre parole, le più grandi difficoltà per un ragazzo con ritardo cognitivo globale coinvolgono la maggior parte delle materie scolastiche e la gestione delle altre attività quotidiane, e inoltre egli non sarà in grado di raggiungere una piena autonomia nell’età adulta. Chi è affetto da disturbo specifico dell’apprendimento incontra problemi soltanto a scuola o addirittura solo in alcune materie e non ha solitamente problemi nel resto delle attività e può anzi eccellere in quelle extrascolastiche.

 

I disturbi dell’attenzione sono spesso associati alle difficoltà specifiche dell’apprendimento: consistono in una pervasiva difficoltà a focalizzarsi su un compito, in particolare quando questo non è ritenuto interessante o pare estremamente noioso. Tuttavia, si può parlare di un vero e proprio altdisturbo dell’attenzione solo quando le difficoltà sono tali da compromettere, oltre all’apprendimento scolastico, anche le normali attività della vita quotidiana. Ad esempio, un bambino molto disattento può esserlo continuamente durante lo svolgimento dei compiti a casa, ma anche nelle attività sportive, oppure può non essere in grado di concentrarsi sulle parole dell’interlocutore per più di pochi minuti. Spesso, ma non sempre, i disturbi dell’attenzione possono peggiorare, se si associa anche l’impulsività e la tendenza all’iperattività che possono manifestarsi.

 

L’esatta frequenza del problema nel nostro Paese – spiega Scabar – non è stata ancora stabilita, e questo è il motivo per cui l’IRCCS Burlo Garofolo, in collaborazione con altri centri italiani, sta avviando uno studio epidemiologico la cui finalità è permettere a chi si ritrova svantaggiato, rispetto alle richieste dell’ambiente scolastico, di raggiungere un adeguato livello di conoscenze ed abilità attraverso la proposta di idonei interventi”. “Non dobbiamo dimenticare – continua – che attualmente molti dei ragazzini con difficoltà specifiche di attenzione sono individuati tardivamente, quando i ripetuti fallimenti a scuola hanno già determinato un calo dell’autostima e quindi delle loro aspettative”.

 

I bambini con un vero e proprio disturbo dell’attenzione con iperattività (ADHD) rappresentano all’incirca l’1-2% della popolazione scolastica, anche se alcuni dati indicano che gli insegnanti riscontrano problemi di attenzione nell’8% circa dei bambini. “Questi ragazzini – sottolinea Scabar –tendono spesso a percepirsi come “incapaci” ed evitano il lavoro scolastico. Non si tratta, tuttavia, di pigrizia e se consideriamo il numero di ore settimanali dedicate allo studio, insieme ai familiari, ci accorgiamo che è superiore a quello medio”.

 

I bambini con ADHD sono solitamente estroversi, hanno difficoltà a limitarsi, spesso si pentono di aver agito impulsivamente e sono più consapevoli delle proprie difficoltà di quanto si immagini. Le difficoltà specifiche hanno quasi sempre un’origine genetica (molti studi sono in corso in tal senso), tendono a migliorare, ma raramente si risolvono del tutto. Spesso la percezione di alcuni propri limiti permette di sviluppare strategie compensative. Ad esempio, un cattivo lettore cerca di acquisire informazioni senza leggere; chi ha persistenti difficoltà nell’ortografia usa il correttore ortografico del computer e così via. “I bambini con ADHD – rileva il dirigente medico – superano queste difficoltà in almeno un caso su tre: se le esperienze fatte sono state formative, imparano a gestire alcune proprie caratteristiche. Alcuni bambini con ADHD, tuttavia, non vengono compresi e le loro azioni possono essere talvolta malintese; inoltre, esperienze negative possono determinare l’insorgere di problemi di personalità ed essere causa di scarse abilità sociali, abuso di sostanze e problemi con la legge”. “Si tratta – aggiunge – di una minoranza di situazioni, sia ben chiaro, ma è proprio a questo tipo di rischi che bisogna pensare quando un bambino con ADHD non riceve le giuste attenzioni e viene sempre e soltanto punito e frustrato. L’ambiente è spesso determinante”.

 

Le difficoltà specifiche di apprendimento sono un ostacolo che il ragazzo affronta ogni giorno per anni. È indubbiamente un fardello che per lui può essere difficile da gestire. Il rischio che sia considerato un fannullone oppure un ragazzo poco intelligente è sempre presente, nonostante molte volte ciò non corrisponde alla verità. Non possiamo allora stupirci se la maggior parte di questi ragazzi si stanca di svolgere attività per le quali sono di frequente giudicati inadeguati.

 

“Recentemente – rileva Scabar – sono state pubblicate specifiche linee guida da seguire nel trattamento di questi particolari disturbi, dedicate agli operatori che si occupano del problema. Esistono tante metodiche di riabilitazione, tanto per i disturbi specifici dell’apprendimento quanto per i disturbi dell’attenzione. Tuttavia, le ricerche sono ancora in fase di svolgimento poiché nessuno di questi procedimenti è in grado di risolvere completamente il problema”. “Per tale motivo – aggiunge – bisogna sempre tenere nella giusta considerazione anche le strategie compensative. Ad esempio, se un ragazzino ha difficoltà a leggere, può imparare attraverso la registrazione dei brani; le difficoltà nell’imparare le tabelline, possono essere ovviate permettendo l’uso della tavola pitagorica o del calcolatore; chi è lento nella scrittura dovrebbe poter scrivere al computer”.

 

Ci sono spesso problemi a far accettare l’uso di queste strategie in classe: tanto gli insegnanti quanto i ragazzi vedono con sospetto la personalizzazione dell’istruzione, ma il concetto che ognuno di noi è diverso dagli altri e ha esigenze particolari dovrebbe essere considerato e valutato correttamente, al fine di permettere a questi percorsi compensativi di apprendimento di essere considerati un meccanismo accettabile. “Per quanto riguarda le buone pratiche da adottare a scuola e in famiglia – conferma in tal senso Scabar – mi sembra importante sottolineare che gli insegnanti dovrebbero essere in grado di assumere un atteggiamento comprensivo, valutando ogni ragazzo in base al suo impegno. Inoltre, ogni insegnante dovrebbe conoscere bene le caratteristiche dei disturbi specifici ed evitare di mortificare il ragazzo davanti ai suoi coetanei. È chiaro che questo non significa non pretendere nulla dal ragazzo, bensì cercare di metterlo nelle migliori condizioni possibili per imparare, immaginando in lui l’adulto che sarà”.

 

Il genitore, invece, dovrebbe essere paziente, ottimista quando tutti sono pessimisti, collaborativo con la scuola, partecipando alle attività con il corpo insegnante. Quando tra insegnanti e genitori non c’è comprensione, le situazioni precipitano e chi ci rimette è il giovane studente: ciò non deve accadere perché l’impegno richiesto ad un ragazzo con difficoltà di attenzione, soprattutto quando associata a problemi di iperattività, è molto elevato, e quindi non va lasciato solo.

 

La diagnosi di questi disturbi è un percorso complesso che richiede l’intervento dello specialista, che mediante metodiche standardizzate ovvero verificate, come test e questionari specifici, è in grado di valutare e dare le giuste dimensioni alle cose. “Va sfatato – conclude Scabar – il mito secondo cui i disturbi dell’attenzione si diagnosticano solo attraverso una serie di brevi domande: le difficoltà specifiche dell’apprendimento si riconoscono solo mediante l’uso di strumenti condivisi, come le linee guida per gli operatori che si dedicano a queste problematiche”.

Paolo Baldassi

 


In collaborazione con Help!

 

 


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