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Pubescenza: faccio quello che voglio… ma voglio quello che faccio?

 |  Redazione Sconfini

“Be stupid” intimava qualche tempo fa dalle pagine dei giornali o dai manifesti affissi sui muri la fortunata campagna pubblicitaria di una nota marca di abbigliamento casual per giovani. E in effetti, a guardarci intorno, troppo spesso questo imperativo, nella sua paradossalità, sembra essere diventato il rifugio di chi sembra rifiutarsi di comprendere subito o di formarsi troppo in fretta un’opinione sulla vita. Sicuramente il discorso sull’adolescenza incute soggezione come pochi altri, tanto delicato e intricato è il rapporto tra la responsabilità degli adulti e la caotica fatica di chi sta crescendo, e crescendo sbanda e impara, sbaglia e riparte.


Nelle civiltà primitive tutto era più semplice: i riti iniziatici decretavano l’accesso ad un ruolo attivo nella società e la nitida precisione, la demarcazione netta con cui avveniva l’ingresso nell’età adulta erano rassicuranti e incoraggianti per i ragazzi. Gli adulti stessi ne ottenevano certezze, assumendo un diverso modo di porsi di fronte ai comportamenti dei più giovani, passando dall’esercizio dell’autorità, indiscussa e indiscutibile, ad una maggiore paritarietà di relazioni e al riconoscimento di competenze e responsabilità sociali. Poi via via la situazione si è complicata… Si è andata progressivamente tracciando un’età di mezzo, prima come semplice momento di passaggio, poi sempre di più come tappa a sé stante nel percorso evolutivo, tappa che abbiamo chiamato appunto adolescenza, etimologicamente “in via di crescita”, tappa la cui genesi era decretata dalla pubertà.


E fino a relativamente pochi anni fa c’era una stretta coincidenza tra pubertà e inizio dell’adolescenza. Non si faceva nemmeno distinzione tra pubertà fisiologica e pubertà mentale. Si riconosceva che la pubertaltà fisiologica, circoscritta con precisione nel tempo, metteva in moto cambiamenti personali che, prima di concludersi nell’età adulta, si prolungavano per qualche anno… Non c’era alcuna separazione tra aspetti diversi della pubertà, era un semplice evento fisiologico. Poi, contaminati dalle sollecitazioni della nascente psicologia, si è cominciato a dare importanza ai fenomeni di cambiamento psicoemotivo e al lento e articolato processo di presa di coscienza di sé che caratterizza l’adolescenza. Contemporaneamente si è verificata una vistosa accelerazione dello sviluppo infantile tanto sul piano somatico che su quello psicologico e cognitivo.


È venuto così a tratteggiarsi un altro territorio, ancora più labile, ancora più contraddittorio, ancora più instabile, percorso da energiche crisi emozionali e da sbalzi umorali potenti, denso di un narcisismo funzionale espresso da un corpo spesso già maturo e da una mente che invece matura non è assolutamente. Ecco nascere la “PUBESCENZA”, momento estremamente critico rispetto al proprio corpo e rispetto ai conflitti intrapsichici che le relazioni generano, caratterizzato da un’intensa conflittualità con la famiglia e da un’inquietante ambivalenza all’interno di se stessi, ambivalenza tra desiderio di autonomia e volontà di accettazione e di conferma da parte dei genitori. Il rito rabbioso del passaggio in cui si abbandonava l’amore pulsionale verso i propri genitori per aprirsi a quella non-famiglia che è la società dove oggi non sembra esserci nessuno che aiuta i ragazzi a capire quello che essi stessi non capiscono di sé si è ormai trasformato.


Per staccarsi da quel “sentimento oceanico” come lo chiama Freud che lega i giovani ai loro genitori, occorre una forza che negativizzi tutto quello che un tempo è stato amato, che faccia urlare in casa, che faccia piangere e sbattere la porta. Sottesa a questa rabbia c’è una paura, un conflitto con il mondo esterno e con se stessi che i ragazzi controllano poco e gestiscono peggio perché in preda alla rabbia e alla paura non sono più padroni delle loro azioni. Faccio quello voglio!… ma non sono sicuro se “voglio quello che faccio”, sembra essere il dubbio dei preadolescenti schiacciati dalle statistiche secondo le quali i primi approcci con la pornografia di Internet si situano intorno agli 11 anni, statistiche che impietosamente ci raccontano che anche i primi contatti con l’alcool e con il fumo avvengono alla stessa età e che le discoteche pomeridiane e pre-serali, ma pure quelle mattutine affollate di bugie circa la propria presenza a scuola, sono abitualmente frequentate da 13-15enni.


È vero che l’esperienza della libertà resta una delle più centrali e costitutive della vita e dell’identità personale e morale. Ed è altrettanto vero che è proprio nelle decisioni che prendo che mi aaltffermo quale sono, che manifesto chi sono sullo sfondo di chi avrei potuto essere. La questione che si pone, però, è se questo tipo di esperienza sia valido o, proprio perché soggettivo e intuitivo, sistematicamente illusorio. In altre parole se corrisponda a qualcosa nella realtà al di là dell’esperienza stessa.


