Anche per il lavoro ci si può ammalare
Le innovazioni tecnologiche introdotte negli ultimi anni hanno apportato numerosi benefici a chi opera all’interno di una realtà aziendale, permettendo di diminuire a poco a poco il numero di alcune patologie sino a farle anche scomparire del tutto.
I tempi sono cambiati e ciò di cui si soffriva molti anni fa, causa di problemi per la salute sul lavoro, fa ormai parte del passato. Non bisogna dimenticare tuttavia che il superamento del vecchio per opera del nuovo porta sempre con sé nuovi problemi da risolvere, che a volte possono nuocere all’uomo arrecandogli nuove difficoltà.
L’introduzione di nuove tecnologie nei processi produttivi ha portato sicuramente uno sgravio lavorativo per molte persone, che hanno visto diminuire sensibilmente i tempi di lavoro e soprattutto hanno assistito al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie degli ambienti in cui operano quotidianamente. Comunque, nonostante tutto, l’attività professionale continua ad essere causa di malattie che tediano la salute del lavoratore mettendo a repentaglio la sua capacità lavorativa ed è per questo che non bisogna mai abbassare la guardia e sottovalutare il problema, anche perché da sempre il lavoro è la principale fonte di sostentamento e di realizzazione dell’essere umano. Per avere un quadro più esauriente su questo tema, ci siamo rivolti al dottor Maurizio Cannarozzo, psicoterapeuta e medico del lavoro, per capire quali passi ha compiuto il nostro sistema giuridico in materia di medicina del lavoro e soprattutto comprendere quali sono le nuove realtà che i lavoratori incontrano sul posto di lavoro.
“Solitamente quando si parla di malattie professionali – afferma Cannarozzo – ci si riferisce a quelle patologie nelle quali l’aspetto lavorativo è importante nella loro genesi, in particolare rispetto all’infortunio, che accade in un momento preciso ed è rappresentato da una causa violenta che determina un cambiamento dello stato di salute di una persona. Più correttamente, la malattia professionale nasce quando l’esposizione ad una causa patogena determina uno stato di affezione anche se non c’è un evento traumatico singolo, quando cioè l’azione continuativa di un agente fisico, biologico, cancerogeno, o che dipende dall’organizzazione stessa del lavoro, produce un mutamento dello stato di salute. Per poter parlare di malattia professionale, pertanto, ci deve essere una correlazione tra il quadro clinico che il soggetto manifesta e l’agente ritenuto responsabile del disturbo”.
Nel corso degli anni abbiamo assistito alla scomparsa di alcune patologie che si manifestavano di frequente in seguito ad esposizioni nell’ambiente lavorativo ad agenti in grado di dare uno stato di malattia anche grave. Nel primo dopoguerra le vere emergenze sociali di cui si occupò la medicina del lavoro furono essenzialmente due: la silicosi, malattia causata dall’accumulo di silice nel tessuto polmonare con la comparsa di noduli fibrosi che impediscono i corretti scambi respiratori, e l’asbestosi, malattia polmonare cronica conseguente all’inalazione di fibre di asbesto, causa di tumori polmonari. “Fortunatamente – aggiunge Cannarozzo – il mondo del lavoro è cambiato moltissimo e non vediamo più grossi quadri patologici di questo genere: la silicosi, ad esempio, è una malattia professionale scomparsa quasi del tutto”. Alcune misure preventive che si stanno adottando, inoltre, mirano ad eliminare o a far decrescere altre malattie professionali che per anni sono state un flagello per i lavoratori: ci riferiamo agli avvelenamenti causati dal piombo e dai metalli pesanti e alla sordità provocata dai rumori dei cicli aziendali, a cui in particolare si cerca di porre un limite utilizzando protezioni individuali e dispositivi di abbattimento del rumore alla fonte.
“Un decreto legislativo importante che ha dato una svolta a tutta la filosofia preventiva della medicina del lavoro – spiega Cannarozzo – è il decreto 626 del 1994, che ha identificato delle figure professionali con compiti precisi per la valutazione dei rischi nell’ambito lavorativo e per occuparsi della prevenzione nello svolgimento di un’attività professionale”. Un intervento normativo sicuramente importante visto che recentemente si è assistito alla nascita di nuove morbosità dovute all’ambiente di lavoro, motivo di nuove misure precauzionali. È stato così, ad esempio, per le patologie dovute all’esposizione ai raggi X: leucemie, tumori della pelle e linfomi sono le comuni malattie di quelle categorie professionali esposte alle radiazioni ionizzanti come i radiologi, gli ortopedici e gli infermieri professionali.
