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Medici di famiglia sotto esame

 |  Redazione Sconfini

Secondo uno studio pubblicato da Monitor Biomedico 2006, e realizzato dal Forum per la ricerca Biomedica del Censis, la figura del medico di famiglia è oggi sempre più apprezzata dai cittadini. Il 27% degli italiani definisce il proprio medico ottimo ed il 46% bravo. Per l’88% il medico è presente nell’orario di visite, che durano, sempre secondo i pazienti, il tempo necessario. L’85% del campione presume che valuti molto bene i sintomi e il 78% rileva quanto il proprio medico sia attento agli aspetti psicologici e quindi si ponga con empatia nei confronti dei propri pazienti.

 

L’analisi è stata effettuata su un campione non molto grande (1.000 abitanti), ma sicuramente consolidato e variegato, visto che la provenienza dei soggetti copre in modo omogeneo tutto il territorio nazionale. Ma sulla professione vi sono anche commenti negativi, come ad esempio le lunghe code segnalate dal 61% degli intervistati. D’altronde, anche il ruolo del medico di famiglia è cambiato perché i pazienti richiedono una maggior preparazione e formazione. Siamo andati a sentire proprio su questo tema la dottoressa Cinzia Cosimi, medico di medicina generale e specializzata in nefrologia.

 

Uno dei problemi maggiormente sentiti dai pazienti sono le lunghe code. Per quale motivo così spesso si verificano questi inconvenienti?

“Innanzitutto va detto che oggi il ruolo del medico di famiglia è cambiato: si pone come tassello intermedio tra la figura del dottore tradizionale, quello vecchio stampo per intenderci, e la figura del medico innovativo, quasi manageriale. In questo senso il ruolo del medico di famiglia è fondamentale in quanto deve saper coniugare le attività cliniche con quelle educative. Ciò comporta un’analisi attenta dell’anamnesi e dei sintomi del paziente, e questo inevitabilmente richiede più tempo. Inoltre, oggi si tende ad evitare di ricorrere agli specialisti se non in casi necessari”.

 

Come poter evitare il formarsi di lunghe code?

“Oggi la maggior parte di noi lavora con un assistente di studio, infermiera o segretaria, che svolge gran parte del lavoro burocratico. Comunque le nostre visite si svolgono, su richiesta del paziente, anche su appunalttamento. Per le persone più giovani, che lavorano e che hanno meno tempo, è sicuramente una grande opportunità”.

 

Secondo il 30% degli italiani, una percentuale dei medici di famiglia è restia a fare le visite a domicilio…

“Va anche detto che spesso il paziente richiede impropriamente le visite a domicilio pur avendo la possibilità di recarsi lui stesso dal medico… Purtroppo, poi, c’è anche un 20% che lamenta il fatto che il medico indirizzi con facilità alle visite specialistiche per risolvere il problema. Ritengo che questo sia da attribuire anche al fatto che i pazienti sono cambiati. Da un lato sono più preparati, attenti, esigenti, dall’altro spesso rischiano di incappare in pericolosi errori pensando di guarire i propri sintomi con cure fai da te. Altri ancora si lasciano influenzare da poco professionali trasmissioni o articoli inerenti ad alcune malattie. Basta pensare al fatto che il giorno seguente ad una seguitissima trasmissione serale, che va in onda ogni settimana, in molti si presentano nel mio studio per lamentare i sintomi di cui si è parlato in televisione la sera prima. Da aggiungere, poi, che spesso molti mal di pancia o di testa, solo per fare degli esempi, vanno attribuiti alla depressione. Ma l’unico modo per capirlo è parlare a lungo con il paziente: solo così ci si può rendere conto che quel sintomo va ricondotto ad un disagio generale. Spesso i pazienti scoppiano a piangere, e con noi si aprono. Non si possono liquidare in pochi minuti solo per evitare che si formino le code…”.

 

C’è un identikit del paziente depresso?

“Se anni fa si trattava soprattutto di anziani, magari rimasti vedovi o soli, oggi il problema interessa in particolare i giovani. Si tratta di persone con problemi affettivi o che sono state licenziate o che non riescono a trovare un lavoro”.

 

Esiste la tendenza a cambiare medico di frequente?

“Può succedere, specialmente quando il paziente crede che una mancata urgenza per eseguire delle analisi o qualche mancata prescrizione di farmaci particolari sia da attribuire ad una negligenza del medico di famiglia. In realtà, noi abbiamo le mani legate: possiamo prescrivere farmaci solo per patologie ben precise. Per le urgenze bisogna capire che, se il medico non la prescrive, significa che non c’è. Insomma, ognuno faccia il proprio lavoro. Questo vale soprattutto per quegli impiegati addetti allo sportello che consigliano il paziente di farsi riprescrivere l’urgenza daltal medico per accelerare le prove. Questo va a scapito di chi ne ha veramente bisogno. Va da sé che nei casi in cui emerge un sospetto di ictus o di paresi siamo i primi ad inviare d’urgenza il paziente al pronto soccorso e di certo non lo inseriamo nelle liste di attesa per la Tac. Da un lato la gente deve avere pazienza, dall’altro noi medici di medicina generale dobbiamo lavorare anche nel rispetto dei colleghi ospedalieri, che non possono permettersi di trovare il Pronto Soccorso intasato di casi non gravi”.

 

Com’è cambiata oggi la sanità?

“La legge ora prevede che i medici di medicina generale si uniscano in gruppi per offrire al cittadino non solo una maggiore apertura oraria, ma anche la possibilità, in caso di dimenticanza di una ricetta o di una urgenza, di potersi rivolgere ad uno degli altri medici del team. Questo è un grande vantaggio, anche se non è ancora completamente recepito dal paziente. Oggi c’è la necessità di avere servizi diffusi sul territorio con elasticità di orario. Soprattutto i soggetti con una patologia cronica non devono sentirsi abbandonati, ma devono poter usufruire di medici, infermieri, fisioterapisti. Tutte queste devono essere figure presenti anche fuori dagli ospedali. In questo senso siamo a buon punto, ma il problema è che il paziente non sa che, in alcuni casi, può avere a disposizione gratuitamente tutti questi servizi senza gravare sugli ospedali. Bisogna cambiare mentalità e il medico di famiglia deve rendersi parte attiva, facendo in modo che questo cambiamento avvenga. L’ospedale deve essere visto solo come momento di patologia acuta. La patologia cronica e le cure devono ricadere sul territorio o sul medico di famiglia”.

 

Qual è il maggiore problema della sanità?

“Innanzitutto la burocratizzazione. Troppe carte e domande da compilare per attivare servizi domiciliari, per dare al paziente determinati presidi. Tutto deve essere supportato da carte che poi il paziente, o chi per lui, deve portare nel distretto di competenza. Secondariamente va detto che, purtroppo, certe tecniche di cura vengono sacrificate ad una logica economica e determinati farmaci, che una volta potevano essere anche dati dai medici di famiglia, oggi sono ad esclusivo appannaggio della prescrizione ospedaliera. Un sistema sbagliato che fa trottare spesso inutilmente il paziente da un ufficio all’altro”.

Silvia Stern

 

 
In collaborazione con Help! 

 

 


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