Tumori: prevenzione o diagnosi precoce?
La mia possibilità di approfondire il tema della “prevenzione oncologica” deve limitarsi alla “oncologia ginecologica”, perché solo qui posso coniugare la conoscenza all’esperienza diretta e, quindi, offrire al lettore un’idea chiara non solo delle possibilità ma anche dei limiti della prevenzione dei tumori, dando dei suggerimenti concreti ma non illusori.
Parlare genericamente di “tumore” non ha molto senso perché ognuno ha una sua “storia naturale”, ciascuno è diverso dall’altro: sono necessarie delle competenze specialistiche. A me pare comunque che i limiti siano ancora superiori alle possibilità: poiché gl’insuccessi non fanno notizia, spetta poi al singolo medico ricondurre l’illusione alla realtà, quando incontra il singolo paziente, talora stupito del fatto che ad un suo parente o ad un suo amico sia stata identificata la presenza di un tumore “nonostante tutto quello che si dice sulla prevenzione”.
L’informazione, se illusoria genera sfiducia ingiusta nelle possibilità della Medicina, se realistica permette di capire e di capirsi. Adesso si tratta di capirsi. Se per prevenzione intendiamo “un’azione atta ad impedire che si verifichi l’evento-malattia” (ci si riferisca alle vaccinazioni come modello ideale), penso che per ciò che riguarda i tumori questo non sia ancora possibile, con l’unica eccezione del cancro del collo dell’utero, “eccezione” non solo per la ginecologia ma per l’oncologia intera.
Analizziamo il Codice Europeo Contro il Cancro, tenendo ben presente che è stato redatto da una commissione di esperti dopo l’esame severo delle conoscenze disponibili e dei risultati realisticamente raggiungibili: le fonti bibliografiche sono chiaramente citate. Così, anche quelli che sembrano i consigli della nonna saggia – non fumare, non bere troppo né mangiare male, muoversi e respirare aria salubre – sono in realtà i migliori consigli ad oggi disponibili “per evitare alcune neoplasie”: il cancro del polmone correlato al fumo sia un esempio. Evidentemente non c’è altro. Ne risulta che non ci sono “azioni atte ad impedire con certezza che si verifichi l’evento-tumore”, pur non pretendendo altra “certezza” se non quella della Medicina, sempre ricca di eccezioni: nemmeno quella.
Poiché in oncologia la prevenzione primaria non dà alcuna garanzia, l’attenzione si sposta sulla prevenzione secondaria, cioè sulla diagnosi precoce: si fonda sull’idea che i tumori siano un po’ come i bambini, “nascono piccoli e diventano grandi” e, soprattutto, sull’altra idea che la probabilità di guarigione aumenta in maniera direttamente proporzionale alla precocità della diagnosi. Entrambe queste idee sono teoricamente corrette, ma ammettono ampie eccezioni: potrebbero essere valide per i “tumori solidi”, cioè per i tumori che hanno massa e occupano spazio, ma non lo sono per i “tumori non solidi”, come ad esempio le leucemie, che riguardano i globuli bianchi e che, pertanto, non si accrescono volumetricamente; e un’altra eccezione è rappresentata dal cancro dell’ovaio che, pur essendo sicuramente solido e quindi chirurgicamente aggredibile, “nasce già grande” e diffuso, per precise motivazioni anatomiche, in tre casi su quattro.
L’ideale della diagnosi precoce sarebbe quello di identificare la presenza di un tumore nella sua fase preclinica – quando ha una fase preclinica – cioè prima che dia sintomi, ricercandolo attivamente nella popolazione presunta sana senza attendere passivamente che dia segno di sé. E ciò significa avere degli esami – chiamati test di screening – da proporre periodicamente a tutti, con una frequenza che dipende dalla “storia naturale” del singolo tumore, diversa da uno all’altro e che dev’essere conosciuta, e che si propongano lo scopo d’identificarne la presenza prima della comparsa di sintomi specifici, per anticipare il trattamento chirurgico il più possibile e per aumentare al massimo le probabilità di guarire definitivamente, senza ulteriori patemi d’animo. Test di screening sono disponibili anche per malattie non oncologiche: il controllo medico della gravidanza, ad esempio, è in realtà una sommatoria di test di screening.