È bene ricordare, inoltre, che il decreto 626/94 ha aperto il discorso sulla tutela della salute del lavoratore durante lo svolgimento dell’attività lavorative al videoterminale, in particolar modo per il settore impiegatizio. Si tratta di quelle patologie determinate da un’errata organizzazione del lavoro e legate all’inadeguatezza dei mezzi messi a disposizione degli operatori. Lo studio delle problematiche legate al lavoro con un videoterminale ha permesso di allargare il campo di osservazione sugli operatori soggetti allo stress, fenomeno conosciuto dagli inizi del secolo scorso e che oggi genera varie patologie a livello fisico e/o psichico anche di una certa importanza. La normativa, in tal senso, introduce il termine di ergonomia del posto di lavoro: è evidente che anche un lavoro impiegatizio che richiede soltanto l’uso del videoterminale, se compiuto in posizione scorretta, può essere causa di affezioni muscolo-scheletriche o aggravare affezioni pregresse.
“È molto importante – sostiene Cannarozzo – che il medico del lavoro abbia l’opportunità di effettuare delle visite al momento dell’assunzione per stabilire subito l’idoneità fisica e di eseguire in seguito mirati controlli periodici al fine di prevenire l’evoluzione di sintomi insorgenti verso una malattia professionale”. Lo scopo della sorveglianza sanitaria è quello di riuscire ad attuare una valida prevenzione secondaria, riuscendo a diagnosticare e trattare tempestivamente il soggetto prima che la malattia si sia sviluppata in maniera conclamata. La prevenzione primaria, invece, è attuata quando il medico competente riesce ad eliminare la causa di una possibile malattia: ad esempio, se si riescono a configurare le postazioni di lavoro in modo ergonomicamente corretto.
In generale, il medico competente chiamato ad esprimere un parere sulle condizioni di salute di un lavoratore può esprimere un giudizio di idoneità, di non idoneità temporanea, che può essere totale o parziale, e di non idoneità permanente, che può anch’essa essere parziale o totale. Questi giudizi, che in un’impresa di grandi dimensioni possono permettere la ricollocazione del lavoratore in un altro tipo di mansione, possono essere impugnati dal lavoratore entro trenta giorni; in questo caso il giudizio è demandato a una commissione provinciale dell’Azienda sanitaria che valuta la situazione. Va detto che spesso i lavoratori non sono perfettamente consapevoli di questo loro diritto, così come accade che non conoscono un altro aspetto previsto dalla legge 626, quello che prevede una formazione sanitaria adeguata sui rischi lavorativi per ciascun lavoratore in modo da avere un lavoratore sempre più informato e consapevole mentre esegue le proprie mansioni.
Esistono anche delle normative che impongono al datore di lavoro un sovrappiù qualora ci siano delle persone disabili che lavorano all’interno dell’azienda. La gestione dei lavoratori disabili con percentuali di invalidità lavorative alte, in genere, è un altro dei compiti affidati al medico competente. Il numero complessivo di questi lavoratori è stabilito dalla legge in base alle dimensioni dell’azienda e il datore di lavoro deve affidarsi a una persona capace di stabilire se un tipo di lavoro è adatto oppure no a quella persona disabile.
Rispetto alla sua applicazione iniziale, la legge 626 è stata migliorata non poco cercando di dare una maggiore attenzione alle diverse tipologie di impresa esistenti. “La situazione in questo campo – osserva Cannarozzo – sta migliorando. Il settore che ancora soffre molto è quello dell’edilizia”. “Va detto – aggiunge – che la legge 626, come organo legislativo e regolativo, è una legge che si presta molto bene ad essere utilizzata in settori particolari come la grande industria, però ha bisogno di essere rivisitata per quanto concerne la sua applicazione nella piccola impresa: può diventare un impianto giuridico talmente grosso da essere vissuto dal datore di lavoro come una vessazione da parte degli organi di vigilanza. Una grande azienda ha più capacità di investire nella prevenzione mediante la sorveglianza sanitaria, i compensi per i professionisti da adibire al controllo della sicurezza e i fondi per la prevenzione. Il piccolo imprenditore, invece, ha minori risorse per fare ciò, ed è chiaro che questo fatto determina una sensibilità diversa sull’argomento”.
Paolo Baldassi