La trappola dei padri: la gestione separata Inps
Un odio intergenerazionale sempre più diffuso accompagna i ragionamenti che si possono sentire in seminari, corsi universitari, analisi sociodemografiche, discorsi da bar.
Nell'Italia che si affaccia nel terzo millennio, la generazione dei figli ha iniziato a detestare la generazione dei padri. Perché? Cosa è successo? Qual è la radice di questo impasse generazionale, di questa incomunicabilità assoluta? La chiave di volta per comprendere il peccato originale che ha creato questo smottamento emotivo ha una data di nascita ben precisa: il 1995. E ha un responsabile identificabile in Lamberto Dini e nella sua riforma previdenziale.
L'Italia lavorativa da quel momento è stata separata in due tronconi principali, con qualche sfumatura in via di esaurimento nel mezzo, che nel tempo hanno visto acuire notevolmente le proprie differenze.
1) Chi aveva iniziato a lavorare entro il 1978 sarebbe andato in pensione con il sistema retributivo (praticamente con la paga dell'ultimo periodo lavorativo, spesso gonfiatasi a dismisura negli ultimi mesi di lavoro e pertando senza aver versato i congrui contributi) e dopo aver lavorato tra i 20 e i 35 anni (ma anche meno in caso di pensionati baby).
2) Quelli che avevano iniziato a lavorare tra il '78 e il '95 avrebbero goduto di un sistema "misto" (dopo 30/40 anni di lavoro) tanto più favorevole tanto prima si fosse iniziato a lavorare.
3) Quelli che iniziarono a lavorare dal 1996 in poi sarebbero ricaduti nel sistema contributivo: in pratica la pensione (dopo oltre 42 anni di contributi) corrisponderà a circa il 40% dell'ultimo stipendio. Si badi bene: nel migliore dei casi!
Accanto a questa trappola che sarebbe scattata troppo in là per scatenare rivoluzioni di massa (che arriveranno a tempo debito, quando i responsabili saranno sotto terra), la riforma Dini invento la Gestione Separata Inps, il fondo pensionistico riservato a lavoratori con contratti di collaborazione a progetto, titolari di borse di studio per dottorati di ricerca, lavoratori autonomi di ordini professionali senza specifiche casse previdenziali. In pratica i precari di oggi, gli schiavi moderni, che non a caso non esistevano nell'Italia prima di quegli anni. Essendo una gestione "nuova" che incassa miliardi di euro ogni anno e non eroga pensioni, è una cassa che è da sempre in attivo di molti miliardi.
Penserete: bene, quei soldi finiranno per premiare i precari quando sarà il loro momento. Sbagliato, la Gestione Separata non erogherà che pochissime pensioni degne di questo nome perché molti precari non raggiungeranno mai i requisiti minimi per accedere alla pensione. Tutti questi miliardi frutto spesso di lavori degradanti, umilianti, vissuti sempre sotto il ricatto di un mancato rinnovo, senza tutele, malattia, TFR, ore di permesso, servono invece a pagare le pensioni di chi è venuto prima. Di chi sta godendo di trattamenti pensionistici immeritati, in primis i dirigenti del settore pubblico che avevano una cassa praticamente fallita (Inpdap) e che Monti ha infilato nell'Inps con tutto il suo disavanzo. E senza togliere loro un solo euro.
Il tutto mentre l'iniziale aliquota del 19,5% a carico dei precari ha superato il 26%. Siamo quindi arrivati al corto circuito finale: i figli mantengono con lavori non dignitosi i padri e i nonnni spesso baby pensionati che a loro volta aiutano come possono i figli. Arriverà il momento in cui la catena della solidarietà si spezzerà per motivi anagrafici (leggi morte di nonni e genitori) e allora saranno guai per davvero.
L'unica sacrosanta via d'uscita sarebbe una legge, anche di un solo articolo che contenga una frase simile: Viene istituito il principio dell'equa valorizzazione dei contributi previdenziali, secondo cui tutti i contributi dei lavoratori hanno lo stesso valore.
Già perché quella che sembra un'ovvietà nell'Italia di oggi non lo è. I 500 euro che versa un precario valgono oggi meno dei 500 euro che versa un dipendente pubblico.
---