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Gotta: fattori scatenanti e misure terapeutiche

 |  Redazione Sconfini

 La gotta è un’affezione correlata con le alterazioni del ricambio dell’acido urico ed è contraddistinta dal punto di vista clinico da sintomi articolari acuti o, meno frequentemente, cronici.

Anticipato da segni che il paziente riconosce (irritabilità, cefalea, fatti dispeptici, pollachiuria con emissione di sabbia uratica) e tali da essere un valido aiuto per orientare la diagnosi già al colloquio col medico di famiglia, l’attacco acuto di gotta si manifesta di solito con sintomi abbastanza caratteristici: insorgenza brusca e preferibilmente notturna, prevalenza nel sesso maschile, localizzazione di norma alle articolazioni degli arti inferiori e in particolare a quella metatarso-falangea dell’alluce (la classica podagra che mette fine alla fase dell’iperuricemia asintomatica), estrema violenza, rapida risoluzione.
Il limite superiore di normalità dell’uricemia è statisticamente fissato a 7 mg per 100 ml nell’uomo (che è anche il limite di solubilità dell’urato monosodico nel siero a 37 gradi centigradi) ed a 6 mg per 100 ml nella donna. Oltre al sesso, anche l’età influenza i livelli di uricemia: mentre nel maschio predisposto alla gotta, l’uricemia comincia ad elevarsi dopo la pubertà, nelle donne, in conformità con l’adagio ippocratico, ciò avviene dopo la menopausa. Poiché l’insorgenza della gotta è in relazione sia con la concentrazione ematica di acidi urici sia con la durata dell’iperuricemia, la malattia prevale, quindi, negli uomini adulti. Di tutti i soggetti iperuricemici, solo una quota che viene stimata tra il 5% e il 15% sviluppa la gotta. “Solitamente – afferma il dottor Gabriel Offer, specialista di medicina generale, la figura professionale più vicina a qualsiasi paziente – l’uricemia si abbassa durante l’attacco acuto visto che l’acido urico si condensa nei cristalli. L’iperuricemia è spesso presente in pazienti asintomatici”.
Come si arriva all’attacco acuto? Quando si è accumulato un quantitativo sufficiente di cristalli di urato nello spazio articolare, prende il via la loro fagocitosi da parte dei leucociti con conseguente rilascio di proteine chemiotattiche e di enzimi lisosomiali ed attivazione del sistema del complemento. Il risultato clinico di questo processo infiammatorio è la classica triade “tumefazione, calore e dolore di grande intensità” che si risolve spontaneamente dopo poche ore o pochi giorni. Il meccanismo di questa risoluzione spontanea non è completamente noto, ma si pensa che proprio l’aumento locale della temperatura contribuisca alla solubilizzazione e quindi all’allontanamento dell’urato.
È stato prospettato che un aumento transitorio dell’uricemia intervenga nella genesi della precipitazione, in quanto molti dei fattori che si sono dimostrati capaci di scatenare un attacco acuto di gotta, come l’ingestione di abbondanti quantità di alcol, il digiuno, la somministrazione di diuretici tiazidici (utilizzati nell’ipertensione), provocano l’elevazione dell’uricemia; ma non è questo l’unico meccanismo in causa. Tra i fattori precipitanti si devono annoverare traumi, distorsioni, lussazioni, fratture a carico dell’articolazione in cui si localizzerà l’attacco. Grande importanza hanno i microtraumi ripetuti tipici di alcune attività motorie e sportive intense. Tradizionali i fattori scatenanti rappresentati dal pasto (o una serie di pasti) copioso, specie se “grasso” e ricco di purine, l’eccesso di vino o di birre particolarmente forti. Il dato anamnestico di una copiosa bevuta può avere importanza diagnostica: un’artropatia infiammatoria scatenata dall’ingestione di alcolici è quasi sicuramente gotta. Alcuni pazienti giudicano dannosa l’introduzione, anche in quantità limitata, di frattaglie, pesci, crostacei, salumi, salse piccanti, formaggi e alimenti con acido ossalico come spinaci e asparagi.
“Quando un paziente lamenta un attacco acuto – spiega Offer – il trattamento per eccellenza è quello con la colchicina ma abitualmente, per praticità e minori effetti collaterali, si preferisce prescrivere i farmaci antinfiammatori non steroidei. Per quanto riguarda le analisi di laboratorio da prescrivere nella fase acuta, è sufficiente ricercare gli indici di flogosi (VES, PCR, emocromo e formula leucocitaria) e in più verificare la funzionalità renale”.
Nei pazienti non trattati l’eccesso di urati si deposita nelle cartilagini, nelle membrane sinoviali, nei tendini e nei tessuti molli; gli attacchi di gotta articolare si ripetono nel tempo con durata maggiore anche se con minore intensità e si stabilisce il quadro della gotta tofacea cronica. Il tofo, elemento tipico della gotta in fase cronica, risulta costituito da ammassi di cristalli di urato monosodico, sali di calcio, localizzati oltre che all’articolazione metatarso-falangea, anche ai padiglioni auricolari, piedi e mani, all’interno o in vicinanza di strutture ossee, borse, tendini, guaine, legamenti e a livello cutaneo.
L’organo nel quale si riscontrano le alterazioni più evidenti nel tempo, in seguito alla mancata adesione alla terapia, è il rene. Come conseguenza del trattamento mal condotto, prima dell’avvento dell’emodialisi, il 20% dei pazienti gottosi moriva per insufficienza renale. Anche se questo dato non è più attuale, bisogna tener presente che un danno renale, per lo più costituito da una reazione infiammatoria a depositi di cristalli di urato monosodico nel tessuto interstiziale, è presente nel 90% dei soggetti con artrite gottosa. La manifestazione iniziale può essere un’albuminuria o un’isostenuria, cioè l’eliminazione di urine con un peso specifico basso, espressione quindi di un danno nella funzione dei tubuli renali, come si verifica in casi di insufficienza renale avanzata. Inoltre la malattia renale è strettamente in relazione, in questi pazienti, con l’ipertensione, ma non si sa se ne è causa o effetto.
L’acido urico può precipitare anche nelle urine, sia per effetto di una loro eccessiva acidità, sia per una sovrasaturazione da iperuricemia. Può indurre anche la precipitazione di altri sali, come quelli di calcio: ne consegue che la calcolosi, sia uratica sia calcica, è negli iperuricemici molto più frequente che nella popolazione generale.
Le misure terapeutiche per abbassare l’uricemia si devono iniziare a parecchie settimane di distanza dall’attacco acuto. “La somministrazione di allopurinolo – conferma lo specialista – potrebbe aggravare la sintomatologia e favorire i depositi di cristalli”. La correzione farmacologica dell’iperuricemia è un provvedimento che deve cominciare dopo aver cercato di individuare le cause, valutato il danno ai tessuti e agli organi, riconosciuto le patologie associate, instaurando misure dietetiche e comportamentali atte a diminuirne gli effetti. Ma deve durare tutta la vita? “Certamente – risponde Offer – poiché tale patologia è cronica e permanente”.

