AIDS: quando prevenire è meglio che curare
La comparsa dei primi casi di AIDS risale agli anni ’80. Nonostante da allora la ricerca abbia indubbiamente fatto passi da gigante, riuscendo a trasformare una malattia fatale in una patologia cronica che riesce a portare i pazienti in là nel tempo evitandone la morte, non possiamo ancora affermare che si tratta di un capitolo concluso.
Certo, le morti nei Paesi industrializzati sono diminuite, grazie alle terapie attualmente in uso, tuttavia certe aree del globo continuano ad essere tormentate da questo morbo, che continua imperterrito a fare danni.
Nel nostro Paese importanti traguardi sono stati raggiunti, però non bisogna riposare sugli allori. La possibilità di contrarre il virus è sempre presente e abbassare la guardia sarebbe un comportamento da irresponsabili. Non dimentichiamo che si tratta sempre di una patologia contagiosa. Siamo passati da un eccessivo allarmismo iniziale, in cui sembrava bastasse un nulla per contrarre il virus dell’HIV (anche un innocuo bacio), ad una rilassatezza eccessiva in cui pare che il virus non ci interessi più o meglio interessi solamente altri… Ma così non è: i contagi ci sono anche da noi e i casi di sieropositività continuano a manifestarsi.
“Nella zona isontino-giuliana – afferma il professor Roberto Luzzati, primario del reparto Malattie infettive dell’Ospedale Maggiore di Trieste – registriamo circa un paio di casi nuovi al mese di sieropositivi, cosa da non sottovalutare”. Nella nostra regione, insomma, continuano ad esserci nuove infezioni da HIV e va sottolineato che interessano tutti noi: ormai l’infezione non è più solo di alcune categorie “a rischio”, ma di tutti. Essere omosessuali, bisessuali, eterosessuali o tossicodipendenti non è un fattore esclusivo, la sieropositività non esclude più nessuno. Tutti possono contrarre il virus, se non adottano le opportune e ormai note precauzioni: utilizzare sempre il profilattico ed evitare rapporti con più partner occasionali.
“È importante però – sottolinea Luzzati – distinguere tra AIDS e positività da HIV. La prima indica la malattia conclamata, che fortunatamente è in diminuzione grazie alle terapie attualmente in uso, che tengono sotto controllo la carica virale e di conseguenza la possibilità che il virus faccia danni nell’organismo che lo ospita. La sieropositività, invece, indica che l’organismo è venuto a contatto con il virus: questo non significa essere ammalati di AIDS, ma la possibilità esiste e pertanto il controllo medico è necessario, onde evitare che la sieropositività si trasformi in malattia conclamata”.
La malattia è controllabile, curabile, ma non guaribile. I soggetti sieropositivi continuano ad essere potenziali fonti di infezione, se non utilizzano il profilattico e non seguono misure precauzionali atte a ridurre al massimo la trasmissione del virus. “Il tema rimane molto attuale – ammonisce il primario – anche se in questi ultimi anni se ne parla poco. Spesso si ha l’impressione che sia un problema risolto, quando invece è ancora un problema reale. Con le cure attualmente disponibili siamo senza dubbio in grado di curare questa malattia, ma non possiamo assolutamente dire che si tratti di una patologia guaribile: da una decina d’anni ci sono una serie di farmaci a disposizione, che permettono di tenere sotto controllo il virus, prevenendo così l’evoluzione della malattia”.
Si tratta di una patologia contagiosa e quindi bisogna sempre prestare attenzione alle eventuali possibilità di contrarre il virus. “È importante – suggerisce Luzzati – fare il test, un esame del sangue gratuito ed anonimo, che rileva la presenza degli anticorpi del virus. Se un soggetto ha avuto rapporti a rischio, questo è l’unico modo per rilevare la presenza del virus nell’organismo. Ricordiamo, inoltre, che è anche un modo per tutelare la salute del proprio partner”. In qualsiasi struttura pubblica si ha la possibilità di fare l’esame. Se l’esame dovesse risultare positivo all’HIV si può intervenire tempestivamente con una cura, per impedire al virus di trasformarsi in una situazione di malattia conclamata. Il test consiste in un semplice prelievo di sangue che, analizzato, diagnostica la presenza o meno dell’infezione da HIV. Il periodo di formazione degli anticorpi HIV varia da qualche settimana a tre mesi, quindi è importante sapere che durante questo arco di tempo il soggetto, nonostante abbia contratto l’infezione, può risultare negativo al test. Ciò sta a significare che può comunque trasmettere il virus ad altri partner. Le persone sieropositive non sviluppano subito la malattia e possono non svilupparla mai; la risposta immunitaria al virus varia da persona a persona. In certi casi, i soggetti sieropositivi vivono liberi dalla malattia anche per moltissimi anni.
“Allo stato attuale – puntualizza l’esperto – i mezzi utilizzati per combattere la malattia sono una serie di farmaci chiamati antivirali, che utilizzati in combinazione con altri farmaci permettono di tenere sotto controllo la malattia e i valori del sistema immunitario. Riuscire a controllare il virus è l’obiettivo primario”. “Non è – ribadisce – una malattia guaribile: il paziente continua a dover seguire la sua terapia per sempre; è una malattia cronicizzabile come lo è il diabete ad esempio. I farmaci assolvono la funzione di ridurre la quantità di virus presente nell’organismo evitando l’insorgenza di altre malattie conseguenti allo stesso”. “Sicuramente – conclude Luzzati – siamo ancora molto lontani dalla creazione di un vaccino: ci sono sperimentazioni in corso, ma nulla di definitivo”.
Iniziare adeguatamente la terapia è un fattore che dipende dai consigli del proprio medico. Esistono delle linee guida elaborate dalla Commissione nazionale Aids del Ministero della Sanità che, sulla base dei valori degli esami di laboratorio (che riflettono lo stato delle difese immunitarie), danno indicazioni su quando e come iniziare la terapia. Le terapie aiutano ad abbassare la carica virale, ma ciò non significa che il contagio non possa avvenire durante un rapporto sessuale non protetto. È fondamentale ricordare quindi, a costo di risultare noiosi, che anche durante la terapia si devono osservare sempre quelle regole che evitino agli altri la possibilità di diventare “inconsapevolmente” sieropositivi. Praticare sesso sicuro è sempre importante e il condom è il mezzo che aiuta a soddisfare questa esigenza. Infine, è bene puntualizzare che anche due partner entrambi sieropositivi devono essere prudenti durante un rapporto: ciò evita la trasmissione di virus resistenti, in grado di trasformarsi e non essere più riconoscibili dalla terapia.
foto: Daniel Fazio