Crisi economica: l’ondata di piena è gia passata?
È da tempo che l’economia mondiale vive una profonda crisi e il cittadino frastornato cerca di raccapezzarsi, sforzandosi di capire che cosa sia successo, quale potrebbe essere lo sviluppo di questa congiuntura negativa, ma soprattutto quando finirà. Domande urgenti e chiare alle quali, però, non sembrano corrispondere risposte altrettanto certe e lineari. Si cerca di capire come, quando e se la fase più acuta della crisi sia già stata raggiunta, quanto eventualmente sia ancora lontana e se si stiano cominciando ad attivare comportamenti virtuosi che possano innescare un volano di crescita. C’è quindi l’attesa del segnale di svolta e tutti scrutano l’orizzonte economico per capire se la fiducia possa ripresentarsi, per riavviare di nuovo le propensioni in senso positivo.
La crisi pesa ancora molto sulle famiglie italiane, ma meno di un anno fa, stando all’indagine Istat “Aspetti della vita quotidiana”. Nei primi mesi del 2009 aumenta la percentuale di famiglie che giudicano la propria situazione economica invariata rispetto al 2008, mentre cala la quota di quelle che riferiscono un peggioramento. La quota di famiglie che denunciano un peggioramento della propria condizione è molto più elevata al Sud del nostro Paese: il 16,2% contro il 10,7% delle famiglie del Centro.
Per cercare di capirne un po’di più e fronteggiare meglio le notizie contrastanti che si riversano quotidianamente sui giornali, abbiamo deciso di approfondire l’argomento con il prof. Paolo Manasse, docente di Macroeconomia e Politica economica internazionale all’Università di Bologna che da tempo collabora in modo stretto con il prof. Nouriel Rubini, economista di indiscussa fama mondiale, nella ricerca economica sulle cause delle crisi finanziarie internazionali e gli effetti dei processi di globalizzazione sui mercati finanziari e del lavoro.
“La crisi in Italia – afferma Manasse – non ha colpito né il risparmio delle famiglie italiane che rimane più elevato rispetto agli Stati Uniti e gli altri Paesi europei, né le banche che non sono fallite e non hanno gravato sul bilancio pubblico. Tuttavia, gli effetti sulla crescita sono stati peggiori. Infatti il Pil in Italia è sceso del 5%, mentre in America del 3%”. “Il nostro Paese – continua – ha sofferto di più il calo del Pil per tre ragioni fondamentali. La prima è strutturale in quanto la nostra economia si fonda principalmente sulle piccole imprese che al contrario delle grandi aziende non sono riuscite ad affrontare la crisi e sono state costrette a chiudere, e questo è ricaduto inevitabilmente sul Pil. La seconda è che l’Italia è molto aperta agli scambi con l’estero e in questo periodo di crisi globale le esportazioni sono diminuite, e anche di più rispetto agli altri Paesi per la perdita di competitività. La terza motivazione che ha determinato la caduta del Pil è stata l’inattività della politica che non ha attuato nessuna manovra espansiva e non ha né aumentato le spese né ridotto le imposte”.
“La filosofia adottata dal governo – precisa Manasse – è stata quella di cercare di mantenere il bilancio in pareggio, per evitare che il debito esplodesse. La scelta di non agire ha comunque inciso negativamente sul rapporto tra debito e Pil, in quanto quest’ultimo è crollato a causa delle mancate azioni di sostegno; già nel decennio precedente l’Italia era cresciuta meno”. “Non si sono fatte – aggiunge – riforme strutturali che potessero riguardare il sistema pensionistico piuttosto che la liberalizzazione dei servizi o i contratti collettivi di lavoro. Si cresceva molto lentamente prima e si continua a crescere poco ora”. “La ripresa quindi – conclude Manasse – sarà molto lenta e le soluzioni si trovano nelle riforme del sistema pensionistico e del mercato del lavoro, cercando di supplire le disparità esistenti tra chi è iperprotetto e chi non ha garanzie e soprattutto cercando di debellare il problema della tassa occulta che gli imprenditori sono costretti a pagare alla criminalità nel mezzogiorno. Essenziali per poter dare un serio slancio all’economia risultano, inoltre, essere gli investimenti nella ricerca e nelle nuove tecnologie”.
Jean Paul Fitoussi, il più noto economista di Francia, presidente dell’Osservatorio francese delle congiunture economiche, dice di sperare nel 2010, ma non per annunciare la ripresa, bensì per poter approcciare una prima analisi su questa crisi, che è la peggiore che abbiamo mai conosciuto. E dichiara: “Non mi vergogno ad affermare che probabilmente ci capiremo davvero qualcosa tra una decina d’anni”. Attenzione dunque a non abbassare la guardia troppo presto.
Monica Ricatti