Morbo di Parkinson: sintomatologia e diagnosi precoce
È un disturbo del sistema nervoso centrale caratterizzato principalmente da degenerazione di alcuni neuroni situati in una zona profonda del cervello denominata sostanza nera. Arvid Carlsson, premio Nobel 2000 per la medicina, ha scoperto che queste cellule producono dopamina, una sostanza che viene normalmente utilizzata dai neuroni per comunicare tra loro e responsabile dell’attivazione di un circuito che controlla il movimento.
Questo chiarisce il legame tra l’osservazione istologica dei cervelli di persone decedute per la malattia e le alterazioni comportamentali nei pazienti. Il malato trema, si muove in modo “strano”, i suoi arti sono rigidi, i movimenti diventano estremamente lenti. Nella fase finale della malattia, da dieci a vent’anni dopo la diagnosi, in molti casi il paziente non ragiona più e, alla fine, subentra la morte.
La malattia di Parkinson si riscontra più o meno nella stessa percentuale nei due sessi ed è presente in tutto il mondo. Può comparire a qualsiasi età anche se un esordio prima dei 40 anni è insolito e prima dei 20 è estremamente raro. Nella maggioranza dei casi i primi sintomi si notano intorno ai 60 anni. C’è però assoluto bisogno di una diagnosi precoce: quando si manifestano i primi sintomi, la situazione è ormai compromessa, poiché più di metà delle cellule dopaminergiche sono morte.
È stato messo a punto un test dal Centro Parkinson e disturbi del movimento Irccs San Raffaele, a Roma (direttore prof. Fabrizio Strocchi), per individuare chi potrebbe sviluppare questa malattia neurodegenerativa. Viene effettuato sull’olfatto: è basato sull’osservazione che molti pazienti perdono la capacità di sentire gli odori 3-4 anni prima che la malattia si manifesti, perché si verifica una degenerazione delle cellule olfattorie. Il primo studio su questo test è stato effettuato negli Stati Uniti su familiari di malati di Parkinson.
Per verificare ulteriormente l’attendibilità di questo test sta per prendere il via un altro studio a cui prenderanno parte numerosi centri italiani per lo studio e la cura della malattia di Parkinson. È aperto a tutti, ma per prendervi parte si deve avere in famiglia un parente malato di Parkinson. Se i dati che emergeranno da questo nuovo studio confermeranno i risultati già ottenuti, si avrà un’arma in più per cogliere in anticipo la malattia e intervenire subito con cure adeguate e di conseguenza posticipare il momento in cui fanno la loro comparsa i disturbi.
Già un gruppo di studio internazionale ha identificato oltre a questo campanello d’allarme altri segni “premonitori”, che se persistono contemporaneamente per almeno 3-4 mesi (e naturalmente sono state escluse altre cause possibili) devono far optare il soggetto a sottoporsi a una visita neurologica. Questi sono, oltre alla perdita di sensibilità olfattiva: depressione in una forma simile a quella classica ma che non viene alleviata da nessun antidepressivo; stipsi grave irrisolvibile anche se gli esami non rivelano problemi al colon; sonno agitato nella fase REM.
Sono tre i sintomi classici della malattia di Parkinson: tremore, rigidità e lentezza dei movimenti (bradicinesia), ai quali si associano disturbi di equilibrio, atteggiamento curvo, difficoltà all’andatura, e molti altri sintomi definiti secondari perché sono meno specifici e non sono determinanti per porre una diagnosi. All’inizio i pazienti riferiscono una sensazione di debolezza, di impaccio nell’esecuzione di movimenti consueti, che riescono a compiere stancandosi però più facilmente; in genere non si associa una sensazione di perdita di forza muscolare. Ci si accorge poi di una maggiore difficoltà a cominciare e a portare a termine i movimenti alla stessa velocità di prima come se il braccio interessato (o la gamba) fosse “legato”, rigido.
