Essere di destra, oggi, in Italia
Non c’è dubbio che anche il “bipolarismo” abbia contribuito ad allontanare gli elettori dalla politica. Gli italiani, infatti, hanno bisogno di credere e di potersi immedesimare ognuno in una propria ideale forza politica: a prescindere che di ideali comunque non ne esistono più, il fatto di trovarsi invece di fronte ad un “raggruppamento”, sia esso quello del Centrosinistra o quello del Centrodestra, non li convince, non li attrae e non li coinvolge allo stesso modo. Ed ecco il perché del ritorno del “proporzionale”, voluto dal Centrodestra, sulla cui legge di riforma elettorale è stata decretata priorità assoluta e si è battagliato così animosamente in Parlamento con il Centrosinistra.
Un altro tentativo di moralizzazione è forse rappresentato dalla decurtazione del 10% sugli emolumenti percepiti da tutti i politici, deputati e senatori, consiglieri regionali, sindaci, assessori e via dicendo. Personalmente sono del parere che fare politica debba significare svolgere un importante servizio a favore della comunità e che, quando questo servizio sia svolto lealmente e nel modo migliore, vada retribuito adeguatamente.
Decurtare gli emolumenti, come si è voluto fare, è un provvedimento demagogico, che ben poco peso avrà in termini di risparmio sull’economia del Paese, ma certamente sarà benaccetto a quella larga parte dell’opinione pubblica che ce l’ha con i politici e ritiene che siano pagati ben al di sopra dei propri meriti. Però, seguendo questi criteri ed avallando queste opinioni, il rischio è che in futuro ci sia sempre meno gente di valore disposta ad intraprendere una carriera politica ormai considerata così poco edificante.
Allora, nel bailamme generale di questa situazione politica, che cosa può voler dire “essere di destra”, oggi, in Italia? Per cercare di capirlo non si può prescindere da quei valori morali che dividono profondamente la destra dalla sinistra e rendono il nostro Paese un fenomeno e un esempio d’ingovernabilità unico in Europa. Non sembra, infatti, che in nessun altro Paese si verifichi lo scontro frontale inconciliabile e permanente tra lo schieramento delle forze politiche di Centrodestra e quelle del Centrosinistra, come in Italia. Gli italiani assistono attoniti a questa rissa che si scatena ogni giorno sotto i nostri occhi, rendendo inutili i continui e reiterati appelli del presidente della Repubblica rivolto alle forze politiche affinché collaborino in nome del superiore interesse dell’unità nazionale.
Purtroppo, sembra invece che, almeno per il momento, non ci sia alcuna possibilità di conciliazione o di compromesso e che l’unico obbiettivo sia quello di bocciare e di opporsi a qualsiasi idea, qualsiasi proposta, qualsiasi progetto, vengano formulati nello schieramento avversario, con l’unica preoccupazione di non farglieli realizzare e di non fargliene attribuire il merito.
Ma quale può essere, allora, l’origine remota di una situazione così particolare e così preoccupante? A mio avviso, l’origine di tutto ciò potrebbe risalire ancora alla guerra civile, la più grande sciagura che possa capitare ad un popolo. La contrapposizione degli animi ch’essa provocò sembra non essere mai finita: essa continua fra tutti coloro che l’8 settembre 1943 furono costretti a fare una scelta di campo e che, ancora viventi, si sentono obbligati non solo a difenderla, ma anche a tramandare il messaggio della propria esperienza ai figli e ai figli dei figli.
È evidente, dunque, che non si tratta soltanto d’interessi politici contrapposti, ma, cosa ben più grave, di “valori morali” inconciliabili. Continuare a sostenere questi ideali, sempre riaffermati durante e dopo la guerra civile, è ciò che significa “essere di destra”, oggi, in Italia.
Nessuno ne può essere cosciente e consapevole più di noi triestini, che di tali valori ci siamo nutriti durante i lunghi decenni della nostra emarginazione e che a tutt’oggi soffriamo un destino gravato dal passato di una grande tradizione e dalle tante tragedie che si sono abbattute su questa città, con le foibe, con l’esodo e con l’assurda perdita di tutte le terre italiane al di là di un confine che oggi non esiste più.
Quale conclusione si può trarre? È chiaro che le nostre generazioni sono tuttora ancorate al retaggio del passato, sia in Italia, come crediamo di avere dimostrato, sia tanto più a Trieste, dove le motivazioni sono ancora più forti e le ferite ancora più cocenti.
L’auspicio è che, man mano che subentrano le nuove generazioni, il tempo faccia giustizia dei rancori e delle divisioni del passato e del presente, in modo che una classe politica all’altezza del proprio compito consenta a questo meraviglioso popolo italiano di dimostrare al mondo quel che sarebbe capace di fare, finalmente, senza risse e senza intralci.
Gianfranco Gambassini