Dal campo al boccale: le radici della birra
Secondo la normativa vigente (Legge n. 1354 del 16 agosto 1962 modificata dalle Leggi 329/74 e 141/89, dal D.L. 109/92 e dal D.P.R. n. 272/98)
«la denominazione birra è riservata al prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica con ceppi di Saccharomyces carlsbergensis o di Saccharomyces cerevisiae di un mosto preparato con malto, di orzo o di frumento o di loro miscele ed acqua, amaricato con luppolo o suoi derivati o con entrambi.La fermentazione alcolica del mosto può essere integrata con una fermentazione lattica. Nella produzione della birra è consentito l’impiego di estratti di malto torrefatto e degli additivi alimentari consentiti dal decreto del Ministero della Sanità n. 209/96. Il malto d’orzo o di frumento può essere sostituito con altri cereali, anche rotti o macinati o sotto forma di fiocchi, nonché con materie prime amidacee e zuccherine nella misura massima del 40% calcolato sull’estratto secco del mosto».
> LE MATERIE PRIME
- L’orzo. Dopo il frumento, il mais e il riso è il più importante cereale coltivato al mondo con una produzione annua di 170 milioni di tonnellate di cui circa il 20% è destinato alla produzione del malto, fonte amidacea fondamentale per la produzione della birra. Il suo uso dipende dal fatto che l’orzo ha un elevato contenuto amidaceo, le glumelle (scorze) proteggono il seme durante le varie fasi della lavorazione e il suo contenuto in enzimi idrolitici, presenti dopo la germinazione, è molto elevato, rendendolo quindi tra i cereali più idonei alla produzione della birra.
- I succedanei dell’orzo. In molti Paesi è consentito l’uso di fonti amidacee e/o zuccherine diverse dal malto d’orzo (in Italia fino al 40%), cioè l’impiego dei cosiddetti succedanei: mais, riso, orzo, sorgo, frumento. Le ragioni che portano all’impiego di queste materie prime sono essenzialmente di natura economica e qualitativa poiché, per le loro caratteristiche compositive, contribuiscono alla qualità organolettica finale della birra e costano di meno rispetto al malto d’orzo. I principali succedanei utilizzati nel mondo sono spesso dipendenti dalla loro disponibilità nei Paesi o regioni di utilizzo (es. sorgo in Africa, riso in Asia, mais negli Stati Uniti e in Europa).
- Il luppolo. Il primo documentato uso del luppolo per produrre la birra è del 1079, tempo in cui le birre venivano aromatizzate con erbe diverse (coriandolo, rosmarino, mirto, achillea ecc.) e le loro miscele addizionate con il nome di gruit. Fu solo verso il XIII secolo che il luppolo cominciò a soppiantare il gruit per aromatizzare le birre e in molti Paesi, che tradizionalmente utilizzavano queste piante, la sua coltivazione e utilizzo furono vietati.
- L’acqua. Rappresentando oltre il 90% del prodotto, è sicuramente l’ingrediente quantitativamente più importante presente nella birra. Oltre all’acqua utilizzata direttamente in produzione, in malteria e birreria, essa viene utilizzata come acqua di servizio (funzionamento caldaie, impianti frigoriferi, pastorizzazioni) e acqua di lavaggio e sterilizzazione (risciacquo, diluizione detergenti e sanitizzanti). Il consumo medio di acqua per produrre 1 litro di birra è oggi di circa 6 litri. Nelle piccole birrerie questa cifra può essere anche più alta e superare i 10 litri di acqua per litro di birra. In taluni casi e per piccole realtà produttive si può arrivare addirittura a 20 litri d’acqua per uno di birra! Requisito fondamentale per tutte le acque utilizzate per la produzione della birra è la loro potabilità, devono cioè soddisfare, da un punto di vista chimico-fisico e microbiologico, tutti i parametri compositivi indicati dalla normativa vigente. Poiché in passato le birrerie non avevano la possibilità di modificare, come oggi, la composizione dell’acqua, le più famose birre venivano prodotte in prossimità di siti noti per le loro acque idonee alla produzione della birra.