Il tremore è spesso fra i primi sintomi riferiti della malattia; di solito è visibile alle mani, per lo più esordisce da un solo lato e può interessare l’una o l’altra mano. È presente a riposo e si riduce o scompare appena si esegue un movimento finalizzato, ad esempio sollevare un bicchiere per bere. Risente molto dello stato emotivo del soggetto, per cui aumenta in condizioni di emozione, mentre si riduce in condizioni di tranquillità. Un altro tipo di tremore spesso riferito dai malati di Parkinson è il “tremore interno”: questa sensazione è avvertita dal paziente ma non è visibile all’esterno; fa parte di una serie di sintomi fastidiosi, non pericolosi. Non è però un sintomo indispensabile per la diagnosi di Parkinson, infatti non tutti i malati di Parkinson sperimentano tremore nella loro storia e, d’altra parte, non tutti i tremori identificano una malattia di Parkinson.
Altri disturbi per i quali frequentemente un malato di Parkinson si rivolge inizialmente al medico possono essere: alterazioni della grafia; alterazioni della voce che a un ascoltatore abituale, quale è un parente, appare cambiata e viene descritta come flebile e monotona; inoltre lo stesso parente si può accorgere di una variazione dell’espressione del volto, la cosiddetta “facies figee”, cioè un viso più fisso e meno espressivo. Tutti questi sintomi possono essere resi evidenti o temporaneamente aggravati da eventi stressanti.
Ad una prima riduzione del movimento di accompagnamento delle braccia, più accentuato da un lato, segue una fase in cui i passi possono farsi più brevi, talvolta si presenta quella che viene chiamata “festinazione”, cioè il paziente piega il busto in avanti e tende ad accelerare il passo come se inseguisse il proprio baricentro. Negli stadi avanzati della malattia possono verificarsi episodi di blocco motorio improvviso (“freezing”, come un congelamento delle gambe) in cui i piedi del soggetto sembrano incollati al pavimento. Il fenomeno di solito si verifica nelle strettoie oppure all’inizio della marcia o nei cambi di direzione. Questa difficoltà può essere superata adottando alcuni accorgimenti quali alzare le ginocchia come per marciare, oppure considerando le linee del pavimento come ostacoli da superare o anche con un ritmo verbale come quello che si utilizza durante la marcia militare.
L’alterazione della postura determina un atteggiamento curvo: il malato si pone come “ripiegato” su se stesso per cui il tronco è flesso in avanti, le braccia mantenute vicino al tronco e piegate, le ginocchia pure mantenute piegate. I disturbi di equilibrio si presentano più tardivamente nel corso della malattia, e sono indubbiamente i sintomi meno favorevoli: sono essenzialmente dovuti ad una riduzione dei riflessi di raddrizzamento per cui il soggetto non è più in grado di correggere spontaneamente eventuali squilibri. Si ricercano verificando la capacità di correggere una spinta all’indietro. L’incapacità a mantenere una postura eretta e a correggere le variazioni di equilibrio, può provocare cadute che possono avvenire in tutte le direzioni anche se, più frequentemente, il paziente tende a cadere in avanti. Il sintomo risponde solo limitatamente alla terapia.
Dal punto di vista terapeutico, a trent’anni dalla sua introduzione, la Levodopa rimane la terapia più efficace poiché aumenta la produzione di dopamina da parte delle cellule mesencefaliche superstiti. Una più recente introduzione terapeutica, la Rasigilina, sembra avere azione neuroprotettiva e pare blocchi il meccanismo alla base del calo di dopamina. Già usato il ropirinolo, un dopamino-agonista (mima l’azione della dopamina) che tiene meglio sotto controllo i disturbi. Infine, l’applicazione chirurgica di elettrodi per la stimolazione a lungo termine ha dato risultati incoraggianti, mentre si guarda con speranza ai progressi nel campo della terapia restaurativi basata sul trapianto di cellule staminali.
foto: Ken Treloar