Ci sono ragazzi che riescono a mettere in campo grandi energie, con sforzi enormi, per raggiungere un obiettivo che loro reputano prioritario. Questi ragazzi hanno sì una gran forza di volontà che li aiuta a superare tutte le difficoltà che si frappongono fra loro e lo scopo, ma questa volontà potrebbe essere di tipo nevrotico. La loro forza non deriva da una qualità interiore ma dalla nevrosi con la quale hanno amplificato il valore dello scopo a cui tendono. Messi di fronte a difficoltà impreviste, a situazioni spiacevoli, a prove fisiche non scelte, diventano all’istante soggetti deboli e fragili. Vulnerabilità e scarsa tolleranza alla frustrazione rendono così i preadolescenti arroganti e prepotenti, totalmente immersi nella loro dimensione narcisistica. Il narcisismo, a quest’età, è in gran parte difensivo per una struttura di personalità ancora labile che cerca, con una parziale regressione e con il reinvestimento sul sé, di rinforzare i propri confini per rielaborare il senso della realtà e il rapporto con gli altri, sminuendo il potere dei modelli adulti ai quali viene negato il fascino identificativo, la credibilità ma soprattutto il potere simbolico. Così gli adulti vengono relegati al ruolo di semplici spettatori.


Gli adulti di oggi, figli del modello della colpa, sono stati ribelli, contestatori, rivoluzionari ma studiosi, assorbiti dal desiderio di capire e di conquistare la libertà, in primis quella sessuale. Oggi i più giovani, figli del modello del successo e dell’immagine, sono invece fragili, permalosi, dediti al culto della propria persona, in perenne fuga dall’anonimato e assediati dalla noia. In uno scenario dove ormai non c’è più norma perché tutto è possibile, al conflitto nevrotico tra norma e trasgressione con conseguente senso di colpa si è sostituito il senso di insufficienza per ciò che si potrebbe fare e non si è in grado di fare o non si riesce a fare in base alle aspettative altrui.


Ed è proprio in questo clima di precaria discontinuità che per i ragazzi prende forma una scoperta straordinaria: il ruolo centrale della sessualità nell’esistenza umana e nella costruzione dell’identità in termini psicoloaltgici, somatici, emozionali, sociali, relazionali. Liberato dalla prepotenza della morale e dell’etica, il corpo pubescente è investito dalla potenza estetica anche se, purtroppo, spesso gestito in una dimensione anestetica con assoluta spudoratezza e con una precoce erotizzazione che vive le emozioni e i sentimenti come un inutile intralcio. Noia e indolenza divorano ogni desiderio e spesso ai ragazzi non resta che consumare se stessi e il proprio corpo cercando nell’autoconsumismo una nuova forma di emozione.


Nella pubescenza non ci si può confrontare con la sessualità attraverso il linguaggio della ragione perché questa sorge dopo l’evento simbolico che separa il reale dal senso della legittimazione. Ma non si può neppure affrontare la sessualità con un linguaggio simbolico perché questo, allontanandola dall’esperienza, provocherebbe ansia e senso di inadeguatezza. Ecco perché per il preadolescente (e in seguito anche per l’adolescente) la sessualità resta in ogni momento governata da qualcosa di sacro a cui però non deve avvicinarsi troppo per non esserne dissolta ma da cui non deve neppure tanto allontanarsi per non perdere gli effetti della sua presenza. A questo senso di consacrazione i giovani potranno rinunciare solo quando accetteranno di essere loro gli autori delle regole, quando sarà avvenuta quella maturazione psicologica e sociale che affermerà il principio di non contraddizione superando ogni ambivalenza simbolica. Ma può volerci tempo, a volte molto tempo…


Analizzata in tempo, però, questa età fotografa una sessualità nascente, non ancora dissacrata, non ancora inquinata dalla spudoratezza della trasgressione ancorché dibattuta in una vulnerabile provvisorietà tipica di chi, immerso nella precarietà e nell’instabilità, cerca con disperazione, ma con fisiologica e proficua disperazione, una propria identità. Divenire se stessi, individuarsi, non significa tradurre le pulsioni in creazioni ma solamente accogliere il cambiamento, senza però dimenticare che ogni volta che lo si accoglie si socchiude una porta, una porta dietro la quale si aggirano la violenza dell’indifferenziato e la prepotenza del caos. Oggi gli adulti sembrano paralizzati di fronte alla sfida esistenziale lanciata dalla fragilità dei preadolescenti e per affrontarla stanno mettendo in atto un atteggiamento critico spietato e svalorizzante, o forse solo invidioso. Ma può essere utile ricordare che la fragilità è anche la caratteristica di ciò che è prezioso, delicato e unico.

dott. Filippo Nicolini, psicologo e psicoterapeuta area sessuologia clinica

 

 

Il pericolo davanti a uno schermo


I preadolescenti sono sempre più autonomi, sempre più dipendenti da Internet, assumono con crescente incoscienza atteggiamenti rischiosi e si fidano sempre di meno degli adulti, in particolare dei genitori. A segnalarlo è un’indagine della Società Italiana di Pediatria condotta su un campione di oltre 1.300 studenti delle scuole medie inferiori.

I dati emersi fanno riflettere: il 97% ha un computer in casa, di cui il 54% nella propria stanza, il 51% si collega tutti i giorni al web, spesso la sera tardi prima di addormentarsi e quasi il 20% rimane in rete per più di tre ore al giorno. I ragazzi sono anche disponibili a fornire con leggerezza il proprio numero di telefono, a scambiare foto, anche di esplicito contenuto sessuale, accettano proposte di sesso on line e incontri con persone sconosciute con sempre maggior disinvoltura.

La ricerca rileva anche che il 64% del campione ha ammesso di aver avuto comportamenti a rischio come fumare canne, ubriacarsi, rubare, guidare senza casco e sottolinea come i comportamenti devianti aumentino proporzionalmente al tempo passato davanti ad uno schermo. Forse questi ragazzini cominciano ad essere un po’ troppo in balia di se stessi.



In collaborazione con Help!


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