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Chi ha paura del fuoco?

 |  Redazione Sconfini

 Chissà perché ogni qualvolta le Borse perdono più del 2% sembra che sia il Nerone più in forma e malefico il vero protagonista del mercato? Non so se è un problema di scarsa fantasia, di noiosa

ripetitività o di scontata banalità, ma il ricorrere a queste immagini infernali è diventata la norma. Ma il povero investitore, circondato dalle fiamme mentre assiste impotente all’incenerimento del mucchietto di banconote (e sì, perché una parte di quella capitalizzazione andata in fumo è anche risparmio suo!), come la prende? Nessuno gli ha mai detto, e certamente non l’ha mai letto, che se il denaro brucia quando il mercato scende, nello stesso modo esso si genera dal nulla allorquando il mercato sale. Vi è forse mai capitato di leggere un titolo, il giorno successivo ad un rialzo del 2%, del tipo: “Creati dal nulla 166 miliardi di euro. Allegria!”. È vero che fa più rumore un ramo che cade che una foresta che cresce; è vero che non fa notizia il ragazzino che aiuta la vecchina ad attraversare la strada o quello che trascorre il proprio tempo libero facendo volontariato; mentre leggendo i giornali scopriamo solamente gli autori di scippi o rapine. È tutto vero. E così fa più notizia la Borsa che scende del 2% in una sola seduta, piuttosto di quando sale per dieci giorni dello 0,2%.

 

altNon voglio sostenere che la crisi generata dalla concessione dei mutui cosiddetti subprime sia trascurabile ed indolore, ma piuttosto sottolineare come siano stati usati in modo assolutamente identico gli stessi titoli anche a cavallo di febbraio e marzo dopo il pesante scivolone del mercato cinese in un solo giorno, o durante la primavera dello scorso anno quando il calo del prezzo del petrolio mise a dura prova il settore delle materie prime. Perdere l’8,5% in una seduta come è successo a Shangai a febbraio certo non è cosa da poco. Allora però la percezione che poteva trarre il risparmiatore dai media era che tutto il mondo ormai ruotasse intorno alla Cina; che quell’evento potesse essere propedeutico a crisi epocali; e via allora ogni giorno con titoli inneggianti ai soliti miliardi inceneriti. Il fatto che quello stesso mercato fosse già salito di più del 30% dall’inizio dell’anno e di oltre il 100% nell’ultimo anno non lo evidenziava quasi nessuno. Più o meno stessa situazione per l’altro episodio citato, con il petrolio protagonista: nervi a fior di pelle, vendite in perdita a rotta di collo e ancora una volta il risparmiatore più emotivo e mal consigliato a rimetterci. Come sempre.

 

Piuttosto che tediarvi nel fornirvi spiegazioni tecniche sull’origine dei mutui subprime, sulla funzione delle cartolarizzazioni, sull’inefficienza dei controlli e sull’inaffidabilità delle società di rating, di cui certamente avrete già letto e sentito a sazietà, preferirei proporvi un altro ragionamento.

 

Il risparmiatore che sta valutando di investire nel mercato azionario, messo di fronte “all’emergenza incendi”, ovviamente temerà di bruciarsi subendo irreparabili danni, ci penserà su non due ma cento volte e deciderà magari di lasciar perdere ritenendo che il rischio non valga la candela. Naturalmente anche quello che già ci è entrato avvertirà sintomi di soffocamento da fumo, sarà colto dalla tentazione di scappare e i suoi incubi saranno zeppi di banconote ormai incenerite. Insomma districarsi tra gli investimenti azionari sembra peggio che attraversare un campo minato: un vero terreno per temerari!

