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Calcio & Medicina: 9 fuorigioco su 10 sono inesistenti per colpa delle saccadi

 |  Redazione Sconfini

 

Spesso gli arbitri si ritrovano al centro di polemiche per sviste ed errori più o meno clamorosi. Va detto, però, che le loro mancanze non sempre sono dovute a inesperienza o distrazione: qualche volta il direttore di gara e gli assistenti sono ingannati dai loro stessi occhi. Tutta colpa delle “saccadi”, dette comunemente movimenti saccadici. Per saccadi s’intendono quei movimenti oculari rapidi che rappresentano la stragrande maggioranza dei nostri movimenti dell’occhio.

 

L’occhio umano è stato spesso paragonato ad una macchina fotografica per la presenza di una “pellicola” sensibile, la retina, e di una lente in grado di mettere a fuoco diversi piani. Tuttavia la similitudine con una macchina fotografica si ferma qui. Se prendessimo in considerazione l’immagine singola che viene elaborata dalla retina e dal cervello, scopriremmo che la qualità è molto scarsa.

 

Il mondo contiene troppe informazioni visive, ma l’evoluzione ha saputo risolvere il problema inventando la fovea, zona centrale dell’occhio, che vede benissimo solo piccole porzioni del campo visivo e lascia ad altre parti del cervello il compito di ricomporre l’immagine rilevata in modo grossolano dalla retina. Ciò che pensiamo di vedere in modo completo, non è l’immagine in sé, bensì la sua rielaborazione mnemonica, l’unica che la nostra mente può riconoscere. In altri termini, vediamo l’insieme in modo nitido perché la memoria ricostituisce il resto dell’immagine dandoci l’illusione della nitidezza.

 

È inoltre difficile accorgersi della ridotta dimensione del campo visivo utile al momento che il cervello corregge l’immagine portandola a fuoco proprio grazie a continui movimenti oculari rapidi (saccadi) di esplorazione dell’ambiente. Non possiamo fissare lo sguardo neanche se ci sforziamo di farlo: dopo al massimo mezzo secondo, l’occhio compie piccoli movimenti correttivi (saccadi), come se fosse scomodo rimanere in quella posizione, devia di qualche frazione di millimetro per poi ritornare nella posizione orialtginaria. Le saccadi sono così rapide da durare intorno a un decimo di secondo e da superare velocità istantanee dell’ordine di 600 gradi/s.

 

Oltre a ciò, durante i movimenti oculari, il nostro cervello “spegne” la visione per evitare l’effetto telecamera, cioè uno sgradevole senso di scivolamento di immagine, di “mosso”; il meccanismo di base, definito “soppressione saccadica”, viene eseguito allo scopo utilitaristico di eliminare la sensazione di scivolamento delle immagini che altrimenti si verificherebbe.

 

La soppressione saccadica inizia circa 40 millisecondi prima che cominci il movimento vero e proprio dell’occhio. La quantità di soppressione visiva aumenta fino a diventare quasi totale durante la fase centrale del movimento e non viene ripristinata fino a quando il movimento non è completato. Alla fine, la soppressione saccadica può durare quanto una saccade, cioè un decimo di secondo. Se è vero che ad ogni movimento oculare siamo al buio per 1/10 di secondo e compiamo movimenti oculari almeno 2-3 volte al secondo, ne risulta che per circa un quarto del tempo durante il quale noi siamo svegli, siamo “ciechi”. Si tratta di stare al buio 4 ore al giorno!

 

Eppure la ricostruzione del blackout visivo che i processi mnemonici eseguono avviene senza il nostro controllo e la sensazione che abbiamo è quella di vedere “sempre e comunque”. Il nostro cervello, quindi, non ci fa perdere nulla, mettendo delle pezze dove manca il filmato: tali “pezze” vengono recuperate nei ricordi, nelle esperienze passate.

 

Se utilizziamo queste informazioni per capire le molteplici polemiche che nascono alla domenica (oggi anche al sabato…) dopo la fine delle partite a causa degli errori arbitrali, comprendiamo che molto spesso l’errore è determinato dai limiti fisiologici di ogni essere umano. Fuorigioco e falli non visti spesso scatenano la reazione dei tifosi e fanno volare parole grosse che sottovalutano i limiti dell’occhio umano, appesantendo così di responsabilità arbitri e guardalinee.

 

Purtroppo, in 2/10 di secondo, fase di oscurità fisiologica, può succedere di tutto. Intanto, un buon centravanti in quel lasso di tempo percorre due metri di campo verso la porta avversaria; altrettanti ne percorre in senso contrario un buon difensore… Se una squadra vuol far scattare un attaccante in fuorigioco, l’arbitro rischia di vedere offside di 4 metri che al momento giusto non erano mai esistiti!

 

Ma non è tutto. Ci si mettono di mezzo anche i processi cognitivi: il blackout visivo è sostituito da una ricostruzione di immagine basata sulle proprie esperienze. Se il guardalinee è individuo fiscalissimo e portato a vedere tanti fuorigioco, i processi cognitivi per coprire il “buco nero” si confronteranno con le esperienze passate: il risultato farà sì che il giudice di campo sarà veramente convinto di aver visto un fuorigioco. È altrettanto vero il contrario.

