Scelte d’amore: sbagliare può essere fatale
La lunga e spesso tortuosa strada dello sviluppo psicosessuale inizia al momento della nascita, o forse anche prima, con il rapporto primario. La lunga e forse ancor più tortuosa strada di ogni coppia comincia invece al momento dell’incontro, con quel “movimento collettivo a due”, come lo definisce Francesco Alberoni, che è l’innamoramento. Innamorarsi significa infatti entrare in uno “stato d’amore” grazie al quale ci si perde emotivamente in un “altro da sé” al quale ci si consegna con totalità e gioia e non senza una dose di fiduciosa, magica incoscienza. È sempre un momento straordinario, rivoluzionario, colorato con tinte intensissime e accompagnato da pulsioni sessuali sorprendenti, talvolta sconcertanti. L’innamoramento tende alla fusione, alla simbiosi e porta con sé un fortissimo bisogno di stare assieme, di vedersi, di toccarsi, di ascoltarsi, di raccontarsi all’altro, di illudersi d’aver trovato chi potrà soddisfare tutti i propri bisogni. Si viene a creare un clima affettivo che pare destinato a durare per sempre, una sorta di bolla caratterizzata dal fatto che gli “altri” ne vengono categoricamente esclusi. Per fortuna l’innamoramento, per quanto rappresenti un momento dinamico e gioioso indispensabile per la crescita, non dura a lungo. È una febbre esaltante e disordinata che però a poco a poco si stempera e si tramuta in altro, in altro amore, in altra passione, in altro affetto. Prende così progressivamente piede un intenso scambio psicologico in termini di “empatia”, processo grazie al quale si sente e si vive in sé ciò che l’altro vive e sente. Il tutto in un circuito di reciproco rinforzo che consente a ciascuno di avere in qualche modo dentro di sé parti dell’altro, che permette di conoscerlo meglio e sempre di più e, quindi, di amarlo maggiormente quando lo si trova in sintonia con il proprio ideale oppure, ed è il quadro complementare, di accorgersi che l’altro non corrisponde a ciò che si desidera o a ciò che ci si aspettava. Fino a non molti anni fa questo periodo prendeva il nome di “fidanzamento” e rappresentava il tempo in cui o il legame si consolidava definitivamente, oltre lo stato d’amore, o gli si poneva termine. Oggi il termine fidanzamento è diventato una parola che suscita molteplici e contrastanti sentimenti che abbracciano una vasta gamma di sfumature, dal rigetto al fascino un po’ vintage. Per questo è un’espressione che da una parte si vive come datata, fuori dal tempo e soprattutto fuori dall’attualità esistenziale delle giovani coppie ma dall’altra ha corsi e ricorsi continui sembrando talvolta legato ad un aspetto universale e a-temporale dell’umanità. Al punto che nella Sacra Scrittura troviamo addirittura indicato, attraverso la singolare metafora dell’amore coniugale tradito, che Dio è legato all’uomo da un rapporto di fidanzamento, fatto di tenerezza e di intimità. Forse per questo non sembra possibile dissociare più di tanto il concetto di fidanzamento da qualcosa di sacro tanto che la Chiesa ha sviluppato una sorta di pedagogia sul tema. E sarà probabilmente per lo stesso accostamento che sono tanti quelli che hanno invece proscritto il fidanzamento dal loro vocabolario. Fatto sta che il termine riemerge continuamente, oggi più di ieri anche perché ciascuno di noi ha conosciuto una fase della propria vita nella quale ha vissuto come “fidanzato”, forse senza nemmeno accorgersene. Perché ciascuno di noi, lo spero, almeno una volta è stato innamorato, evento che è intimamente congiunto ed ha radici in comune con il fidanzamento. Certo le affinità elettive sono frutto di un’alchimia davvero difficile da decifrare che non permette di dare regole di condotta a priori perché tali regole, anziché aiutare, potrebbero essere tossiche e nocive. In fondo, ad un’analisi più attenta e schematica, la scelta del partner è riconducibile a tre criteri sostanziali. Il