Il Comune non può chiedere le rette ai familiari degli anziani
Chi scrive, per contro, continua ad essere dell’opinione che le norme in materia siano molto chiare. Difatti, l’art. 23 della legge n. 328/2000, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, stabilisce che la verifica delle condizioni economiche del richiedente, ai fini dell’accesso ai servizi di assistenza disciplinati dalla medesima, vada effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 109, come modificato dal successivo decreto legislativo 3 maggio 2000 n. 130. E per l’art. 3, comma 2 ter, di tale provvedimento, per tutte le prestazioni sociali da erogarsi a favore degli anziani ultrasessantacinquenni e delle persone con handicap gravi, si deve fare riferimento solo ed esclusivamente alla loro situazione economica.
Allo scopo di evitare ogni equivoco, il Legislatore nell’art. 2, comma 6, di tale ultimo decreto legislativo ha poi precisato che le disposizioni del medesimo non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti agli alimenti, e non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori dei diritti alimentari spettanti al richiedente e, quindi, di una specie di diritto di “regresso” nei confronti dei componenti del nucleo familiare.
Nessuna rilevanza può, invece, essere attribuita al fatto, al quale sembrano dare rilievo alcuni amministratori, che il governo non abbia ancora emanato il decreto previsto dai due menzionati provvedimenti. Trattasi, infatti, di un atto amministrativo che non può apportare alcuna modifica alle norme contenute nei medesimi che hanno, invece, valore di legge.
Va poi osservato che il decreto di cui sopra ha lo scopo di “favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza”, e non potrà, di conseguenza, porre limitazioni o interferire su una disposizione di legge relativa all’obbligo di prendere in considerazione la “situazione economica del solo assistito”. Senza dire che la sua emanazione non è oggi più necessaria, dal momento che la legge quadro di riforma dell’assistenza n. 328/2000, varata dopo l’approvazione dei citati decreti legislativi, fornisce tutte le indicazioni occorrenti per la realizzazione del previsto sistema integrato di interventi e servizi sociali, nonché per la valorizzazione e il sostegno delle responsabilità familiari, comprese quelle dirette “a favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza”.
Insomma, la legge è chiarissima nell’escludere che i cosiddetti “obbligati per legge”, cioè i parenti fino al quarto grado, siano tenuti al pagamento delle rette a carico dei loro congiunti con handicap gravi o ultrasessantacinquenni non autosufficienti, che vivono nelle Residenze Sanitarie Assistenziali. In questo senso, del resto, si sono già espressi, oltre ai Comuni di Milano e di Torino con apposite deliberazioni, anche diversi difensori civici.
Ciò, peraltro, non è ancora avvenuto nella maggior parte dei Comuni italiani. Il che dà luogo ad una situazione particolarmente grave, se si considera che i familiari vengono spinti a sottoscrivere l’impegno di versare i contributi economici pur di garantire al loro congiunto prestazioni assistenziali che dovrebbero essere fornite tralasciando le capacità reddituali dei parenti.
Se ogni altra strada sembra impraticabile – chi mai con un parente in quelle condizioni, bisognoso di cure e di ricovero, può infatti pensare di rivolgersi all’autorità giudiziaria ed aspettare anni? – chi scrive ritiene che al parente non resti che accettare la sottoscrizione dell’impegno a versare il contributo economico richiesto dal Comune, con l’invio subito dopo il ricovero di una lettera di disdetta. Lettera di disdetta alla quale potrà seguire anche una causa, perché, come detto sopra, gli enti pubblici non possono disapplicare una legge dello Stato.
Prima che si avviino le cause, speriamo che in ogni città vengano organizzati convegni dove tutte le parti possano esprimere le loro idee. Questo sarebbe il miglior modo di risolvere la questione, anche se la legge è ormai chiara e nessuno può impedire il ricorso dei congiunti alle vie legali. Vie legali alle quali sarà comunque opportuno affidarsi, dopo aver ottenuto il ricovero del parente presso un istituto, onde ottenere la restituzione di quanto indebitamente pagato.
avv. Giovanni Franchi con avv. Augusto Truzzi, Confconsumatori