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La vita da immigrati italiani

 |  Redazione Sconfini

Il fenomeno migratorio è al centro della storia e della politica italiana da più di un secolo, assumendo prima le proprietà di emigrazione di massa e, solo recentemente, di immigrazione. L’emigrazione italiana su larga scala ebbe inizio nel 1876 e continuò fino a poco più di trent’anni fa, interrompendosi solo negli anni delle due guerre mondiali. Storici e sociologi hanno denominato questo periodo “Il grande esodo”, viste le cifre raggiunte dalle stime del numero degli emigranti: in totale, quasi 30 milioni di persone lasciarono il Paese.

Grazie all’emigrazione, comunità di italiani sono fiorite in ogni parte del mondo: non a caso, nell’America Latina si sprecano centri dai nomi come Nova Milano o Nova Trento, alcuni dei quali si esprimono ancora in antichi dialetti italiani; negli Stati Uniti invece si possono visitare ben due città chiamate Napoli, quattro Venezia e perfino cinque Roma.
Il signor Giuseppe racconta l’esperienza del padre Antonio, emigrato in Brasile: “Partì nel 1905 da Genova alla ventura, nella speranza di trovare un lavoro all’estero, e lo trovò. Visse dieci anni in una comunità agricola di emigrati italiani, lavorando nei campi di caffè”. Sono numerose le storie come questa. Storie di emigranti che hanno dimostrato forza e determinazione, riuscendo a formarsi una nuova vita nelle Americhe.

Tuttavia non mancano esempi di sorti peggiori toccate ai nostri connazionali. Basti pensare ai frequenti naufragi dei tanti vascelli poco adatti, con a bordo centinaia di emigranti, che tentarono la traversata oceanica, oppure agli emigranti venduti come schiavi dagli agenti di navigazione ai latifondisti sudamericani. Si tratta di casi che la storia italiana commemora, se non con orgoglio, certamente con stima per quei compatrioti che affrontarono un destino così arduo. Quelli che invece si ricordano raramente sono gli episodi che hanno rafforzato l’associazione fra italiano e mafioso, in varie parti del mondo ed in particolare negli Stati Uniti.


“Non c’è stereotipo rinfacciato agli immigrati di oggi che non sia stato già rinfacciato, un secolo o solo pochi anni fa, a noi”, sostiene Gian Antonio Stella, nel suo libro L’Orda, pubblicato da Rizzoli nel 2002. Stella, nel suo saggio, elenca le molteplici somiglianze fra i nostri emigrati e gli extracomunitari che vivono in Italia oggi. Cita ad esempio l’alto tasso di criminalità, dimostrato dalla presenza del 20% di italiani fra gli stranieri nelle carceri americane; oppure l’alto tasso di alcolismo. In questo modo, l’autore getta una nuova luce sulle condizioni dei nostri emigranti, grazie alla quale si possono comprendere meglio anche le manifestazioni di xenofobia di cui sono stati vittime. Infatti, gli italiani non hanno sfuggito trattamenti simili a quelli di cui oggi si legge sui quotidiani in relazione ad immigrati balcanici o africani.

Evento simbolo di questi soprusi sono le vicende svoltesi ad Aigues Mortes, in Francia, dove nel 1893 i lavoratori francesi insorsero contro gli italiani, ritenendo che rubassero loro il lavoro: gli scontri divennero una vera e propria caccia all’italiano in cui morirono numerose persone.
Impossibile, quindi, non notare elementi ricorrenti nel confronto fra emigrazione di ieri ed immigrazione odierna; è inutile poi reprimere la memoria del passato emigratorio. Come sostiene Ada Lonni nella rivista Macaroni e Vucumprà, essa può invece “proporsi e tradursi come elemento attivo e fattivo nelle scelte sociali”.

foto: Siddhant Soni


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