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Obama vs Europa. Le due risposte alla crisi.

 |  Redazione Sconfini

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, forte dell'investitura popolare non sembra assolutamente voler tradire le sue promesse più alte fatte durante la campagna elettorale. In un intervento (keeping promeses, mantenere le promesse) apparso sul blog della Casa Bianca, trasmesso dalle tv di tutto il mondo e destinato a diventare una pagina nei futuri libri di storia, Obama, dopo aver pochi giorni prima lanciato la sfida ai "ricchi", cui chiede maggiori sforzi in tasse per poter allargare i diritti sanitari a tutte le fasce di reddito (ma su questo punto bisogna dire che in Europa e in Italia - per ora - siamo più avanti) alza il tiro. Con una vera e propria dichiarazione di guerra al 5% degli americani più potenti (facenti parte della casta delle assicurazioni e del settore finanziario americano) e alle loro attività di lobbying, in nome del mandato popolare “per il cambiamento” ricevuto con le elezioni di novembre afferma: Io so che queste decisioni non si accordano bene con gli interessi particolari dei lobbisti che hanno investito in un vecchio modo di fare affari, e so che costoro si stanno organizzando per combattere, mentre noi parliamo. Il mio messaggio per loro è questo: “Lo sono anch’io”.

In un Paese scosso più dell'Italia e di molti Paesi europei dalla crisi, questo messaggio forte e chiaro forse da solo non basterà per tranquilizzare le folle di disoccupati e neo-accattoni, anche perché prima bisogna passare dalle forche caudine del Congresso. Ma Obama ce la farà, perché il popolo è chiaramente favorevole alle sue idee di redistribuzione delle ricchezze. E' l'America più "socialista" della storia quella che sta disegnando Obama, molto più di quella di Roosevelt e di Kennedy che in tempi di maccartismo dilagante non potevano virare troppo a sinistra.

Forse è arrivato troppo tardi, il povero Obama, per conservare la leadership economico-militare statunitense nel mondo (gli 8 anni Bush hanno polverizzato la credibilità e la tenuta finanziaria dell'Impero a stelle e strisce) ma forse è in grado di imprimere la svolta giusta al suo Paese, prima di farlo precipitare in una nuova guerra civile burocratica (alcuni Stati non vogliono già più pagare le tasse al Governo federale) prima che di strada.

Fa quindi impressione il vuoto di idee che il Veccho Continente sta opponendo alla crisi, che come una guerra senza morti, potrebbe far risorgere la società in una nuova struttura non più esclusivamente basata sul censo e le risorse economiche, ma su una redistribuzione di ricchezze, servizi e opportunità. La strada scelta dai paesi europei  è invece in linea con le cause che hanno portato al crack: fare nuovi debiti che non potranno mai essere riscattati per ripianare i vbarack obamaecchi debiti dalle dimensioni sconosciute e fuori controllo. L'Italia, tra i Paesi che meno possono fare per fronteggiare la crisi perché a corto di liquidità e con un debito pubblico fuori controllo, si è aggiunta alla politica delle vecchie soluzioni agevolando circuiti di pagamento e Poste Italiane con la fallimentare Social Card, ha stanziato la miseria di 5 miliardi euro (un sedicesimo della Germania per intenderci), poi ha varato deboli incentivi statali (meno della metà della Germania) per il settore automobilistico e infine sta tentando di salvare le banche con i cosiddetti Tremonti Bond, che altro non sono se non prestitialle banche (fonte di tutti i mali) per farle tirare avanti ancora un po' nella speranza che tutto passi.

Infine una riflessione: questo passaggio storico di Obama, in Italia, ha avuto una piccola eco anche sui telegiornali nazionali il giorno dopo la sua pubblicazione, ma poi è stato inspiegabilmente cancellato dai notiziari e anche dalle home page dei giornali on line (Eugenio Scalfari aveva scritto a proposito un bell'editoriale su Repubblica.it presto tolto dalla home page). Assieme a questa notizia che forse i nostri nipoti leggeranno sui libri di storia e spiegheranno ai loro nonni all'oscuro delle vicende, i Tg nazionali non parlano delle violente rivolte scoppiate in Bulgaria, Lettonia, Francia, Grecia, Lituania, Islanda mentre anche la protesta degli agricoltori ad Arcore (residenza di Silvio Berlusconi) e a Gemonio (dimora di Umberto Bossi) di oggi contro le quote latte che hanno agevolato i soliti furbetti, non ha avuto l'eco che meritava specialmente in televisione. E per chi obietta che si tratta di immagini di 3, 4 o 5 settimane fa, è bene ricordare che, purtroppo, la situazione sta degenerando e che le ultime stime prevedono che in Italia si perderanno 70mila posti di lavoro al mese nel 2009.

Per la serie: è meglio non sapere...


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