- Il lievito. Il comune denominatore nella produzione di tutte le bevande alcoliche è la fermentazione. L’industria della birra è l’unica industria alimentare che prevede la riutilizzazione del lievito per una successiva fermentazione. Nel caso della birra ciò significa la conversione degli zuccheri, derivanti principalmente dal malto d’orzo, in etanolo e anidride carbonica ad opera dei lieviti: le proprietà di questi microrganismi unicellulari fecero attribuire loro, durante il Medioevo, il nome di Goddisgoode (God is good, “Dio è buono!”) quasi a voler sottolineare quanto sconosciuto e quasi soprannaturale apparisse il processo della fermentazione. Oggi, grazie agli studi compiuti da Pasteur, sappiamo che questo microscopico fungo è il responsabile del processo fermentativo.
> LA FILIERA DELLA BIRRA
In sintesi le fasi che si succedono nella filiera della birra sono: la macinazione del malto, la preparazione del mosto (ammostamento) in seguito a miscelazione di acqua calda con le farine di malto e/o succedanei, la cottura del mosto e la sua fermentazione dopo raffreddamento.
Allo scopo di consentire agli enzimi presenti nel seme di degradare, durante l’ammostamento, le sostanze in esso contenute, il malto deve essere sottoposto a macinazione. Questa fase è molto importante poiché il grado di frantumazione e schiacciamento del malto, nonché le diverse percentuali di farine fini e grossolane (semole) e l’integrità o meno delle scorze del seme, condizionano sia la resa in estratto in fase di ammostamento (solubilizzazione sostanze presenti nel seme) che l’efficacia della fase di filtrazione del mosto.
L’ammostamento prevede la miscelazione di acqua calda (50-70%) con le farine di malto. L’azione degli enzimi che degradano l’amido e le proteine favorisce la solubilizzazione di molti composti che vengono quindi estratti dalle parti solide dissolvendosi nella fase liquida (mosto). Per questo le sostanze solubilizzatesi nel mosto vengono indicate con il termine “estratto”. Scopo dell’ammostamento è quindi quello di ottenere il massimo estratto possibile grazie all’attività degli enzimi del malto la cui azione viene favorita da opportune temperature durante il processo.
Al termine della fase di ammostamento la parte liquida (mosto) viene separata dalla parte solida (trebbie) per essere inviata alla cottura e portata ad ebollizione. Una volta raffreddato alla temperatura desiderata e opportunamente ossigenato, il mosto viene inviato ai serbatoi di fermentazione dove sarà inoculato con i lieviti.
Al termine della fase di maturazione, grazie alle basse temperature, è avvenuta la precipitazione della quasi totalità dei lieviti e del materiale proteico e polifenolico responsabile di intorbidamenti. La birra inoltre ha raggiunto la maturità organolettica e la saturazione con anidride carbonica, sebbene il contenuto di quest’ultima possa essere “aggiustato” nelle fasi che precedono il confezionamento. Ciò nonostante la birra contiene ancora cellule di lievito sospese, polifenoli e proteine non precipitati che rendono il prodotto ancora opalescente e quindi non perfettamente limpido. La filtrazione ha lo scopo di illimpidire la birra rimuovendo tutto il lievito ancora sospeso e di ridurre la presenza di complessi tanno-proteici aumentando la stabilità chimico-fisica del prodotto. La stabilità biologica viene ottenuta grazie ai trattamenti di pastorizzazione e/o di filtrazione sterilizzante che hanno come obiettivo la distruzione o rimozione di tutti i microrganismi presenti.
La fase finale del processo di produzione prevede il confezionamento della birra in bottiglie, fusti e lattine. Alcuni aspetti sono fondamentali: la birra deve essere tenuta scrupolosamente al riparo dall’aria e sempre sotto pressione poiché eventuali perdite di anidride carbonica sono irreversibili. La cura della pulizia e dell’igiene è fondamentale in tutta la filiera della birra ma in particolare per gli impianti di confezionamento; eventuali contaminazioni microbiche potrebbero vanificare tutto il lavoro svolto a monte di questa fase.
