Malattie renali: spesso, killer silenziosi
L’attenzione nei confronti delle affezioni renali è dettata dall’esigenza di prevenire l’insufficienza renale cronica e di ridurre il rischio cardiovascolare, che aumenta sensibilmente già in presenza di un’insufficienza renale lieve. Questa invalidante patologia è spesso l’anticamera della dialisi o del trapianto.
“L’insufficienza renale cronica (IRC) costituisce un problema di salute pubblica – ammette il dottor Giovanni Oliviero Panzetta, primario della S.C. di Nefrologia e dialisi dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste – perché aggrava tutte le patologie preesistenti del paziente, aumenta i danni al sistema cardiovascolare, crea condizioni favorenti il cancro abbassando le difese immunitarie. Aumenta sensibilmente il rischio di morire per queste ragioni, prima che il paziente giunga al punto di non ritorno della dialisi. I dati della letteratura scientifica indicano che per gli uremici questa probabilità è 20 volte superiore a quella stessa di giungere in dialisi”.
A livello internazionale si calcola che almeno il 10% della popolazione adulta presenti una riduzione della funzionalità renale del 50% o più rispetto alla normalità. Stimando per Trieste una prevalenza dell’IRC non inferiore al 6-8% della popolazione generale (dati che concordano con il resto del Paese), il numero delle persone interessate dalla patologia si porrebbe tra 14 e 19.000 soggetti, cioè un livello pari o superiore a quello stimato per il diabete. “Questi dati – sostiene il primario – non vanno diffusi per creare inutile allarmismo, che in sanità non è mai una strategia vincente, ma per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della prevenzione (considerando i fattori di rischio) e della diagnosi precoce. Esistono terapie, dietetiche e farmacologiche, efficaci qualora tempestivamente applicate. Se la diagnosi è precoce, le cure possono essere determinanti. Una guarigione è frequente”. “In ogni caso l’evoluzione della malattia può essere sensibilmente rallentata”, rassicura il professor Panzetta, principale relatore all’incontro organizzato a Trieste lo scorso marzo, in occasione della celebrazione della Giornata Mondiale del Rene, dall’associazione A.Ma.Re. il rene. In diversi Paesi l’IRC è considerata con attenzione ed è oggetto di progetti d’intervento.
Negli USA quattro anni fa è nata l’idea della giornata mondiale, subito condivisa in Europa e in Italia. Quest’anno si è scelto, senza sottovalutare la prevenzione e le complicanze, di privilegiare l’attenzione sulla qualità di vita del paziente. La garanzia di terapie diffuse a tutti e adeguate non è in discussione ma… sopravvivere non basta. “Questa è la “parola d’ordine” dell’iniziativa – sottolinea Panzetta – e non intende essere uno slogan fine a se stesso ma l’inizio di una riflessione che comprenda aspetti filosofici, giuridici, economici oltre che clinico-sanitari”.
La vita dei pazienti trattati con la dialisi e/o il trapianto di rene è caratterizzata da molte limitazioni. Il concetto di qualità della vita è molto ampio e si riferisce non solo alla salute fisica, ma anche al benessere psicologico, sociale, educazionale ed occupazionale. La qualità della vita dipende da molti fattori: dalla capacità economica del Paese, dell’organizzazione del Sistema sanitario, dal sostegno e supporto familiare, dalla gratificazione dell’attività lavorativa, dalle basi culturali, dalla rete sociale. “Una buona qualità della vita – esorta Panzetta – deve essere e può essere un obiettivo del trattamento di tutte le malattie croniche, e le malattie renali non devono essere escluse”.
La principale causa dell’aumento esponenziale dei casi di insufficienza renale cronica risiede nell’aumento delle malattie vascolari del rene. Mentre per le altre malattie renali l’incidenza si mantiene costante o in regresso, per le malattie vascolari del rene è emersa una situazione del tutto simile a quella già documentata per le malattie vascolari di organi come il cuore e il cervello, che sono paradossalmente in aumento grazie all’allungamento della durata della vita concesso dai progressi della medicina e in particolare dai farmaci “cardiovascolari” modernamente utilizzati. Le cure più efficienti hanno avuto il merito di salvare tante vite dalle complicanze vascolari acute come ictus e infarto, ma non possono impedire che si formino i danni vascolari cronici agli organi come avviene appunto per il rene.
“Un fenomeno connesso a questa realtà – rileva il primario della S.C. di Nefrologia e dialisi – è costituito dall’età particolarmente avanzata dei pazienti affetti da IRC, che a Trieste sono molti. Il numero delle persone che entrano in dialisi è il più elevato non solo della nostra regione ma dell’intero Paese: oltre 80 persone iniziano la dialisi ogni anno, corrispondenti a 350 per milione di popolazione (pmp) contro una media nazionale di soli 150 pmp. I pazienti con età superiore a 65 anni costituiscono l’85% del totale e quelli con età superiore a 75 anni ormai superano il 50%. Fortunatamente vi è una diminuzione dei pazienti giovani, tanto in percentuale che in termini assoluti”.
Presso l’ambulatorio della S.C. di Nefrologia e dialisi di Trieste vengono seguiti circa 2.500 pazienti con IRC e il numero di nuovi pazienti supera le 500 unità all’anno. “Facciamo molto – osserva Panzetta – ma non abbastanza. Per affrontare una malattia sostanzialmente endemica, infatti, si deve iniziare ad agire con l’ottica di un Piano di coordinamento di tutte le forze in campo. Per non mancare questo obiettivo non basta l’ambulatorio di Nefrologia e non bastano le risorse a disposizione”. “Il Piano – conclude – deve veder coinvolti in maniera coordinata medici di famiglia o di medicina generale, Distretto sociosanitario, Ospedale e associazioni di volontariato, delle quali sono noti gli sforzi e i risultati profusi e ottenuti in questi anni che certo hanno costituito una risorsa di valore aggiunto”.
Prevenzione: le condizioni di rischio
Per prevenire le malattie renali bisogna tener presenti le condizioni di rischio più importanti per la loro comparsa e, se possibile, prevenirle e correggerle: invecchiamento (oltre 60 anni); ipertensione arteriosa; diabete; uso prolungato di farmaci senza controllo medico, specialmente antinfiammatori non steroidei; ipercolesterolemia grave; obesità importante; calcoli renali; infezioni urinarie ricorrenti; ostruzione delle basse vie urinarie (ad esempio ipertrofia prostatica di grado elevato); precedenti malattie renali; malattie immunologiche in atto; presenza di malattie renali nei familiari.
È importante eseguire, in tutte le condizioni di rischio, il controllo della funzionalità renale con la determinazione della creatininemia, ripetendolo eventualmente ad intervalli regolari, ad esempio annuali, o semestrali se il rischio è elevato. La creatinina è un prodotto delle masse muscolari che viene eliminato dal rene e si accumula nel sangue quando la funzione renale si riduce. Valori ematici superiori a 1,2 mg/dl nella donna e a 1,4 mg/dl nell’uomo possono indicare un danno funzionale renale e meritano un approfondimento. È facile dedurre dalla creatininemia il valore della filtrazione renale. Questo controllo, che ha soppiantato quello tradizionale dell’azotemia, può costituire un primo campanello di allarme, particolarmente importante quando l’esame delle urine è normale, per una nefropatia evolutiva.
Non sottovalutare, infine, i segni minori e aspecifici di malattia renale, quali edemi agli arti inferiori, un’ipertensione anche non costante, infezioni croniche o recidivanti delle vie urinarie, emissione di urine di colore o di odore differente dall’abituale.
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