Conflitto di interessi in materia di digitale terreste: la lezione degli USA
Negli USA tale switch off è programmato da tempo per il 28 febbraio prossimo, termine che sembra stare stretto a molti, primi tra tutti i consumatori, centinaia di migliaia dei quali dovranno attendere ancora a lungo per ottenere il contributo statale per l'acquisto di decoder digitale (necessario da febbraio in poi, in quanto i vecchi televisori non sono provvisti del convertitore per il segnale digitale, leggi decoder). Sembra infatti che i fondi siano esauriti.
Nell'ingarbugliata situazione si inseriscono anche alcune delle principali società di telecomunicazioni come AT&T e Verizon, quest'ultima impegnata anche nel lancio di un nuovo standard di telefonia mobile in banda larga, il cosiddetto "LTE" o "Super 3G", entro il 2009.
L'LTE utilizzerà ampie fette di frequenze ora privilegio della "vecchia" televisione analogica e, finchè queste non si libereranno, non potranno partire le sperimentazioni del nuovo standard a banda larga.
AT&T invece, non sta ancora puntando sull'LTE, e infatti ha aderito alla richiesta iniziata dall'associazione consumatori americana per ritardare lo spegnimento delle TV analogiche.
Attore apparentemente secondario nella vicenda è Clearwire, azienda che ha fatto forti investimenti nel WiMAX, tecnologia wireless a banda larga concorrente dell'LTE: un ritardo nell'esordio del nuovo standard telefonico permetterebbe al WiMAX di conquistare grosse percentuali di mercato.
Caso vuole che il vicepresidente di Clearwire R. Gerard Salemme sia anche un consulente del neo presidente USA Barack Obama per gestire la delicata questione della transizione alla TV digitale. Può essere una forzatura interpretare la presenza di Gerry Salemme in un ruolo chiave come un fulgido esempio di conflitto di interessi?
Negli Stati Uniti la cosa non è passata sotto silenzio, e c'è già chi alza la voce prima che una decisione sia presa sull'argomento.
Immaginiamo di traslare una situazione simile all'Italia. Purtroppo sarebbe impossibile. A partire dagli anni '80, ovvero da quando le leggi Craxi permetterono alla Fininvest di Silvio Berlusconi e ai suoi network, di trasmettere su tutto il territorio nazionale, la concentrazione del mercato pubblicitario e dal 1992 (con una nuova legge creata ad hoc) anche dell'informazione televisiva finì in larghissima parte nelle sue mani. Con il passare del tempo la situazione precipitò, dal punto di vista delle più elementari norme Antitrust: nel periodo 1994-95, nel 2001-06 e ancora dall'aprile 2008 Berlusconi è anche Presidente del Consiglio e come tale può controllare anche le tv nazionali, la Rai, che - sempre per legge - sono dirette dal Governo in carica.
La situazione è così macroscopica da essere finita anche nel mirino dell'Europa. Dal primo gennaio 2006, con effetto retroattivo, la Corte di Giustizia Europea ha condannato l'Italia a una multa di circa 130 milioni di euro all'anno se Rete 4 non cederà a Europa 7 le frequenze che i network di Berlusconi hanno in concessione dallo Stato. Per l'Europa infatti l'assegnazione delle frequenze in Italia non rispetta la libera prestazione dei servizi e non ha criteri di selezione obiettivi. La sentenza europea è la terza a favore di Europa 7, che aveva vinto in precedenza un regolare bando, dopo quelle della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato. Il conto per gli ignari italiani è già vicino ai 390 milioni di euro!
La situazione italiana quindi non è paragonabile con quella americana, dove la sola presenza di un consulente legato a un'impresa coinvolta nel settore è, giustamente, fonte di dubbi e accesi dibattiti.