Il preventivabile disastro socio-politico era nell'aria. La controversa cordata italiana che ha tentato di salvare Alitalia si è ritirata a causa di un proposta non convincente e dell'ostruzionismo del sindacato dei piloti (Anpac) e della CGIL.
La (ex?) compagnia di bandiera italiana è sull'orlo del fallimento: se a questo punto non avverrà il miracolo migliaia di persone resteranno senza lavoro, l'Italia perderà oltre il 50% dei voli interni e tutta l'economia del paese, già in situazione critica ne risentirà pesantemente.
Berlusconi e il suo Governo, nonostante il tradimento di ogni principio di libero mercato e il ricorso ad una cordata di amici pur di difendere l'italianità di Alitalia, hanno clamorosamente fallito. La promessa elettorale di aprile del Cavaliere non solo non è stata mantenuta, ma con il suo agire irresponsabile e clientelare il premier rischia di annichilire l'intera nazione.
Forse l'ultimo disperato appello per salvare il salvabile sarà però raccolto da Lufthansa, il colosso tedesco dei cieli, che da Colonia ha già da alcune settimane avviati contatti con Roma per l'acquisizione di Alitalia. Significherebbe addio all'italianità del marchio (la sede legale sarebbe spostata in Germania), 50 aerei in meno, migliaia di persone licenziate e i debiti comunque a carico dei cittadini italiani. Una prospettiva durissima per quel che resta della compagnia, che però almeno manterrà marchio e livrea. Di positivo anche il fatto che, in caso di asta aperta al libero mercato, almeno l'Italia non correrà rischi di sanzioni dall'UE. Solo per questi due deboli motivi l'eventuale acquisizione di Lufthansa sarebbe meglio della proposta della Cai.
Il dilettantismo italiano dimostrato anche in questo caso, insomma, rischia di costare carissimo in termini di immagine, posti di lavoro, entrate fiscali future (a godere delle tasse dell'Alitalia sarebbero i tedeschi) e controllo strategico del mercato aereo interno.