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Immersioni: alla scoperta di un relitto

 |  Redazione Sconfini

 

“A parte quell’incosciente di mio figlio Luca, che a 14 anni l’incoscienza se la può permettere, siamo stati tutti un po’ preoccupati alla prima immersione su un relitto. Non sei il solo, ma non preoccuparti: è un’immersione eccitante e

alla portata di tutti!”. È stato questo il mio incitamento a Stefano che avrebbe conseguito oggi il suo brevetto di “Advanced Open Water Diver” (il così detto “secondo livello” dell’esperienza subacquea).

 

Il briefing preimmersione inizia sempre con un po’ di storia prima di scendere su un relitto. C’erano bora, neve ed uragano sul Quarnaro nella notte tra il 7 e l’8 gennaio 1968. La motonave greca Peltastis era diretta a Fiume con un carico di legname; aveva trovato riparo in un porto a due miglia a nord di Crikvenica. Durante la notte il vento divenne così forte che entrambe le ancore scanalarono il fondale fangoso e nemmeno la forza del motore riuscì a contrastare la forza di quelle onde che, sotto le raffiche di bora, spingevano verso il largo. La nave venne così trascinata dal mare sulla costa dell’antistante isola di Veglia, immediatamente a nord di Silo. Un paio d’urti contro la roccia furono sufficienti a far penetrare l’acqua nella sala macchine; alle 3.50 dell’8 gennaio il Peltastis affondò col suo carico. Dei dodici membri dell’equipaggio se ne salvarono quattro; Teodoro Belesis, il comandante, affondò con la nave e venne ritrovato e recuperato solo diversi mesi più tardi, e poi sepolto l’11 novembre nel cimitero di Kozala, a Fiume. La nave non venne mai recuperata e giace tuttora, poco lontana dal porticciolo di Silo e dalla costa rocciosa, tra i 15 ed i 32 metrialt di profondità in posizione perfettamente orizzontale ed in ottimo stato di conservazione. Il Peltastis è ancora vivo per tutti noi subacquei e svela segreti sempre nuovi ad ogni immersione.

 

Dopo la storia, che accende la curiosità, le istruzioni per l’immersione ed il breve ricordo delle regole della sicurezza. Il capitano della nostra imbarcazione mi fa segno che possiamo scendere. Il gruppo dei subacquei tecnici, più esperti, entra in acqua per primo guidato da Lorenzo; li aiutiamo perché la loro attrezzatura è più pesante della nostra. Sono stato anch’io con loro, ma oggi non li invidio: mi dà una maggiore soddisfazione accompagnare chi scende sul Peltastis per la prima volta, anche quell’incosciente di Luca.

 

Appena in acqua ci portiamo a prua, sulla cima di discesa. Attraverso le maschere, e con l’erogatore già in bocca, guardo negli occhi i subacquei, uno per uno; chiedo l’OK, tutti rispondono. Il pollice verso significa “giù”; giù, seguendo la cima. Si comincia a sentire il gorgogliare rumoroso delle bolle. La cima si perde nel blu, sembrando sempre più sottile, ma sappiamo che conduce al pennone, visibile già a 6 metri. Scendendo lungo il pennone si arriva alla nave, che iniziamo a vedere dall’alto.

 

La sua sagoma è apparentemente priva di colore; in realtà, è ricoperta da parazoantus gialli, da spirografi marrone, violetto, gialli, con sfumature bianche e strie nere, da incrostazioni multicolore; ma nel blu i colori si perdono e tutto appare verde-blu o grigio-nero, finché la lampada subacquea non restituisce alla vegetazione il suo colore reale. Ecco la nave: si staglia come uno spettro sotto i tuoi occhi, e quando, là sotto, pensi alla tragica fine degli uomini di quell’equipaggio, ti prende un po’ d’angoscia; e la senti molto bene perché il ritmo del tuo respiro aumenta per un attimo. Andiamo a divertirci là dove altri uomini hanno trovato la morte? Proviamo entusiasmo là dove altri uomini hanno provato invece il terrore? Non ho mai trovato una risposta convincente a queste domande. Siamo forse come i turisti che a Roma visitano le catacombe? Ma poi ritrovo la calma ed il respiro rallenta; intanto siamo arrivati sul ponte, a 24 metri; mi fermo, mi volto, conto i subacquei; ci sono tutti, anche quell’incosciente di Luca, che è comunque già un buon subacqueo, calmo, attento, affidabile. Chiedoalt l’OK a tutti, e tutti rispondono; faccio cenno di accendere le lampade a chi non l’ha ancora fatto.

