I servizi gratuiti... a pagamento
Lettera firmata
È un dato di fatto che attualmente tra i vari gestori di telefonia mobile sia in atto una campagna pubblicitaria “selvaggia” e non sempre corretta e veritiera, tesa ad acquisire nuova clientela.
Il “sistema” per ottenere siffatto risultato ricorrentemente fa riferimento ad offerte più o meno “strabilianti” e formulate in modo talmente “ammiccante” che praticamente al consumatore non resta che accettare senza indugio.
Bisogna dire in tutta onestà che la situazione venutasi così a creare (certamente non a favore del consumatore) è dovuta alla “liberalizzazione” del mercato, che vede agire su questo soggetti che si contendono il cliente proponendo prodotti del tutto similari, ricorrendo all’espediente di invogliare lo stesso sul filo di non sempre reali “sconti” o “condizioni particolari”: il tutto a mezzo moduli prestampati sottoposti frettolosamente alla sottoscrizione “dell’entusiasta” cliente.
Quest’ultimo, proprio per questo, non è sempre in grado di valutare con la dovuta serenità e ponderatezza l’esatta portata dello “sconto” o “dell’offerta speciale”, rendendosi conto solamente in epoca successiva alla sottoscrizione di essersi impegnato contrattualmente per una prestazione non proprio corrispondente a quanto in buona fede ritenuto pattuito.
Quanto precisato ritengo necessario per chiarire al lettore che la mia risposta – che vado a formulare – deve necessariamente partire dal presupposto che testualmente il contratto sottoscritto preveda – con certezza – la prestazione citata nel quesito che mi è stato posto.
Sulla base di tale premessa è evidente che il lettore si trova dinnanzi ad una palese inadempienza contrattuale in quanto il modulo sottoscritto presso il gestore di telefonia mobile da lui contattato concretizza una tipologia di contratto definito dal vigente codice civile “contratto per adesione”, intendendosi – questo – quale contratto nel quale le condizioni sono unilateralmente previste dal fornitore della prestazione, permettendo al fruitore della stessa unicamente di accettarle nella loro intierezza o rifiutarle.
Nel caso specifico è evidente che il gestore di telefonia mobile non ha adempiuto a quanto contrattualmente offerto (e per il quale si era impegnato nei confronti del lettore), addebitando tutta una serie di servizi telefonici a prezzo di listino e omettendo di considerare questi gratuiti per il periodo di 30 giorni dal momento della sottoscrizione.
Venendo al pratico: consiglio al lettore di inviare una raccomandata a.r. al gestore di telefonia mobile che ha emesso la fattura contestata, dichiarando di non riconoscere l’addebito – come da contratto sottoscritto – delle voci previste come gratuite, e così dichiarandosi immediatamente disponibile a versare l’importo residuo (ovverosia il totale della fattura, detratte le voci relative ai servizi promessi come gratuiti).
Va da sé che qualora il gestore di telefonia mobile – formalmente creditore nei confronti del lettore delle somme fatturate – non intendesse recedere dalla sua richiesta, verosimilmente non riscontrerà la raccomandata consigliata, optando per l’immediata richiesta di decreto ingiuntivo al locale Tribunale.
Se ciò dovesse avvenire, il lettore – a mio avviso fondatamente – una volta notificatogli il decreto dovrà, ricorrendo a legale di sua fiducia, impugnare il provvedimento per le motivazioni riportate nel quesito posto, così che in sede di giudizio di opposizione il Giudice, valutata la fondatezza delle doglianze del lettore, dichiarerà nullo il provvedimento notificatogli, condannando il gestore di telefonia mobile a rifondere al lettore le spese legali sostenute.
Certamente da questa mia indicazione il lettore, se da una parte potrà trovare “conforto” alle sue lamentele (peraltro giustificate) constatando come la Legge fornisca il mezzo adeguato per opporsi ad una “prepotenza”, d’altro canto avrà la mia comprensione qualora dovesse constatare amaramente come sia sempre e comunque oneroso (nel senso più ampio del termine) avere Giustizia a fronte di palesi “disservizi” dei quali giornalmente ciascuno di noi – come consumatori – dobbiamo fare le spese, inducendoci pertanto (ma non sempre a ragione) a “lasciar perdere” per il quieto vivere.
La conclusione, pertanto, può e deve essere una sola: il chiedere Giustizia comporta sempre e comunque per il cittadino un costo di fatto non risarcito; tale circostanza, però, non deve comportare una “arrendevolezza” del cittadino oltre l’opportuno.
avv. Marcello Giordano