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Protesi e cure ortopediche nelle persone diabetiche

 |  Redazione Sconfini

 Il diabete sarà, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, una delle emergenze sanitarie per i prossimi anni: si prevede infatti un incremento costante della malattia diabetica, e con essa delle sue complicanze croniche.

Tra queste, la neuropatia e la vasculopatia periferica sono fra quelle maggiormente penalizzanti. La vasculopatia aterosclerotica è la principale causa di morbilità, invalidità e mortalità nella popolazione diabetica: traumi anche minimi portano ad ulcerazioni della cute e a infezioni.
Le complicanze agli arti inferiori, senz’altro le più frequenti e invalidanti, sono note con la definizione “piede diabetico”: si intendono tutte le alterazioni anatomo-funzionali determinate dall’arteriopatia occlusiva periferica e/o dalla neuropatia diabetica. Queste complicanze richiedono cure appropriate che si dimostrano essenziali per prevenire i rimedi estremi. Tutti i pazienti diabetici, anche in assenza di lesioni, dovrebbero effettuare una visita di controllo annuale da parte di personale esperto per adottare tutte le misure preventive atte ad evitare ulcerazioni. Per i pazienti già affetti da lesioni anche piccole, invece, è importante tenere sotto controllo le infezioni e risolvere al più presto eventuali problemi vascolari.
La chirurgia, in particolare quella ortopedica, nel trattamento del diabetico deve affrontare queste esigenze e in particolare le particolarità del singolo paziente. “La chirurgia del futuro per camminare oggi: protesi e cure ortopediche nelle persone diabetiche”, è stato l’argomento dell’incontro organizzato recentemente dall’Associazione Diabetici di Trieste durante il quale il dottor Maurizio Del Ben, chirurgo ortopedico, ha ripercorso le tappe fondamentali di questo ramo della chirurgia. “La chirurgia delle origini – ha raccontato – praticava l’immobilizzazione del segmento osseo (in traumatologia questi trattamenti si sono rivelati in molti casi insoddisfacenti) oppure era demolitiva con amputazioni e artrodesi (ancora praticate) che mutilavano la funzione definitivamente. Con l’avvento della chirurgia non demolitiva, grazie ai rigorosi protocolli antibiotici, alle tecniche chirurgiche conservative e soprattutto al ricorso alle protesi, gli interventi divengono riparativi, anche se gli accessi nella tecnica tradizionale erano molto invasivi e con estesi esiti cicatriziali”. Erano gli anni che precedevano l’evoluzione delle tecniche chirurgiche attuali. “L’introduzione dei chiodi endomidollari (infibuli) che si agganciano all’interno del canale midollare osseo – ha spiegato Del Ben – e il ricorso alle placche a scivolamento, che permettono di ancorare con accessi minimi e stabilizzare la protesi, aprono la strada all’innovazione costituita dalla chirurgia mininvasiva”.
Il concetto di mininvasività non deve però trarre in inganno: non significa una semplificazione, e ancor meno una banalizzazione dell’intervento operativo. “Per eseguire bene un intervento che rispetti la mininvasività – ha sottolineato il chirurgo ortopedico – l’operatore deve conoscere alla perfezione la tecnica e l’anatomia. Solo il rigoroso rispetto di queste condizioni è la base per garantire per tutti i pazienti, e in particolare per quello diabetico, un’adeguata emostasi, la sterilità, il contenimento del danno tissutale. Il paziente diabetico è portatore di aspetti patologici considerati rischiosi per l’intervento chirurgico che devono essere valutati nel complesso dall’équipe operativa: l’inibizione alla riparazione tissutale (per microangiopatia), una ridotta capacità delle difese immunitarie che non contrasta adeguatamente o favorisce la proliferazione batterica e secondariamente il danno tissutale. Le esigenze imprescindibili del paziente diabetico, come la limitazione del danno tissutale e delle infezioni postoperatorie, bene sono interpretate dalle moderne ed affinate tecniche artroscopiche e d’innesto protesico nei vari distretti e dall’affidabilità dei materiali impiegati”. “Accesso limitato e mininvasività chirurgica – ha rassicurato l’esperto – sono condizioni che favoriscono una riabilitazione postoperatoria più rapida e un recupero della funzionalità motoria più soddisfacente”.
Ma dove sta andando la chirurgia ortopedica? “Dopo il cambiamento – ha chiarito Del Ben – dalla funzione demolitiva a quella ricostruttiva, la chirurgia attualmente tenta di affrontare i limiti e i confini rigenerativi. Il trapianto di condrociti risponde all’esigenza biologico-rigenerativa che offre un’ulteriore opportunità per il futuro di alcuni pazienti”. “La chirurgia protesica – ha concluso – avrà dalla ricerca di materiali e dall’ottimizzazione delle tecniche applicative, fra le quali quella con assistenza computerizzata, nuove risposte per le esigenze e le cure complesse dei pazienti di domani”.

foto: Kate


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