Curiosità bizzarra o provocazione geniale?

Già Ippocrate accennò al carattere familiare della gotta quando osservò che “chi ha una predisposizione congenita avrà una difficile guarigione”. Venne confermato nel II secolo d.C., senza possibilità di equivoci, da Sorano di Efeso.
Che la gotta avesse predilezione per i famosi, specialmente se ricchi, era già stato riconosciuto da Gaio Svetonio Tranquillo nel I secolo d.C., che la chiamava “morbus dominorum”. L’elenco dei gottosi celebri con i secoli si è fatto molto lungo. Vi sono compresi per esempio vari re ed imperatori (Alessandro Magno, Ottaviano Augusto, Carlo Magno, Carlo V, Luigi XVIII, Giorgio IV, Napoleone Bonaparte), papi e riformatori religiosi (Pio III, Giulio II, Clemente VII, Innocenzo XI, Martin Lutero, Giovanni Calvino), uomini politici e condottieri (Francis Bacon, Oliver Cromwell, Orazio Nelson), letterati (Orazio, Ovidio, Marziale, Lorenzo il Magnifico), artisti (Michelangelo, Leonardo da Vinci, Pietro Paolo Rubens), filosofi (Gottfried Leibniz, Immanuel Kant, Johann Fichte), scienziati (Isaac Newton, Charles Darwin), medici (William Harvey, Thomas Sydenham, Giovanni Battista Morgagni).
L’elenco (parziale) con un così elevato numero di personaggi qualificati, pone alcuni interrogativi. È casuale? È giustificato dal fatto che le malattie degli uomini importanti passano più facilmente alla storia di quelle della gente comune? Per alcuni illustri pazienti, appartenenti a celebri famiglie (Borboni, Medici, Tudor), vi è stata certamente una trasmissione genetica, concausa assieme a documentate e tramandate intemperanze alimentari.
Ma nel 1927 uno scrittore e psicologo inglese, Havelock Ellis, suggerì che potesse esserci un rapporto tra acido urico e livelli d’intelligenza, affermando che, se la genialità non può essere una conseguenza diretta della gotta, era ipotizzabile che il “veleno” di questa malattia agisse come stimolante della capacità intellettuale! Non risulta che indagini epidemiologiche del genere (e di genere, visto che le donne sono assenti dall’elenco di geniali) siano state riprese in anni più recenti. Pertanto, qualsiasi conclusione su questa ipotesi o tesi precostituita è, al momento, assai rischiosa.

foto: Toa Heftiba


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