Strategia 2020: occupazione e crescita nell’Unione europea
L’incredibile aumento dei disoccupati causato dalla chiusura e dal fallimento di numerose imprese, ha posto al primo posto del disagio dei cittadini questo argomento primario per il progetto di vita di qualunque persona, famiglia, ente e realtà aziendale.
Secondo un sondaggio di opinione, realizzato nella primavera 2008 dall’Eurobarometro, tra le prime quattro fonti di preoccupazione per i cittadini dell’Ue, tre sono relative all’agio/disagio economico. A preoccupare la maggior parte degli europei, ovvero il 37%, è l’aumento dei prezzi e l’inflazione. Al secondo posto, con il 24%, troviamo la voce disoccupazione ed al quarto, subito dopo il problema della criminalità, c’è la preoccupazione per la situazione economica, che riguarda il 20% della popolazione. Ma ora, a soli tre mesi dall’inizio del 2010, la situazione occupazionale ha scalato la classifica delle priorità da affrontare con urgenza.
Garantire un futuro giusto, prospero e sostenibile costituisce un’importante condizione, strategia ed obiettivo dell’Unione europea per consentire una crescita maggiore, la creazione di nuovi posti di lavoro ed un’economia più verde e favorevole. A tal fine più del 40% del bilancio comunitario è destinato direttamente all’occupazione ed alla crescita. Nell’ambito di questo agire è stata già adottata nel 2000, dai leader europei, la strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione. L’obiettivo espressamente dichiarato è quello di fare dell’Unione “la più competitiva e dinamica economia della conoscenza entro il 2010”.
Tante sono state le finalità concordate e gli indicatori fissati, ma i punti più importanti sono quelli che prevedono l’aumento del tasso di occupazione al 70% e degli investimenti nel campo della ricerca al 3% del PIL, sempre entro il 2010. Purtroppo questo obiettivo vedrà un notevole slittamento nei tempi date le precarie condizioni di molti Paesi dell’Unione quali Grecia, Portogallo, Spagna ed Irlanda giusto per citarne alcuni. Già nel 2005 era evidente che, giunti ormai a metà del suo percorso, la strategia di Lisbona non stava producendo la crescita sperata e gli obiettivi erano ben lontani dall’essere raggiunti. Ad esempio la spesa destinata alla ricerca ed allo sviluppo nel 2006 raggiungeva solamente la quota dell’1,8%.
L’impostazione iniziale prevedeva grandi sforzi fatti a livello dei singoli Paesi; quella attuale, invece, prevede uno stretto partenariato fra Ue e Stati membri, con una chiara divisione di responsabilità e una forte ricerca di sinergie. Nel 2008, infatti, la strategia è stata rinnovata e rilanciata: nuovi orientamenti integrati, nuovi piani nazionali e comunitari, successivi rapporti nazionali e comunitari sullo stato di attuazione delle riforme.
Nel secondo ciclo l’attenzione e l’azione dell’Unione europea si concentrano su quattro settori prioritari: lo sviluppo del potenziale delle imprese, l’investimento nel capitale umano e nella modernizzazione del mercato del lavoro, la conoscenza e l’innovazione, nonché la lotta contro il cambiamento climatico e l’efficacia energetica. In particolar modo, gli sforzi richiesti riguardano l’aumento degli investimenti in favore di tecnologia, informazione e comunicazione, e la realizzazione effettiva del mercato interno e di un’effettiva cultura imprenditoriale.
Anche quest’anno il processo ricomincia daccapo con la strategia Europa 2020, per uscire dalla crisi, che ha caratterizzato l’intero secondo ciclo, e preparare l’economia per il prossimo decennio. La strategia Europa 2020 succede a quella di Lisbona, condividendone alcuni aspetti ed individuando le tre priorità chiave per rilanciare il sistema economico: una crescita intelligente, basata sulla conoscenza ed innovazione; sostenibile, ovvero efficiente per quanto riguarda le risorse e la competitività; ed infine solidale, cioè con un alto tasso di occupazione e coesione sociale.
Per risollevare l’andamento dell’economia europea e creare nuovi posti di lavoro sono necessari obiettivi a lungo termine, che permettano di conseguire un futuro stabile e sicuro. I cinque obiettivi proposti dalla Commissione prevedono lavoro per il 75% delle persone di età compresa tra i 20 ed i 64 anni, l’investimento del 3% del PIL dell’Ue in ricerca e sviluppo, l’abbassamento del tasso di abbandono scolastico sotto il 10% e l’aumento del tasso di laureati al 40%, il raggiungimento dei traguardi “20/20/20” per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra, l’aumento dell’efficienza energetica e delle fonti alternative, ed ultimo 20 milioni di persone in meno dovranno essere a rischio di povertà. Quest’ultimo punto non sarà facile da raggiungere, considerando i nuovi quattro milioni di italiani che vivono in uno stato di povertà, come conseguenza della crisi finanziaria, che ha portato a un totale di 50 milioni di disoccupati in più in tutto il mondo.
La necessità di un cambiamento che porti però ad una certa stabilità, è oggi più che mai una realtà. Questa necessità trova la sua esplicitazione con il termine “flessicurezza”, che indica un modello sociale che unisce flessibilità e sicurezza dell’occupazione. Il 76% dei cittadini europei ritiene che la flessibilità sia un’opportunità per trovare un impiego e che il posto di lavoro a vita con lo stesso datore appartiene ormai al passato; per il 72% l’elasticità dei contratti costituisce uno strumento per la creazione di posti di lavoro. In altri termini si richiede un approccio al mondo del lavoro, unico nel suo genere, che mette insieme l’elasticità contrattuale con la certezza occupazionale.
La crisi economica e sociale che ci troviamo a fronteggiare in questi anni ci pone di fronte a un dilemma etico e sociale che potrà forse rifondare le basi finanziarie con cui le banche e gli operatori di borsa hanno fino ad oggi operato. La sfida è grande ma l’obiettivo è il mantenimento di un benessere che è costato tanti secoli di duro lavoro per realizzare quell’Europa e quell’unione, bisogna cioè costruire i fondamenti di un futuro più stabile e più equo.