Simulazioni jobs act: licenziare conviene e può diventare un business
Il servizio Politiche Territoriali della Uil ha elaborato una serie di simulazioni che permettono di chiarire meglio il quadro che riguarda i benefici che avranno i di lavoro grazie al jobs act voluto dal governo Renzi.
Il cosidetto contratto a tutele crescenti ha un'ottima possibilità di trasformarsi nello strumento principe del lavoro saltuario, che avrà come durata massima l'arco di 3 anni. Durante questo periodo, ovvero prima del teorico obbligo di assunzione a tempo indeterminato, il datore di lavoro ha oggi più di allora una formidabile arma di ricatto per schiavizzare i dipendenti, i quali, a meno che non siano dei fenomeni sovrannaturali nel loro lavoro, saranno a rotazione soppiantati da altri lavoratori seguendo uno schema molto semplice.
Prendiamo ad esempio il caso di un lavoratore assunto con questo nuovo contratto con un reddito mensile lordo di €25.000 l'anno, corrispondenti a €1.923 mensili lordi e quindi a poco meno di €1.400 netti su 13 mensilità (€ 18.000 circa netti l'anno). Fino a poco tempo fa lo scarto tra il loro (€25.000) e il netto (€18.000) veniva pagato dal datore di lavoro sottoforma di contributi Inps, Inail, Irap, tasse locali, ritenute Tfr ecc.
Oggi però le cose cambiano: durante i tre anni di assunzione con contratto a tutele crescenti il governo ha previsto una serie rilevantissima di sgravi fiscali in favore del datore di lavoro che la Uil, nel caso di dipendente a 1.400 euro netti al mese, ha stimato in €9.153 (sgravi contributi per €7.875 e Irap per €1.278) euro ogni anno. Nell'arco dei tre anni quindi i benefici per il datore di lavoro saranno complessivamente di €27.459.
Certo, al momento della scadenza dei tre anni di contratto, il datore di lavoro dovrà riconoscere un'indennità all'ormai ex dipendente per un ammontare di €8.654 che riducono l'utile dell'operazione e "soli" €18.805. Ora, prendiamo un'azienda di medie dimensioni con 100 dipendenti: se applicasse anche solo al 10% del personale questo nuovo contratto al titolare resterebbero in tasca quasi €200.000 in più ogni tre anni. E se aumentasse la percentuale gli sgravi potrebbero sommarsi fino all'incredibile cifra di quasi €2.000.000 risparmiati ogni tre anni in un circolo infinito di sostituzione di dipendenti.
Detassare il lavoro è cosa buona e giusta perché l'operosità è sempre stata il motore dell'Italia ma creare nuovi schiavi a scadenza forse non è altrettanto onesto. Se voi foste una banca dareste un mutuo a un lavoratore assunto con questo contratto?
C'è infine l'aspetto più subdolo di questa faccenda: quando scoppierà il bubbone? Ovviamente i primi licenziamenti di massa avverranno a partire da marzo/aprile del 2018 ovvero tre anni dopo la pubblicazione del jobs act. Nel frattempo i contratti di lavoro (forse) sembreranno essere ripartiti e l'occupazione giovanile potrebbe sembrare essere diminuita.
E quando ci saranno le elezioni politiche? Nel febbraio 2018 naturalmente: un mese prima dello scoppio del bubbone, nel punto apparentemente migliore di questo scellerato piano. Proprio poche settimane prima del precipizio. Ma Renzi nel frattempo avrà già incassato le cambiali (voti).
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