> LE ALTERAZIONI DELLA BIRRA
La birra, rispetto ad altre bevande, è resistente alle alterazioni di natura microbica per il contenuto non troppo elevato di sostanze nutritive che possono favorire lo sviluppo di microrganismi, il valore di pH (4,0-4,5), la presenza di alcol e di sostanze amare derivanti dal luppolo che esercitano un’azione antimicrobica e quindi conservante. Le specie microbiche quindi in grado di svilupparsi nella birra non sono molte e quelle più importanti per la qualità della birra sono i batteri lattici e i lieviti “selvaggi”. In realtà anche i batteri acetici possono essere dei potenziali contaminanti della birra ma, essendo strettamente aerobi, necessitano della presenza di ossigeno. È noto che il contatto tra birra e ossigeno deve essere escluso o quantomeno ridotto al minimo per evitare fenomeni ossidativi che pregiudicherebbero le caratteristiche organolettiche del prodotto.
> LE CARATTERISTICHE COMPOSITIVE
Se consideriamo i macrocostituenti (acqua, alcol etilico, anidride carbonica) tutte le birre presentano composizioni molto simili, mentre sono le sostanze presenti in bassissime concentrazioni che determinano l’enorme varietà di stili birrai di cui possiamo disporre, esercitando una notevole influenza su gusto, aroma e colore. L’acqua è compresa tra l’85% (birre ad alto contenuto alcolico) fino a oltre il 93% (birre analcoliche o a basso tenore alcolico). La concentrazione di alcol etilico è mediamente di 4-6% vol. (40-60 ml/l pari a circa 30-50 g/l) sebbene alcune birre possano raggiungere anche i 12° e oltre. Il contenuto di anidride carbonica è di circa 4-5 g/l e quello di glicerolo 1,5-2 g/l.
> GLI ASPETTI NUTRIZIONALI
Il potere calorico della birra deriva principalmente dall’alcol etilico, dai carboidrati e dalle proteine. In funzione quindi del suo grado alcolico e dell’estratto reale l’apporto calorico di una birra è di circa 300-400 kcal/l.
Per quanto riguarda i sali minerali la birra apporta potassio, magnesio, fosforo. Il basso tenore in sodio consente il consumo di birra anche nelle diete iposodiche; inoltre il favorevole rapporto potassio/sodio, pari a 4:1, spiega il noto effetto diuretico della birra.
È noto che la cellula di lievito è ricca di vitamine, in particolare del gruppo B, e quindi il consumo di birre non filtrate e con molti lieviti ancora presenti aumenta ancor di più questo apporto vitaminico.
Relativamente ai composti proteici, questi derivano per l’85% dalle materie prime e per il restante 15% dal lievito; la birra contiene circa 300-500 mg/l di amminoacidi tra i quali sono presenti tutti quelli essenziali. Sono inoltre presenti acidi nucleici che svolgono un ruolo fisiologico nel meccanismo della diuresi e sull’attività cardiocircolatoria. Si ritiene che anche i polifenoli, derivanti dal malto e dal luppolo, svolgano un importante ruolo fisiologico di difesa dell’organismo grazie alle loro proprietà antiossidanti.
La birra non ha una data di scadenza, ma riporta la scritta “da consumarsi preferibilmente entro…”, solitamente entro 15 mesi. Nel caso della birra artigianale la data viene fissata dallo stesso produttore e la scadenza può essere anche vicina (1-2 mesi). È opportuno che il consumatore cerchi di acquistare una birra in cui questa data sia il più lontano possibile, dato che una delle caratteristiche principali della birra è la sua freschezza.
Angelica Pellarini in collaborazione con il prof. Stefano Buiatti,
docente di “Tecnologia della birra” all’Università di Udine