Gambe sane, un bene da salvaguardare: le varici degli arti inferiori
Si tratta di una patologia ben nota sin dagli albori della civiltà. Testi medici degli antichi egizi, greci e romani documentano la malattia e la terapia, medica e chirurgica, applicata allora. La malattia, in costante e progressivo aumento, colpisce vasti strati della popolazione: predilige il sesso femminile, la razza bianca ed è in parte secondaria a fattori ambientali e sociali. La vita sedentaria, l’uso di contraccettivi orali, di calzature scorrette, la stipsi e l’obesità sono fattori favorenti l’insorgenza delle varici.
Di malattia si tratta, e di rilevante importanza sociale soprattutto quando insorgono complicazioni che comportano lunghi periodi di riposo, assenza lavorativa e costi non indifferenti per i trattamenti specifici. Purtroppo in Italia le malattie delle vene e quelle delle arterie sono poco considerate: infatti, nessun farmaco utile nella terapia medica delle flebopatie e arteriopatie è compreso nella fascia “A” di esenzione del Sistema Sanitario Nazionale.
Schematicamente, negli arti inferiori vi è una rete venosa superficiale (fra piano cutaneo e muscoli), una profonda (all’interno dei muscoli, affiancando le arterie) e una dei vasi comunicativi. Il sistema delle vene perforanti è quello che nel circolo superficiale fa confluire il sangue al circolo profondo. La maggior parte del sangue passa attraverso il circolo profondo (90%) e solo il 10% passa nella rete superficiale. L’anatomia è complessa e sono frequenti anomalie tali che, realisticamente, si può affermare che non esiste individuo che abbia un circolo venoso perfettamente uguale ad un altro. Il sangue venoso va dal basso verso l’alto e dalla superficie al circolo profondo attraverso le perforanti. Il sangue degli arti inferiori risale verso il cuore, vincendo la forza di gravità, in condizioni fisiologicamente normali, grazie alle valvole venose che impediscono il reflusso e alla pompa muscolare che spinge il sangue nella giusta direzione.
Nell’insufficienza venosa (di solito caratterizzata da varici) è possibile fin dalle fasi iniziali ridurre l’edema (gonfiore alle caviglie e piedi) associato all’ipertensione. Questi trattamenti precoci riducono i sintomi dolorosi e possono evitare la progressione della malattia venosa fino alle conseguenze più severe, come ad esempio lesioni cutanee, ulcere, trombosi venose profonde.
Per saperne di più abbiamo sentito il dottor Giuliano Cecovini, responsabile di Chirurgia generale e vascolare della Casa di Cura medico-chirurgica Salus di Trieste, che ha risposto alle nostre domande su questa patologia.
I capillari venosi evidenti o telengectasie sono un problema trascurabile dal punto di vista clinico, ma rappresentano un primo problema estetico. Quando si parla invece di vene varicose?
"Le telengectasie colpiscono quasi esclusivamente le donne e si ipotizza possano avere un’origine ormonale unita a cause voluttuarie (fumo ed eccessiva esposizione al sole). La malattia varicosa interessa la parte alta della coscia e il terzo superiore della gamba. Si possono distinguere varici primitive (in rapporto ad anomalie delle valvole o delle pareti della vena) e secondarie (cioè conseguenti a un’ostruzione dovuta ad un processo trombotico)".
Quando bisogna rivolgersi al medico per una diagnosi precoce?
"In troppi casi, purtroppo, ancora oggi ci si rivolge allo specialista solo quando la malattia è conclamata. Si deve invece sottolineare l’importanza della prevenzione e di una diagnosi precoce che, accertando lo stato del sistema venoso o lo stadio della malattia attraverso le molte possibilità diagnostiche non invasive (ecocolordoppler), può formulare una diagnosi assolutamente facilitata rispetto al passato. Sembra un paradosso, ma bisognerebbe iniziare a curare le vene prima che le stesse si ammalino. Ciò si può fare con una vita sana, con il controllo del peso corporeo, evitando gli abiti stretti, evitando la vita sedentaria, regolarizzando le funzioni intestinali; inoltre, per la salute delle gambe bisogna ricominciare a camminare e nuotare. Si deve registrare, per fortuna, una maggiore considerazione per la salute delle proprie gambe da parte delle pazienti donne, le più sollecite ad una visita precoce in una fase iniziale, quanto mai appropriata visto la dimostrata familiarità della malattia, secondaria alla carenza di fibre elastiche nella parete venosa".
Una volta fatta la diagnosi, come valutare la terapia più indicata?
"È importante che sia lo specialista a valutare ed a consigliare la terapia più appropriata al caso specifico; il “fai da te” è sconsigliabile. Tre sono le alternative: la terapia medica, la terapia sclerosante e quella chirurgica. La terapia medica, utile nei momenti iniziali, si basa sull’uso di flebotonici, antinfiammatori, trombolitici ed elastocompressione. Nella malattia varicosa questa terapia è solo coadiuvante, ma non è in grado di guarire".
In che cosa consiste invece la terapia sclerosante?
"È una tecnica che, attraverso l’iniezione di sostanze irritanti o di schiume particolari in segmenti più o meno estesi di vena varicosa, fa aderire fra loro le pareti venose, determinandone la chiusura. Si tratta cioè di creare una flebite artificiale controllata nella sua estensione da un bendaggio elastocompressivo".
In quali situazioni, infine, si applica la terapia chirurgica tradizionale?
"Quando lo specialista, valutando lo stadio della malattia, giudica inefficaci le altre terapie suddette e si rende necessaria la crossectomia (interruzione dello sbocco della grande safena nella femorale) e l’asportazione dal terzo superiore di gamba all’inguine della grande safena, associando l’interruzione delle vene comunicanti incontinenti. Alla crossectomia è consigliabile venga associata la laserterapia, che consiste in una fotoendocoagulazione della grande safena".
Ignazia Zanzi