 

A ben leggere però i dati pubblicati da un autorevole quotidiano finanziario, l’investimento su di un semplice indice azionario risulta molto più remunerativo anche del “tranquillissimo” investimento immobiliare, sia sulla distanza dei vent’anni, che su quella dei quindici nonché dei dieci anni. E di gran lunga! Non alludo a strumenti finanziari particolarmente ben gestiti, il che sarebbe ovviamente ancora molto meglio, ma a banalissimi e semplicissimi indici. Sarà forse perché con l’immobile si è ormai abituati a fare ragionamenti e valutazioni di lunghissimo periodo mentre con i fondi azionari si è condizionati dagli andamenti a breve? Temo proprio di sì, perché con dei confronti omogenei sullo stesso periodo i dati a favore del mercato azionario sono schiaccianti. D’altronde il leggendario Peter Lynch, gestore del mitico Magellan Fund, ha dichiarato che nonostante il suo fondo abbia reso il 28% all’anno per un periodo di 13 anni, addirittura il 50% dei suoi sottoscrittori hanno realizzato delle perdite. Come è possibile? Basta tentare di correre dietro ai mercati perdendo di vista i propri obiettivi e la frittata è fatta.

 

Vi invito ancora a un’ultima riflessione in merito. Molte volte mi capita di sentir affermare il risparmiatore di non voler perdere. Ma chiedo: non perdere rispetto a che cosa? Normalmente chi manifesta questo timore intende rispetto allo zero. Meglio avere un segno positivo magari modesto che rischiare di trovarsi lo spauracchio del meno davanti alla percentuale di resa del proprio investimento. Ma scusate, qual è il motivo per cui si investe? Non è forse il voler difendere il potere di acquisto del proprio capitale? Quindi proteggersi dall’inflazione e magari guadagnarci qualche cosa? In tal caso il rendimento dell’investimento deve essere depurato dall’inflazione per ottenere un calcolo corretto. Rendimento reale quindi. Mentre quello che non tiene conto dell’inflazione è un puro rendimento nominale. Nominale contro reale: qui saltta l’equivoco! È puramente illusorio pensare di non perdere nulla solo perché non si è mai andati in negativo: se il tasso di rendimento è inferiore all’inflazione, l’unica certezza che si ha è proprio quella di perdere potere d’acquisto e quindi depauperare negli anni il proprio patrimonio.

 

Da un’interessante analisi di una primaria Sgr (Società di gestione del risparmio) italiana si evincono dei dati sorprendenti. I rendimenti di varie tipologie di investimenti, in un periodo significativo che va dal 1962 al 2002, depurati dall’inflazione (rendimento reale quindi), rivelano che se in un anno la perdita massima realizzata in un investimento sull’indice azionario mondiale è stata molto elevata (45,8%), pur a fronte di un guadagno massimo del 57,3%, con il passare del tempo questo rischio si è sostanzialmente annullato. Dopo vent’anni infatti, il risultato peggiore, sempre tolta l’inflazione, è di un +0,5% e il migliore di quasi il +14% annuo.

 

Nei titoli di Stato di breve termine, invece, nell’arco di un anno il risultato peggiore è stato ovviamente di gran lunga inferiore (-3,8%) e quello migliore del 7,4%. Ma è nel lungo periodo che arrivano le più grosse sorprese. A fronte di un modesto 3% quale risultato più interessante, le obbligazioni a breve, ritenute un porto tranquillo e sicuro in termini nominali, possono aver fatto perdere in termini reali addirittura il 2,6% annuo.

 

Il buon Catalano (chi se lo ricorda?) avrebbe candidamente detto: meglio rischiare di guadagnar poco per guadagnare molto che guadagnare poco rischiando di perdere molto! E tutto ciò esaminando dei semplici indici. Avendo a disposizione dei fondi ben gestiti e che battano i benchmark, i tempi per ottenere tale effetto si ridurrebbero notevolmente.

 

Guardate dentro voi stessi e non ai mercati, pensate ai vostri obiettivi e non al guadagno, valutate bene il tempo a disposizione, scegliete dei bravi gestori che abbiano avuto nel tempo dei risultati sui quali possano essere giudicati positivamente e non accontentavi di quello che vi viene offerto in prima istanza, non fatevi influenzare dalla grancassa mediatica e siate coerenti per tutto il tempo necessario. Allora sarete diventati degli investitori professionisti.

 

Furio Impellizzeri, vicepresidente Copernico Sim

 


In collaborazione con Help!

 

 


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