 

Scendiamo ancora lungo la fiancata sinistra, perché la parte più profonda dell’immersione dev’essere esplorata per prima. Gruppi di saraghi fasciati nuotano attorno a noi affatto impauriti. Conduco il gruppo verso poppa dove è ben visibile la falla che ha affondato il Peltastis; mi porto una mano agli occhi – significa “guarda” – e la indico facendo poi un segno ad arco che vuole significare che quell’incavo sulla nave è proprio la falla. La visibilità non è niente male oggi. I subacquei tecnici sono già sull’elica e sul timone, a 32 metri; li raggiungiamo. Un’occhiata al mio computer: 7 minuti d’immersione, 13 minuti rimanenti.

 

Risaliamo sul ponte di poppa dove una grossa scarpena è poggiata sulla lamiera incrostata, perfettamente mimetizzata con l’ambiente: ha lo stesso colore delle incrostazioni. Il subacqueo più vicino a me mi fa un segno non proprio subacqueo, quello dell’acquolina in bocca; forse se la sta immaginando in un vassoio contornata di patate al forno. Sicuramente quest’idea non viene a quell’incosciente di Luca a cui l’acquolina in bocca la fanno venire ancora solo le salsicce con le patatine sì, ma fritte.

 

Lorenzo, che guida i “tecnici”, punta con la sua potente lampada una porta socchiusa, ce la indica, e lui, che può per esperienza e per preparazione, va a sbirciarci dentro. Nuotiamo lungo il ponte di comando situato sul castello di poppa; tutte le finestre sono nostre. Dal ponte scendiamo qualche metro e ci portiamo nella stiva che conteneva il legname del Peltastis; non c’è più nulla del carico ma un bel grongo ha trovato la sua tana tra gli anfratti.

 

Risaliamo sul ponte. Mi fermo, conto di nuovo: tre coppie, ci sono tutti, aspetto che il gruppo si ricompatti. Indico il manometro, significa: “quanta aria hai?”. Quello che ne ha di meno ha comunque ancora 90 bar nella bombola, appena meno della metà, sufficiente per un giro a prua e poi per risalire.

 

Il pennone c’indica la via della risalita. Col pollice indico la superficie del mare, significa: “risaliamo”. Lentamente seguiamo il pennone e possiamo finalmente soffermarci ad ammirarlo: è bellissimo, cosparso di spirografi d’ogni dimensione che retraggono la loro chioma se ne tocchi lo stelo; sembrano fiori ma sono animali, della classe degli anellidi, cioè dei vermi. Tutt’attorno nuotano saraghi e castagnole, a decine. Ci fermiamo 3 minuti a 5 metri per la sosta di sicurezza. Poi incrocio le braccia, significa: “fine immersione”. Tutti con la testa fuori dall’acqua, visibilmente soddisfatti, anche Stefano ormai “subacqueo avanzato”, perfino Luca. Mentre si portano sulla scaletta dell’imbarcazione per ritornare a bordo, guardo ancora giù con la maschera per osservare i “tecnici”, in risalita anche loro, che si fermano sulla stazione decompressiva.

 

Siamo nuovamente tutti a bordo, ed ognuno racconta con entusiasmo, che per i meno esperti deriva anche dall’aver superato una prova, quello che ha visto; e c’è immancabilmente chi ha visto un pesce più grosso di quello che hai visto tu. Complimenti a tutti. Altri dieci minuti di navigazione per il ritorno al porticciolo di Silo. Scaricata l’attrezzatura, Luca da subacqueo consapevole ritorna ragazzo incosciente e va a giocare a pallone. “Luca, non puoi affaticarti dopo un’immersione profonda!”. Mi guarda, alza le spalle; pazienza, il Dio degli incoscienti guarderà lui, ma lascia a me anche la sua roba da lavare.

 

Francesco Morosetti, istruttore PADI

 

Notizie storiche tratte da: Daniel Frka e Jasen Mesic – “I segreti dell’Adriatico” – Adamic editore, Rijeka 2002.
Foto tratte dal video realizzato da Lorenzo Cercego e Federico Caselli (Gamma Sub – Trieste) il 13 febbraio 2005.

 

 
In collaborazione con Help!

 

 


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