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Oggi Berlusconi, ma domani il Pdl

 |  Redazione Sconfini

Il governo è in piedi da circa un anno, ma le cose più importanti finora il centrodestra le ha fatte vedere sul piano degli equilibri interni alla maggioranza. Molto meno per quanto riguarda i provvedimenti esecutivi, per i contenuti dell’azione di governo vera e propria. Che si è circoscritta per il momento su alcuni settori anche rilevanti (istruzione, sicurezza) ma è apparsa come frenata dall’incertezza della situazione economica internazionale.

 

L’impressione è che in questo primo anno di attività l’esecutivo abbia scelto di prendere tempo, stretto da una parte dalle maglie della crisi economico-finanziaria e impegnato dall’altra a fronteggiare una serie di emergenze estemporanee di varia natura (Alitalia, caso Englaro, terremoto in Abruzzo). Questo relativo stallo ha dato a Berlusconi lo spazio necessario per consolidare il suo personale protagonismo e definire ancora di più il suo ruolo di assoluto arbitro non solo negli assetti della coalizione ma in quelli generali della politica nazionale.

 

Per il momento, infatti, l’evento realmente storico di questa sua quarta esperienza al governo del Paese è stata la fondazione del Popolo della Libertà. Con il nuovo partito si è compiuta una transizione ormai ventennale, perché è difficile prevedere che da qui in avanti lo schieramento di centrodestra possa subire al suo interno ulteriori variazioni di rilievo. Da questo punto di vista il Pdl è senza dubbio il capaltolavoro finale di Berlusconi dai tempi dell’invenzione di Forza Italia, nonché il contributo principale che la sua parabola politica è destinata a lasciare nella storia d’Italia.

 

Non è escluso che nella prosecuzione della legislatura il presidente del Consiglio riesca a realizzare qualcosa di duraturo anche a livello istituzionale. Mettendo mano a quella riforma radicale dello Stato a cui di tanto in tanto continua a riferirsi più per mezzo di visioni abbozzate che non di progetti ponderati e definiti. Ma su questo punto cruciale le divisioni interne al centrodestra permangono, anche se non è mai stato tanto compatto. Di sicuro invece c’è che il Pdl è ormai cosa fatta e finita. Ed è un soggetto politico che sopravvivrà, e di molto, al suo autore.

 

Al riguardo vanno notate almeno due cose. Se c’è un aspetto sul quale è possibile instaurare un paragone tra l’eredità di Mussolini alla storia politica nazionale e quella che sarà consegnata da Berlusconi, è proprio l’aspetto organizzativo e formale degli strumenti del fare politica in Italia. Dopo l’anno zero del 1945, infatti, l’unica cosa che rimase in piedi del fascismo e della quale le forze politiche repubblicane non poterono fare a meno fu la struttura del partito di massa. Fu un risultato in fin dei conti paradossale, perché i roboanti progetti di trasformazione dell’Italia e degli italiani vagheggiati dal Duce dovevano passare nelle sue intenzioni attraverso l’azione plasmante dello Stato. Ma lo Stato uscì completamente distrutto dalla guerra. Ciò che sopravvisse furono soltanto le modalità di organizzazione politica che per vent’anni avevano mobilitato gli italiani in funzione del consenso al regime.

 

Dopo il fascismo e dopo la guerra, chi volle fare politica in Italia si ritrovò a dover ricalcare quelle medesime forme. Non a caso la scena politica fu dominata per quasi cinquant’anni da quei soggetti che intuirono questo stato di fatto, vale a dire i partiti che incarnarono il modello del partito di massa nelle forme più compiute e conseguenti: la Democrazia cristiana e il Partito comunista. È molto probabile che il Pdl, una volta che si esaurirà la spinta propulsiva di Berlusconi, seguirà una sorte simile, incarnando cioè l’esito di lungo periodo del berlusconismo. Il primo, vero post-partito di massa della storia italiana. Non più “pesante” e territoriale, ma fluido e mediatico.

 

La seconda cosa che va osservata è che tutto questo è accaduto mentre sul versante opposto, e cioè a sinistra, non è successo niente. Se non una sequela di accartocciamenti e fallimenti, che hanno progressivamente cancellato ogni ambizione di governo delle sinistre sul breve termine. È un disastro politico e culturale di cui ancora si fa fatica a misurare le dimensioni. E che indubbiamente rappresenta un pericolo per la salute della democrazia in Italia. Una democrazia deve infatti fondarsi sull’alternanza, sull’esistenza di una credibile alternativa alla maggioranza in carica. Oggi nel nostro Paese questa alternativa di fatto non c’è. Buon per Berlusconi. E forse anche per i suoi successori.

Patrick Karlsen

 


In collaborazione con Help!

 

 


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