Judo: insieme per migliorare
Indifesi, insicuri, in balia degli altri. Questa è la condizione nella quale facilmente ci si può trovare vivendo nelle metropoli di oggi. In particolare sono le donne a
essere vittime di violenze fisiche e il pensiero non può non correre al fattaccio di Roma di pochi mesi fa, quando una donna di mezza età, tornando dal lavoro, venne brutalmente violentata e uccisa. Ma ai ragazzi giovani non va meglio e anche gli uomini non possono sentirsi inattaccabili. Basti pensare a quanto spesso l’aggressione verbale tra automobilisti si trasformi in aggressione fisica.
La violenza sembra aumentare in misura direttamente proporzionale al malcontento che imperversa di questi tempi. Sociologi, psicologi, giuristi si danno un bel da fare per spiegare, prevenire e, sperabilmente, risolvere il problema della sicurezza. Fatto sta che c’è un immediato cui bisogna far fronte ora e adesso. In sostanza bisogna imparare a difendersi, con la speranza che non ci capiti mai nulla. A parlarcene è Arduino de Candussio, esperto di difesa personale, maestro di judo, che da trentacinque anni insegna questa antica disciplina.
Ma prima di addentrarci nell’argomento è necessaria una riflessione. Ci sono mode e modi attraverso i quali si diffondono le informazioni e attraverso i quali prendono piede e diventano popolari molte attività. Il judo e le filosofie orientali hanno ammaliato tanti in questo nostro Occidente. Eppure bisogna stare attenti. Ciò che è esotico, altro da noi, estraneo affascina. Ed è su questo fascino irresistibile verso l’ignoto esotismo che fanno leva in tanti, riuscendo a convincere e a condizionare non solo coloro che non sono competenti ma anche, e soprattutto, coloro che non attivano il senso critico. È un invito a stare in guardia, e non solo in senso fisico, quando ci si avvicina per la prima volta a una disciplina proveniente dal lontano Oriente, che poi oggi non è più così lontano. Un invito fatto proprio da chi ha conosciuto grandi maestri giapponesi, da chi ha conquistato prestigiosi riconoscimenti in ambito internazionale.
Sei forte quando cedi. O meglio: sta nella via della cedevolezza la possibilità che hai di difenderti. Un’affermazione paradossale, che fa a pugni con il pensare comune. È la traduzione stessa del termine judo a suggerire come stanno le cose. Il vocabolo orientale è infatti costruito da due ideogrammi: “ju”, cedevolezza, e “do”, via. Quindi: “via della cedevolezza”, dove la parola “via” esprime il concetto buddista che allude al cammino evolutivo che ogni uomo compie nel corso della vita.
Ma lasciamo per un attimo da parte i pensieri e veniamo a un esempio pratico. Cosa succede se un uomo di 90 chili spinge una donna che pesa la metà? Facilmente possiamo prevedere che sarà lei a cadere. Ma se lei si sposta, chi perderà l’equilibrio? “Il judo – afferma il maestro de Candussio – ha nel corpo intero la sua forza difensiva: non si risponde a un pugno con un altro pugno, ma è tutto il corpo a mettersi in gioco per avere la meglio sull’avversario”.
Allora è proprio dalla posizione del corpo, che in giapponese traslitterato suona “shizen-tai”, che bisogna partire per avere un vantaggio sull’eventuale aggressore. “Quando siamo fermi – rileva de Candussio – normalmente mettiamo il peso del nostro corpo sui talloni ma appena ci mettiamo in movimento, automaticamente e senza esserne consapevoli, lo spostiamo sulle punte dei piedi: è da questa posizione che siamo in grado di agire e quindi anche di affrontare l’avversario”. Provate ora a stare eretti e a compiere questo spostamento di peso. Subito ci si accorge che anche mentalmente si ha un atteggiamento diverso, che possiamo esprimere così: siamo pronti.
E se prima si accennava al fatto che l’aggressore può avere una mole maggiore della nostra e che a pugno non si risponde con pugno, allora dove sta la nostra strada per la difesa? “Nel caso di un attacco improvviso – risponde il maestro di judo – la prima valutazione da fare è se c’è la possibilità di allontanarsi dal pericolo. Ma se ragionevolmente non si è vicini a un luogo sicuro è meglio non disperdere le energie fisiche in una fuga a perdifiato, bensì prepararsi ad affrontare direttamente chi ci assale. Le tecniche judo non sfruttano la forza ma l’astuzia di applicare corretti movimenti sulle leve del corpo, ovvero: polsi, ginocchia, collo, per esempio”.
Ma ciò che preme non è parlare di movimenti da compiere, ma dell’atteggiamento mentale da assumere. Ci sono due aspetti fondamentali che risiedono nelle profondità della mente umana: lo spazio e il tempo. Da questi dipende il successo dell’utilizzo delle tecniche judo. Lo spazio: è necessaria la vicinanza tra aggressore e aggredito, affinché quest’ultimo possa reagire. Il tempo: la tempestività della risposta è fondamentale perché essa sia efficace. Ma se spazio e tempo sono le categorie mentali attraverso le quali l’uomo può pensare, per inciso ne parlava anche Sant’Agostino, allora appare evidente come il pensiero sia il fulcro di questa disciplina giapponese. “Sta nella forza interiore, quella che si trova nel cuore e nella mente, la nostra possibilità di essere e quindi di confrontarci con l’altro affrontandolo”, sostiene de Candussio. Una forza interiore che tutti hanno e che deve essere maieuticamente portata alla luce. In questo caso la levatrice di socratica memoria è rappresentata dal maestro, che mai deve scordare un punto cardine dello judo: insieme per migliorare. Il cammino di apprendimento delle tecniche va di pari passo con un progresso verso la consapevolezza personale, ma tale percorso non viene compiuto in modo individuale. Nel confronto con l’altro si cresce. Ed è evidente che questo non riguarda soltanto il miglioramento atletico ma investe anche l’ambito psicologico.
Visto che si è accennato a Socrate, uno dei padri della filosofia d’Occidente, è interessante notare, come fa Arduino de Candussio nella sua palestra A&R di Trieste, come, nonostante l’origine orientale, si ritrovi un esempio di vittoria sugli avversari compiuta sulla strada della cedevolezza in un mito prettamente latino, quello degli Orazi e Curiazi. I primi erano tre fratelli che vennero scelti per combattere in nome di Roma contro gli avversari di Albalonga; per quest’ultima vennero invece scelti i tre gemelli Curiazi. Ad avere la meglio all’inizio dello scontro furono questi ultimi che subito uccisero due Orazi. Il sopravvissuto dei fratelli ricorse allora all’astuzia e, apparentemente cedendo, finse di scappare verso Roma. Inseguendolo i Curiazi si separarono tra loro, cosicché l’unico degli Orazi poté dapprima con subitaneo e inaspettato gesto uccidere l’unico dei Curiazi non ferito. Mentre gli altri due gemelli già colpiti lievemente all’inizio del duello, nel rincorrere l’astuto fuggitivo, persero le forze e vennero con facilità uccisi da chi fece vincere Roma e sottomettere Albalonga.
Tiziana Benedetti