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Jeremy Bishop

Ambiente: l’inquinamento acustico subacqueo

 |  redazionehelp

Mentre l’inquinamento acustico ai danni della specie umana è ormai assodato e regolamentato dalla specifica Legge 447/95, quello dell’inquinamento acustico subacqueo è un fenomeno che, usando un gioco di parole, sembra essere venuto a galla solo di recente. A farne le spese è tutta la fauna subacquea, pesci compresi. Nonostante il detto “muto come un pesce”, infatti, potrà stupire scoprire che i pesci parlano e comunicano tra loro producendo, come molti animali terrestri, le cosiddette vocalizzazioni. Si tratta di suoni intenzionali utilizzati per vari scopi, dal contesto riproduttivo ai segnali d’allarme per la difesa e la delimitazione del proprio territorio.


Ma come vengono prodotti questi suoni? Ecco alcuni esempi. Possono essere ottenuti per sfregamento di parti scheletriche del corpo, come le spine dorsali del pesce gatto dalle quali si ottiene un suono stridulo, per contrazione dei muscoli associati alle pareti della vescica natatoria, o attraverso la variazione della velocità e direzione del nuoto (suoni idrodinamici). E se da un lato l’uso del suono porta con sé tutti i vantaggi legati alla comunicazione acustica – ampio raggio d’azione, alta velocità di trasmissione anche in condizioni di scarsa visibilità – lo stesso vale per i suoi svantaggi: il segnale deve essere reiterato più volte perché si dissipa facilmente, senza dimenticare che chi emette il suono consuma molta energia e diventa facilmente localizzabile da eventuali predatori.
Cosa c’entra tutto questo con l’inquinamento acustico? “Ogni animale – ha spiegato la ricercatrice Linda Sebastianutto in occasione di uno degli aperitivi scientifici organizzati dalla Sissa al bar Knulp di Trieste – è sensibile ad un particolare intervallo di frequenze. La maggior parte delle specie ittiche percepisce le frequenze fino a 2.000 Hz (mentre l’uomo sente quelle comprese tra i 20 e i 20.000 Hz, ndr). Negli ultimi decenni la popolazione umana è aumentata tantissimo, di conseguenza pure le forme di rumore da essa prodotte, anche nel mare”. Più rumori ci sono, più si mascherano le frequenze importanti per la fauna marina. I loro effetti, oltre alla mancata comunicazione, possono essere i più vari, dall’aumento degli ormoni causato dallo stress (come nel caso del branzino) ai mutamenti comportamentali (vedi l’abbandono del nido con le uova lasciandole alla mercé dei predatori). “Per riuscire a comunicare – ha sottolineato la Sebastianutto – nonostante il rumore di fondo, molte specie di uccelli e mammiferi sono costretti ad aumentare l’intensità dei propri suoni, con grande consumo di ossigeno e dispendio energetico. Non si sa, però, se anche i pesci utilizzino questo tipo di meccanismo per far fronte al problema”.
Di fronte a questa situazione non è stato fatto molto, soprattutto per la mancanza del presupposto iniziale: l’ammissione da parte della comunità e delle istituzioni dell’esistenza del problema. “Tuttavia – ha commentato la ricercatrice – va anche detto che qualcosa si sta muovendo: dal 2008, ad esempio, è in corso di attuazione da parte dell’Unione europea una direttiva (la Marine Strategy Framework Directive) che ha lo scopo di raggiungere nei mari europei un “buon stato di salute ambientale” entro il 2020 e che prende in considerazione anche l’inquinamento acustico subacqueo. A livello locale, grazie al finanziamento della Cassa di Risparmio di Gorizia, è stato attivato il progetto “Sordo come un pesce”, in collaborazione con la Riserva di Miramare e l’Università degli Studi di Trieste, per studiare il clima acustico sottomarino e censire le barche nella provincia di Gorizia”.
Qualche timido accorgimento per limitare l’inquinamento acustico nel mare, tuttavia, esiste già: ad esempio, durante i lavori di costruzione in cui si devono piantare dei piloni sul fondo marino, vengono realizzate delle cortine di bolle d’aria (“bubble curtains”) attorno ai pali che si stanno piantando per ridurre il rumore prodotto durante l’operazione. Accorgimenti, questi, possibili solo se la produzione di inquinamento acustico avviene in un luogo circoscritto, cosa che nella stragrande maggioranza delle attività marittime è assai difficile. Eppure anche in questo caso qualcosa sembra muoversi: negli Usa si è infatti iniziato a progettare e produrre motori per barche che riducono il livello di rumore prodotto. Iniziative che potrebbero spianare la strada a un nuovo mercato più sensibile alle tematiche ambientali.
Corinna Opara


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