L’ipocrisia nobilita? Quando la prostituta diventa escort
Il dizionario italiano alla voce prostituire si esprime testualmente: “adibire a basso uso – vendere, sfruttare turpemente”, derivandone che l’espressione prostituirsi equivale testualmente ad “avvilirsi volontariamente, fare turpe mercato della propria dignità – abbassarsi a turpe servizio”, ed infine considerare il termine prostituta quale sinonimo di “meretrice”. Fin qui la letteralità espressiva ed identificativa di una certa realtà che, riferita ad un determinato e ben individuato tipo di donna, suole fare riferimento ad un’attività considerata ancora oggi “il mestiere più antico del mondo”.
Oggi si vive in una situazione globale nella quale non vi è più spazio per dei distinguo chiari ed assoluti in termini di valori quali la moralità, la dignità e il rispetto della propria persona, e pertanto non ci si deve meravigliare se a fronte di sempre più deboli campagne per una moralità più incisiva spesso animate da intenti sinceri (ma non sempre), le voci si affievoliscono o meglio vengono sempre più coperte dalle urla dei benpensanti che proclamano ai quattro venti, in nome di una non meglio identifica libertà di agire e di pensiero, la loro totale assenza di valori morali ed etici considerati ciarpame di una desueta società perbenista. Pertanto, ben si comprenderà come si giunga oggi non alla condanna di ogni forma di prostituzione (si badi bene nessuna esclusa!) optando molto più opportunisticamente per un sistema ipocrita (perché tale è) che etichetta in modo “nobile” ciò che nobile certamente non è.
Fa “tenerezza” pensare che il nostro povero Paese, lasciatosi alle spalle il secondo conflitto mondiale, salutò (anche se non mancarono rimpianti e borbottii) con entusiasmo l’arcinota “Legge Merlin” che pose fine all’esistenza delle arcinote “case chiuse”, presso le quali un regime sicuramente “maschilista” ma – non certo ipocrita – faceva convergere l’attività del meretricio ove donne “specializzate” nell’attività più antica del mondo non si sentivano certamente offese se identificate come prostitute (sia pure legalizzate), né tanto meno si maceravano l’animo con dubbi esistenziali a causa di ciò che la società pensava di loro. La Legge Merlin, infatti, fu sbandierata come fine tombale di una legalizzazione del meretricio che ipocritamente non voleva riconoscere essere sinonimo di vera e propria schiavitù sessuale a danno della donna.
È risaputo (e altro non sarebbe potuto avvenire) che nel periodo successivo all’entrata in vigore della legge – giungendosi sino ai giorni nostri – si è assistito ad una “riedizione” del meretricio in versione più “artigianale” ma non per questo numericamente meno evidente, tant’è che si sposta sulle strade sempre meno nascoste e defilate, giungendosi ai fenomeni attuali di plateale esibizione alla quale si sopperisce con generiche e cicliche “retate” delle forze dell’ordine che si attivano al meglio per circoscrivere il fenomeno. Il contraltare di ciò è che la prostituzione diventa meno visibile e – conseguenzialmente – si assiste ad una riedizione della casa chiusa, ma non più sottoforma di attività statale, bensì… privata! La conclusione comunque, per amore di verità, rimane una sola: prostitute erano ante Legge Merlin, prostitute sono le donne che attualmente svolgono tale attività nelle forme indicate.
A questo punto una riflessione: oggi qualcosa di moralmente non corretto genera per reazione un’alzata di scudi da parte di numerose fasce sociali, che – di fatto – vengono “irretite” da un organizzato sistema socio-cultural-politico che per non giungere al risultato di annullare qualcosa che non piace ma… fa comodo, opta per il metodo della rietichettatura. Tale metodo (ben consapevoli che è necessario non dimenticare che il mestiere più antico del mondo è esistito, esiste ed esisterà sempre), volendo dare un falso segnale di rinnovamento morale, non combatte il fenomeno riprovevole ed i problemi che genera, limitandosi a bypassare il tutto: ed ecco che la prostituta è (quasi per magia) sostituita dal sinonimo escort, ed il gioco è fatto!
In verità, vi immaginate un ipotetico colloquio fra una donna ed un suo interlocutore qualunque (donna o uomo che sia) che formula alla prima la domanda “che lavoro fai?” ricevendo la risposta “la prostituta”? Il ricorso al termine vero riteniamo non creerebbe grandi imbarazzi (nella donna che lo profferisce), ma pur sempre un minimo di incertezza la determinerebbe. Ed allora… che dire se la risposta è “faccio la escort”? Il primo risultato immediato è che l’interlocutore nulla più domanda, “freddato” da un dubbio amletico che non vuole considerare, pena l’essere considerato un soggetto “fuori tempo”. In effetti la domanda è: ma cos’è una escort? Domanda peraltro angosciante se si pensa che l’ipotetico signor Rossi tale termine lo ha sempre unicamente conosciuto e riferito ad un’automobile. Il problema è quindi risolto: la prostituta diventa escort ed il gioco è fatto. Ed allora, concludendo, possiamo affermare che un altro tabù frutto di un becero perbenismo sia stato annullato? Si può affermare che con un po’ di ipocrisia anche ciò che nobile non è tale diventa? A voi, cari lettori, l’ardua sentenza!
Mr. Cljmax