primo riguarda la “natura” della scelta che può essere “razionale” o “irrazionale”. La scelta razionale implica un pensiero, a volte un calcolo e in genere avviene tra persone che si conoscono da lungo tempo. E se in passato entravano in gioco soprattutto fattori di convenienza economico-sociale come la dote, la carriera nell’azienda di famiglia, lo status pubblico, oggi il ragionamento prende in considerazione anche altri valori saliti più recentemente alla ribalta come la popolarità, positiva o negativa che sia, lo stile di vita simile, l’aspetto fisico. A questa modalità almeno originariamente assennata e riflessiva si oppone quella irrazionale-romantica, sintetizzabile nella suggestiva espressione del “colpo di fulmine”, del quale mi sono occupato in queste pagine qualche numero fa, e cioè di quella magica scintilla che scocca alla prima occhiata, quel cortocircuito istintivo che fa bruciare le tappe ai due amanti spingendoli prepotentemente uno tra le braccia dell’altro. Mi sento chiedere spesso se sia questo il modo giusto di mettersi assieme. Espressa in generale devo dire che la domanda non ha senso. Alcuni anni fa ad un congresso ho cercato di capire, assieme ad alcuni amici sessuologi, in base a quali criteri si erano formate le coppie che poi si erano rivolte a noi per problemi insorti nella loro vita sessuale e di relazione. Ricordo ancora lo stupore con cui notammo che la maggior parte di loro si era scelto proprio in base al colpo di fulmine. Evidentemente la grande carica passionale che li aveva coinvolti nel vortice amoroso non solo si era presto dissolta ma si era addirittura trasformata in un grave motivo di perturbazione e di instabilità. Il secondo criterio che orienta la scelta riguarda per così dire il “tipo” di persona e si scandisce nella coppia di opposti “uguale-diverso”. La preferenza per l’uguale a sé ha dominato e in parte domina ancora la nostra cultura indirizzata in senso endogamico. Questo significa interessarsi al compagno di scuola, al vicino di casa, al collega di lavoro e più in generale a chi condivide le stesse origini, la stessa comunicazione, la stessa matrice culturale, lo stesso livello socio-economico. Il conformismo rappresentato da questa tendenza prevalente ha scatenato in questi ultimi anni un movimento in senso opposto che potremmo definire esogamico: scegliere un partner di lingua e cultura diversa, della pelle di un altro colore, di una diversa classe sociale, di una diversa età. Anche in questo caso ci si deve limitare a registrare la presenza di due tendenze in atto senza voler consigliare l’una piuttosto che l’altra. Anche perché risulta evidente che ambedue possono rivelarsi scelte felici e costruttive o problematiche e distruttive. Basta pensare al rischio, in un certo modo morboso, presente in partner troppo simili tra loro dove manca il contraddittorio, il confronto, la critica. Oppure alle difficoltà di mediazione tra due persone troppo diverse tra loro, appartenenti a due culture estranee che parlano lingue sconosciute sia in senso concreto che metaforico. Un dato curioso ma interessante riguarda oggi le differenze generazionali. L’esperienza clinica sta infatti dimostrando che sono proprio le coppie con età molto diverse che sembrano superare meglio le difficoltà del vivere comune, forse per la novità della situazione o forse per la maggior responsabilità sociale alla quale si espongono. La terza alternativa da affrontare quando si sceglie l’uomo o la donna della propria vita è quella tra “migliore” o “peggiore”. Logica vorrebbe che chiunque perlomeno cercasse di unirsi ad una persona migliore di lei: più bella, più eccitante, più realizzata, più ricca… E invece, ed è ancora una volta la mia esperienza clinica a confermarlo, può avvenire esattamente il contrario. A seconda del grado di sicurezza, di fiducia in se stessi o del bisogno narcisistico di sottomettere o di essere