Le valvole cardiache artificiali
Nei due numeri precedenti di Help! abbiamo spesso accennato alle valvole cardiache artificiali, in questo numero ne parliamo più dettagliatamente.
Dopo le prime esperienze mal riuscite, furono il cardiochirurgo Albert Starr e l’ingegner Lowell Edwards ad impiantare con successo negli Stati Uniti la prima valvola artificiale meccanica in un paziente con severa malattia della valvola mitralica il 25 agosto 1960. Il paziente Philip Admunson sopravvisse per 15 anni. Da allora la cardiochirurgia ha fatto passi da gigante; al momento attuale, però, non esiste una protesi “ideale”.
Le protesi valvolari si suddividono in meccaniche e biologiche. Le protesi meccaniche, costruite con materiale speciale (carbonio pirolitico, leghe di titanio ecc.), possono essere a palla (oggi in disuso) e a disco (uno o due emidischi). Adesso è utilizzata più frequentemente la protesi con due emidischi ideata dalla Saint Jude Medical nel 1977. I due emidischi semicircolari sono collegati all’orifizio della protesi mediante un meccanismo a cardine; durante l’apertura della valvola essi scivolano di lato creando tre aree di flusso. Le protesi biologiche, molto simili alle valvole naturali umane, si distinguono in autologhe (si utilizza la valvola polmonare dello stesso paziente che è impiantata al posto di quella aortica malata), omologhe (valvole naturali umane trapiantate dal cuore di altri pazienti) ed eterologhe (ricavate da valvole di maiale con o senza telai di sostegno e quelle confezionate con pericardio bovino).
Ambedue questi tipi di protesi hanno vantaggi e svantaggi che ne condizionano la scelta al momento dell’intervento chirurgico. In sintesi, quelle meccaniche hanno una durata teoricamente illimitata, richiedono la profilassi anticoagulante, sono rumorose ed esiste la possibilità di coaguli; quelle biologiche invece hanno una durata limitata, non richiedono terapia anticoagulante se il paziente è in ritmo sinusale, non sono rumorose e si alterano progressivamente. Le protesi meccaniche, quindi, sono da preferire se il paziente ha una lunga aspettativa di vita, mentre quelle biologiche sono più indicate nei soggetti anziani o in quelli per i quali è controindicata la terapia anticoagulante. Oltre all’età, il sesso, il tipo di malattia valvolare, le dimensioni della valvola da sostituire, ma anche le preferenze dei pazienti, sono tutte condizioni che possono influenzare la scelta del tipo di protesi.
Attualmente le protesi disponibili sono da considerarsi affidabili perché hanno permesso a moltissimi pazienti una vita più lunga e migliore, anche se non esiste ancora la protesi “ideale”. Oggi anche gli anziani possono giovarsi delle protesi valvolari artificiali cardiache perché la tecnologia ha permesso l’introduzione di questi dispositivi anche per via arteriosa senza il classico intervento chirurgico che comporta l’apertura del torace. Visite cardiologiche, ecocardiogrammi seriali e la copertura antibiotica in caso di interventi chirurgici sono indispensabili per tutti i portatori di protesi cardiache artificiali.
dott. Sabino Scardi
BOX: A Trieste la valvola artificiale meccanica più vecchia d’Italia
Il 1° febbraio 1968 ad una paziente triestina di 21 anni, da diverso tempo in scompenso cardiaco per un’insufficienza della valvola mitralica e tricuspidale, fu applicata al Niguarda di Milano dal compianto prof. Renato Donatelli una protesi mitralica meccanica di Starr-Edwards. Contemporaneamente le fu sostituita anche la valvola tricuspidale con una protesi biologica.
Dopo un mese di convalescenza, la situazione cardiaca migliorò nettamente tanto che poté riprendere una vita normale, compresa l’attività lavorativa dove incontrò anche il suo uomo. Si sposò in ospedale durante uno dei tanti ricoveri. A 38 anni subì un intervento chirurgico addominale e nel 1984 la sostituzione della valvola biologica che nel frattempo si era deteriorata. All’età di 50 anni per un’eccessiva riduzione della frequenza cardiaca fu impiantato un pacemaker e nel 2004 fu risostituita la valvola tricuspidale biologica nuovamente malfunzionante.
Attualmente dopo 42 anni dal primo intervento la nostra paziente conduce una vita quasi normale con la “vecchia” valvola di Starr-Edwards che funziona ancora egregiamente.