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Napolitano contro Grillo: c'è mica dietro la corsa al Quirinale?

 |  Redazione Sconfini

L'ultimo 25 aprile sarà purtroppo ricordato come quello che, a prescindere dalla prospettiva politica attraverso cui si interpreta l'attuale corso degli eventi, a tutti gli effetti è uno dei più disastrosi harakiri del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Quello che dovrebbe essere il più alto arbitro, il garante della Costituzione, il simbolo dell'imparzialità è precipitato in un pericoloso vuoto istituzionale quando, parlando di Beppe Grillo senza nominarlo (manco fosse Lord Voldemort o l'Innominabile dei Promessi Sposi) ha tuonato contro il populismo chiedendo di "non dare fiato ai demagoghi di turno".

Poi una serie di deliri sull'insostituibilità di questi partiti (come minimo collusi con la mafia) e la necessità di estirpare il marcio (ma avete mai visto una zecca staccarsi spontaneamente dal corpo senza aver concluso il banchetto). Un invito a nozze per Grillo, che ha alzato il tiro delegittimando ulteriormente Napolitano "presidente dei partiti" e non degli italiani.

Il punto qui però non è stabilire chi ha ragione e chi ha torto. Vale la pena però rilevare lo spergiuro di Napolitano alla Costituzione che teoricamente dovrebbe difendere. L'art.49 prevede che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

Perché mai a Napolitano vanno bene praticamente tutti i partiti (inclusi quelli con un tasso di mafiosità superiore a qualsiasi famiglia mafiosa corleonese) e non una libera associazione di cittadini riuniti attorno al simbolo del Movimento 5 Stelle (che di fatto è un partito anche se per smarcarsi anche lessicalmente dalla melma partitica non si vuol far chiamare partito)?

Il sospetto sorge quindi spontaneo: le elezioni previste per la primavera 2013 spariglieranno notevolmente le carte se il Movimento 5 Stelle supererà (come sembra largamente possibile) il 7-8% e i cosiddetti grillini invaderanno Camera e Senato con decine di rappresentanti. Un numero insufficiente evidentemente ad ambire al governo del Paese, ma fortissimo per incidere nelle elezioni del prossimo Presidente della Repubblica.

Si respira un terrificante odore di marcio propagato da questo "pensiero unico" che anima tutto l'ancien regime italico e desta il sospetto che i partiti già si siano accordati alle spalle dei cittadini su come spartirsi le prossime cariche (Quirinale, Palazzo Madama e Montecitorio). Il timore generato dalla possibilità di un'infornata di grillini sta facendo uscire di testa i contabili delle poltrone e quello di Napolitano è stato forse solo un gesto di stizza e di nervosismo legato alla concreta possibilità che il tavolo imbandito possa saltare.

D'altronde la Storia, quella con la "S" maiuscola ha sempre dato torto a Napolitano, uno dei pochi comunisti del tempo che non ha avuto il coraggio di fare il partigiano, ma che è stato stalinista ai tempi di Stalin, favorevole alle occupazioni violente dell'Armata Rossa nei paesi dell'ex blocco comunista negli anni '50, contro Berlinguer sulla questione morale, al fianco di Berlusconi su scudo fiscale e lodo Alfano (incostituzionale) oltre che sulla nomina di ministri pregiudicati (Brancher) o in odor di mafia (Romano). Perché dovrebbe iniziare ad avere ragione oggi, che è alle soglie dei 90 anni?

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