sottomessi, si opterà per un partner dominante o per uno remissivo. Può avvenire, ad esempio, che un principe azzurro si innamori di una brutta anatroccola consentendole di trasformarsi in magnifica cigna, in altre parole che la posizione dialettica di superiore e inferiore consenta ad uno dei membri della coppia di riacquistare fiducia in se stesso sentendosi importante e considerato e contemporaneamente all’altro di concretizzare un bisogno altrettanto profondo di protezione e di stimolo. Certo, nulla è più delicato e dinamico dell’equilibrio che si viene a creare all’interno di una coppia. Se infatti la scelta iniziale del partner risponde in genere ad un bisogno reale, il trascorrere del tempo può modificare radicalmente l’assetto della relazione trasformando a volte l’uguale in diverso, l’inferiore in superiore. Più ancora del momento iniziale in cui si sceglie, è la gestione del tempo che passa a rappresentare il vero punto critico del legame. L’abilità e la tenuta della coppia stanno proprio nel sapersi destreggiare ed adattare ai cambiamenti, nel convertire le novità e i fattori di crisi in elementi di rinnovo e di stimolo, nel saper coltivare le componenti affettive e sessuali senza darle per scontate e senza trasformarle in sterili automatismi. Paradossalmente, se si guarda alla radice di molti conflitti di coppia si trova spesso una profonda incapacità a sopportare e a gestire il piacere. Sia dal punto di vista fisiologico che da quello psicologico o culturale è molto più facile, in realtà, sopportare il dolore che il piacere. Il dolore, infatti, si esprime in una gamma di sensazioni più conosciute e prevedibili con le quali è possibile stabilire una qualche forma di convivenza. Il piacere, invece, oltre a suscitare una sorta di morale diffidenza, è per sua natura più effimero, imprevedibile e caduco. Nella mia esperienza sessuologica, ad esempio, ho assistito svariate volte a fenomeni di difesa o di fuga davanti alla prospettiva di un incremento del piacere erotico, la cui intensità e instabilità spaventava e disorientava i due partner che preferivano rifugiarsi nella sofferenza, nel conflitto o nella competizione che, per quanto dolorose venivano considerate forme di relazione più sopportabili, più rassicuranti, più affrontabili. Non è assolutamente facile né scontato, anche se potrebbe sembrare una strada ovvia, riavvicinare le coppie al piacere, insegnare a conoscerlo, a rivitalizzarlo continuamente e ad utilizzarlo come risorsa dinamica e progettuale. dott. Filippo Nicolini BOX: Quanti ranocchi bisogna baciare prima di trovare il principe azzurro? Lo scrittore newyorkese Andrew Trees ha analizzato l’aspetto statistico e scientifico dell’amore tramite sondaggi e ricerche sui rapporti sentimentali pubblicando i risultati in “Decoding Love”, libro cult negli Stati Uniti, che raccoglie le scoperte più sorprendenti sull’argomento. Gli esempi sono curiosi. Il numero di sorrisi da sfoggiare in un’ora per conquistare un uomo è uguale a trentacinque mentre, per rimanere in tema, il numero dei rospi da sedurre prima del successo amoroso è pari a dodici. E ancora, se una donna vuole essere certa di tornare a casa con un numero di telefono in rubrica conviene che aspetti il momento dell’ovulazione mentre scegliere un profumo dalla fragranza floreale e speziata, può farla sembrare più magra di circa 5 chili. Quali sono poi i comportamenti da evitare a tavola per sperare in un secondo appuntamento? Per il 46% degli intervistati non bisogna rispondere al cellulare, per il 41% non si deve trattare male il personale del ristorante; il 26% degli uomini e il 37% delle donne non amano che il partner parli troppo di sé e il 30% non dà un’altra chance se si affronta l’argomento ex. Infine, sempre per le donne, meglio godersi la cena ed evitare di parlare del proprio peso o della prossima dieta: il 40% degli uomini lo trova insopportabile.