 

Non prendiamocela troppo, dunque, con le giacchette nere e sopperiamo ai limiti dell’occhio umano con la prova televisiva. Nel rugby, sport che ho praticato per anni, esiste già. Servirebbe anche e soprattutto nel calcio per dare giustizia ad uno sport che ne ha bisogno, per poter ridurre all’obiettività gli ultras più sfegatati, per arricchire attraverso i mezzi tecnici una giustizia che nessuno, neppure il più scaltro degli arbitri, con i limiti fisiologici dell’essere umano, potrà mai garantire.

 

dottor Stefano Rigo

specialista in otorinolaringoiatria, otoneurologo

 


 

IL PARERE DELL'ARBITRO

 

A colloquio con Fabio Baldas, ex arbitro internazionale di calcio.

 

Il ragionamento del dottor Rigo potrebbe rivoluzionare le dinamiche delle partite di calcio?

“Il suo ragionamento ben si addice al fuorigioco, ma è senza dubbio di scarsa utilità sulla definizione dei falli; questo perché il fallo si determina generalmente a seguito di un’azione continuata, ed è proprio su quell’azione che l’occhio dell’arbitro non smette mai di vigilare. È quindi difficile che si verifichino dei blackout ottici. Inoltre, il fallo è più una questione d’istinto: vedo e decido, questo vuol dire essere arbitro. Se vedo, penso e decido, non svolgo più l’attività di giudice di garaalt. Riguardo al fuorigioco, invece, concordo pienamente con il medico. Tra il ’95 ed il ’98, quando ero il vice del designatore degli arbitri Casarin, ho affrontato il problema a cui fa riferimento il dottor Rigo: tra il lancio della palla e l’ultimo giocatore c’è una grande distanza ed è quindi ovvio che con l’occhio l’arbitro deve guardare e coprire tale distanza; conseguentemente è plausibile che qualche fotogramma dell’immagine possa andare perso. Individuato il problema, si è cercato di trovare una soluzione: essa consisteva nell’allenare gli arbitri a tenere lo sguardo sull’ultimo uomo in attacco (quello potenzialmente passibile di fuorigioco) cercando di insegnare loro a percepire il rumore prodotto dal calcio dato al pallone nel momento del lancio lungo. Infatti, chiunque arbitra può confermare che il botto sulla palla in campo si percepisce abbastanza nitidamente. Anche in tal evenienza c’era comunque chi obiettava che il botto sul pallone era posticipato di alcuni millesimi di secondo, che potevano sempre determinare un dubbio. Si era anche ribattuto che l’esperienza insita nell’arbitro ed il suo istinto potevano marginalizzare l’errore. Ma tutto si fermò lì, pur consapevoli che statisticamente nove volte su dieci non è mai fuorigioco”.

 

E l’idea della moviola in campo?

“Nonostante siano necessari solamente 30 secondi per consentire al quarto uomo di verificare alla moviola l’azione incriminata ed avvisare l’arbitro che, a seguito di un’ulteriore verifica, può annullare o meno un goal o un’azione, il presidente della Fifa Blatter ha sempre rifiutato di utilizzare la tecnologia in campo asserendo come motivazione la notevole perdita di tempo per l’accertamento. Ma allora, mi chiedo… e tutti i minuti persi per proteste, espulsioni, ammonizioni e contrasti che poi rimangono anche per tutta la partita? Secondo il presidente, in campo c’è un arbitro e deve essere l’arbitro a decidere autonomamente. Se però ci fosse stata la moviola ai tempi di Lo Bello… probabilmente molti campionati avrebbero avuto esiti diversi. Il problema, però, è tutto del calcio italiano. In Inghilterra, ad esempio, i media e l’opinione pubblica si disinteressano completamente della figura dell’arbitro, e se la squadra del cuore perde, poniamo anche per un errore arbitrale, non scoppiano casi politici. È tutta una questione di cultura sportiva, in Italia anche di business”.

 

In che senso?

“Da noi lo show business è proprio questo: creare polemiche su arbitri e arbitraggi. Se non ci fossero, probabilmente non esisterebbe il Processo di Biscardi o la Gazzetta dello Sport. E sempre e solo una questione di soldi. Provi a pensare per un momento alla moviola in campo: non ci sarebbero più errori, e tutto quello che succede dopo le ore 18.00 non avrebbe più ragione d’esistere. E mi riferisco a tutte le trasmissioni televisive che si occupano di sport e che, possiamo dirlo, producono solo spettacolo a beneficio di Auditel e sponsor, senza dimenticare posti di lavoro, lauti compensi a consulenti esterni e stipendi d’oro”.

 

Il ragionamento del dottor Rigo, quindi, potrebbe trovare riscontro nella realtà solo se fosse in grado di produrre reddito per qualcuno?

“Ahimè, temo di sì”.

 

P.G.

 


In collaborazione con Help!

 

 


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