Nascita di un condominio: bastano due proprietari
Il proprietario di un intero stabile ha ristrutturato la palazzina e ha deciso di tenersi i due appartamenti dell’ultimo piano, vendendo i sei appartamenti distribuiti sui due piani sottostanti ad altrettante famiglie.
Noi siamo stati i primi ad acquistare uno di questi appartamenti e dal mese successivo, quando ancora non eravamo neanche andati ad abitare nella casa, è stata indetta un’assemblea condominiale presso un amministratore di stabili (da ratificare in sede di assemblea) scelto dal proprietario dello stabile. Faccio notare che tra i punti all’ordine del giorno c’era anche la “determinazione delle spese condominiali”. Ma è corretto indire un’assemblea in questa situazione? Quali possono essere le armi per difenderci? E poi, il condominio non esiste solo se c’è un numero minimo di condomini?
Lettera firmata
Il nostro lettore si trova di fronte ad un caso decisamente anomalo, ma che dal punto di vista della giurisprudenza è già stato più volte affrontato e definito. Se ragioniamo con un po’ di buon senso pare che il nostro lettore si trovi evidentemente dalla parte della ragione. Ciononostante non è così. Il proprietario dello stabile non solo ha il coltello dalla parte del manico, ma ha indetto attraverso il suo amministratore di condomini una regolarissima (anche se “stramba” perché i convenuti sono solo due) assemblea.
Il perché è presto detto anche se prima occorre fare chiarezza su un punto, ovvero sull’ultima domanda del nostro lettore. Non è vero che il condominio esiste solo quando c’è un numero minimo di condomini, ma quando c’è un numero minimo di appartamenti (più di quattro per la precisione come dice il Codice Civile all’art. 1129). La differenza è evidentemente sostanziale. Nello stesso momento in cui il vecchio proprietario ha suddiviso la proprietà indivisa dello stabile in diversi enti abitativi (purché come in questo caso siano più di quattro) e ha venduto uno solo di questi, siamo automaticamente in presenza di un condominio, ossia quella forma di comunione nella quale coesistono beni di proprietà esclusiva e parti di proprietà comune.
Per instaurare ufficialmente un condominio non servono particolari formalità imposte da leggi o da regolamenti. Secondo la Cassazione (che più volte si è espressa su questo tema) esso sorge per il semplice fatto che le unità in esso ubicate appartengono distintamente ad almeno due diversi proprietari. Ed è proprio questo il caso! Finché il proprietario dello stabile non aveva venduto neanche un appartamento non esisteva condominio. Al momento della vendita del primo degli otto appartamenti è “nata” quindi questa forma di comunione.
La questione è stata di recente approfondita dalla Cassazione che ha concluso, conformemente al proprio consolidato orientamento, nei seguenti termini: «La particolare comunione regolata dagli artt. 1117 ss. cod. civ. si costituisce, ipso aure et facto, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’approvazioni assembleari, nel momento in cui l’unico proprietario di un edificio frazioni in più porzioni autonome la cui proprietà esclusiva trasferisca ad una pluralità di soggetti od anche solo al primo di essi, ovvero più soggetti costruiscano su un suolo comune, ovvero quando l’unico proprietario di un edificio ne ceda a terzi piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva, realizzando l’oggettiva condizione del frazionamento che ad esso da origine, così anche il supercondominio, istituto d’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale basato sull’interpretazione estensiva delle norme dettate per il condominio negli edifici, viene in essere, del pari ipso iure et facto, se il titolo non dispone altrimenti, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, pro quota, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati” (Cass. Sez. 2a, 31 gennaio 2008, n. 2305) » (Cass. 17 gennaio 2011 n. 886).
Su un punto molto importante, però, il nostro lettore ha ragione. La nomina dell’amministratore è obbligatoria solamente al superamento di una determinata soglia numerica (art. 1120 C.C.), ovvero quattro, ma ciononostante l’amministrazione dei beni comuni (pulizia scale, manutenzione ascensori, luce parti comuni) deve essere condivisa (in millesimi) tra i proprietari anche se questi sono solo due. Ne deriva una specie di obbligo “occulto” di nominare un amministratore quanto meno per pagare correttamente la propria parte ed essere così tutelati da calcoli precisi e per non sottostare ai desiderata del proprietario, che sta a nostro giudizio tentando di abbassare le spese fisse che fin qui ha sostenuto da solo, facendole ricadere (giustamente) in parte anche sui nuovi proprietari di una piccola parte dello stabile. Si tenga comunque conto che finché non si arriva a cinque condomini distinti ci si può opporre alla nomina di un amministratore, poiché la legge non lo impone formalmente.
Fino a quel momento, quindi, se dovesse sorgere un problema inerente la conservazione di una parte comune, i condomini dovrebbero risolverlo concordemente o comunque nel rispetto delle metodologie deliberative previste dal Codice Civile.
Giuseppe Morea