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Gruppi d’acquisto: l’unione fa spendere meno

 |  Redazione Sconfini

I primi gruppi d’acquisto in Italia sono nati nel 1994 dall’iniziativa di alcuni consumatori che hanno deciso di unirsi per acquistare all’ingrosso prodotti alimentari da distribuire poi tra le proprie famiglie.

Il motivo? Ovviamente il risparmio, anche consistente. Negli anni, attraverso il passaparola e la rete, con i suoi numerosi forum, si sono moltiplicati fino a contarne nel 2010 più di 600. Sicuramente ce ne saranno altrettanti che non hanno costituito un’associazione o un gruppo d’acquisto vero e proprio, ma semplicemente sono una cerchia di amici e conoscenti che si riuniscono per fare degli acquisti collettivi. I gruppi d’acquisto si scambiano le informazioni sulle loro attività, sui produttori e sui criteri di selezione attraverso il bollettino Bogar (“Bollettino dei gruppi d’acquisto regionali), che esce ogni tre mesi.
Nella macrocategoria dei gruppi d’acquisto si stanno diffondendo con una certa rapidità e capillarità sul territorio nazionale i cosiddetti GAS (www.retegas.org), ovvero i gruppi di acquisto solidale, che tra i vari criteri di valutazione per scegliere i produttori presso cui rifornirsi, seguono il principio della “solidarietà” che prevede il rispetto dell’ambiente (“prodotti a km zero”, attenzione alla stagionalità, quantità minore di imballaggi della merce da smaltire, maggiore vicinanza), delle condizioni di lavoro, delle varietà e delle tradizioni locali. Va però chiarito che quella dei GAS non è una scelta pauperista ma l’insieme di tanti piccoli comportamenti che mirano a costruire una diversa economia basata su nuove forme di solidarietà “all’esterno” con produttori che si pongono su un piano radicalmente diverso rispetto ai meccanismi tradizionali. Trasformando in risorse quelle che altri tendono a giudicare diseconomie: il bio con i suoi costi e rischi, il recupero di soggetti svantaggiati, il rifiuto delle opacità della grande distribuzione, un prezzo trasparente che garantisca risparmio a chi compra e dignità a chi vende.
Ogni gruppo di acquisto nasce per motivazioni proprie, che riguardano da vicino persone che magari hanno bambini (pannolini, latte in polvere, creme) o che semplicemente sono alla ricerca di cibi biologici con prezzi alla portata di tutti. Ci si riunisce e insieme si comincia a ricercare sul territorio piccoli produttori, si raccolgono gli ordini tra chi aderisce, per poi passare all’acquisto e alla distribuzione. Scegliere prodotti di provenienza locale, permette di ridurre l’inquinamento, il traffico sulle strade cittadine e su quelle extraurbane, lo spreco energetico, l’uso di conservanti e prodotti chimici per la concimazione e la disinfezione, garantisce un rapporto più stretto e di fiducia con i fornitori e può creare occupazione sul territorio. La minore spesa si ottiene dimezzando i costi del trasporto, dell’imballaggio, degli intermediari, e ovviamente dagli sconti che il produttore accorda in virtù di una certa quantità di merce garantita nell’anno.
Le difficoltà registrate dalle esperienze di gruppi già consolidati sono principalmente di carattere organizzativo: bisogna soprattutto trovare il tempo per ordinare la merce e raccogliere i soldi, ritirare e distribuire i prodotti; spesso si organizzano delle gite fuoriporta per andare a trovare i produttori o per cercarne dei nuovi. I costi di gestione (fax, telefono, fotocopie, spedizioni…) vengono coperti o tramite le quote di iscrizione o di servizio” o con un ricarico del 15-20% sui prezzi dei prodotti, mentre chi si occupa degli ordini e della distribuzione o della contabilità è scelto a rotazione. Risparmiare in definitiva è possibile, basta organizzarsi.

foto: Philip Veater


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