I criteri per poter proporre uno screening di massa ad una popolazione presunta sana sono stati chiaramente delineati da Sackett trent’anni fa. E, per ciò che riguarda i tumori, appare di buon senso non sottoporre tutti ad un esame volto alla ricerca di un tumore rarissimo, o di uno per il quale non esistano significative possibilità di terapia, oppure se l’esame per identificarlo è eccessivamente invasivo o doloroso o rischioso, o se il numero dei “falsi negativi” (cioè dei tumori non identificati) è troppo alto, o è troppo alto il numero dei “falsi positivi” (cioè di individui supposti portatori di un tumore che in realtà non hanno, ma che verrebbero sottoposti inutilmente ad ulteriori e più invasivi esami).
Se adesso, avendo chiare queste idee, ritorniamo al Codice Europeo Contro il Cancro non possiamo che constatare che sono soltanto due, attualmente, i test di screening ritenuti sicuramente validi e proponibili a tutta la popolazione indipendentemente dalla presenza di sintomi specifici, e riguardano le donne: l’arcinoto Pap-test per il cancro del collo dell’utero (raccomandazione n° 9) e la mammografia per il cancro del seno (raccomandazione n° 10). Per i tumori del colon e del retto esiste la raccomandazione a partecipare a programmi organizzati di screening (raccomandazione n° 11), ma non è detto quale sia l’esame. Il cancro della prostata, pur preoccupante anch’esso per frequenza, e la determinazione del PSA (Prostatic Specific Antigen) non sono nemmeno menzionati. E negli altri casi l’invito degli esperti europei è quello di una diagnosi tempestiva basata ancora, tuttora, sul riconoscimento del primo sintomo (raccomandazione n° 8): sia questo la presenza di una tumefazione, di un neo che cambia forma, di un sanguinamento anormale, o di altri sintomi ritenuti inusuali.
Al paziente che cerca informazioni sulla prevenzione della patologia tumorale nello studio di un medico, o al lettore che cerca le stesse informazioni su un periodico non specializzato, non debbono giungere messaggi illusori. I progressi dell’oncologia riguardano il trattamento dei singoli tumori più che la possibilità di una reale prevenzione: il trattamento, più della prevenzione, ha ridotto la mortalità per tumore, rimanendo quest’ultima un ideale non raggiunto che in pochi casi.
Mi sembra che le raccomandazioni del Codice Europeo Contro il Cancro evidenzino i limiti, più che le possibilità, della prevenzione in campo oncologico. Ho una fede incrollabile nel pensiero scientifico che è in progresso continuo, e nella storia del pensiero scientifico in cui, seppure talora dopo alcuni o molti anni, la verità finisce per imporsi e divenire indiscutibile; e credo che anche nella lotta contro i tumori la nostra generazione è più fortunata di quelle che l’hanno preceduta e lo è meno di quelle che la seguiranno.
Se, dopo aver “cliccato” sulla scritta “invia questa pagina ad un amico”, continuate la navigazione in quell’immenso mare che si stende verticale, anziché orizzontale, davanti ai vostri occhi, potreste giungere anche in porti non sicuri perché non controllati. Potreste imbattervi in affermazioni deliranti come “la guerra del cancro è stata definitivamente vinta cinquant’anni fa, ma nessun medico oncologo ospedaliero ve lo confesserà mai” (cfr. www.nexusitalia.com/news_new/index), banale storpiatura del titolo di un film di Woody Allen. Oppure come “prima di arrivare all’intervento chirurgico di asportazione della massa tumorale […] si deve condurre una fitoterapia continua per molti mesi (12-18 mesi), allo scopo di chiudere l’iter terapeutico prima di procedere alle terapie di seconda e terza linea”, dove la chirurgia è considerata solo di terza linea (cfr. www.fermanoproduce.com). E potrei continuare.
Così, vorrei aggiungere al Codice Europeo Contro il Cancro un’altra raccomandazione, sarebbe la numero 13: guardatevi dagli imbecilli. Sono pericolosi perché delirano quando ritengono che la “potestà di curare”, prerogativa indiscutibile di un medico, sia una facoltà senza limiti. Sono pericolosi perché si travestono da dottori, ma di questi hanno solo la laurea: non l’esperienza né l’onestà culturale. Sono pericolosi e si aggirano anche nella nostra regione.
dott. Francesco Morosetti, ginecologo