Astrobiologia: perché c’è vita sulla Terra?
Il fascino immanente dell’ignoto spinge costantemente l’uomo, che ha una forte ansia conoscitiva, a chiedersi come e perché è nata la vita sul nostro pianeta.
Gli interrogativi senza risposta sono ancora tanti, ma le conoscenze attuali non sono tali da comprendere ragioni tanto complesse e le risposte, parziali ma suggestive, sono frammenti di conoscenze interdisciplinari che cercano di comporre l’affascinante puzzle universale: fisico, biologico, astronomico. L’universo che ognuno di noi può immaginare o apprendere, al cui fascino cede e nel quale si concede di credere, è un riflesso della propria “fede”, laica o religiosa che sia. Per alcuni quest’ansia conoscitiva diventa studio, ricerca scientifica, passione folgorante e di tutta una vita.
Il Terzo workshop della Società italiana di Astrobiologia, organizzato congiuntamente con l’Inaf Osservatorio astronomico di Trieste, è stato ospitato quest’anno nel castello di Duino il 26, 27 e 28 maggio scorso. Lo scopo di questo convegno, non disatteso, era quello di stimolare collaborazioni interdisciplinari tra biologi, astronomi e geologi accomunati dall’interesse per l’astrobiologia, la scienza che studia l’origine, l’evoluzione e la distribuzione della vita nell’Universo. Quattro le sessioni tematiche attraverso le quali si è sviluppato il programma: “Il mondo prebiotico”, “L’origine e l’evoluzione della vita sulla Terra”, “Habitat estremi, biomarcatori e vita nel sistema solare”, “Abitabilità e biomarcatori al di fuori del Sistema Solare”. Nell’ambito del convegno non si è rinunciato, come da tradizione, a un momento d’incontro con il grande pubblico. Al teatro Miela di Trieste tre scienziati italiani presenti al convegno e diventati famosi all’estero – Daniel Segrè Sandra Pizzarello e Giovanna Tinetti – hanno partecipato alla discussione pubblica dal titolo “Le strategie della vita” e realizzata in collaborazione con l’Immaginario Scientifico, per presentare, insieme al coordinatore Fabio Pagan, alcune delle tematiche più significative negli studi di astrobiologia.
Daniel Segrè è un fisico triestino che si occupa di simulazioni al computer delle molecole primordiali al Dipartimento di Ingegneria Biomedica della Boston University. “Senza utilizzare la chimica, ma attraverso modelli matematici – ha affermato Segrè – possiamo conoscere come si sono organizzate molte delle reti metaboliche primitive fino alle circa 800 attualmente conosciute. Usiamo l’algebra per indagare il mistero della vita, per vagliare le innumerevoli possibilità con cui le molecole primordiali si sono legate fra loro e a quali prodotti abbiano dato origine. Per verificare le ipotesi di come i microbi sono passati da forme singole a ecosistemi coloniali. O analizzare i lipidi, ad esempio, molecole che in ambiente acquoso tendono a creare micelle, piccole sfere che si separano dal resto, come bolle di sapone. È probabile che queste abbiano costituito gli involucri per la vita primordiale, e che la molecola starter sia stata quella di Rna con funzione di catalizzatore. Come questa molecola di Rna si sia formata non è ancora dato a sapere”.
Sandra Pizzarello è la “signora delle meteoriti”. Professore emerito dell’Arizona State University, a Tempe negli Stati Uniti, guida alcune delle ricerche di laboratorio più affascinanti della scienza, quelle legate all’origine della vita. I meteoriti, frammenti rocciosi o metallici che cadono dal cielo sono il suo mondo. “Non conosciamo l’origine della vita – ha chiarito con disarmante franchezza nell’irresistibile inflessione italoamericana – e per formulare ipotesi credibili osserviamo il materiale che recuperiamo dai meteoriti. Questi frammenti provengono dagli asteroidi (orbitanti fra Sole e Marte) e quindi si possono considerare “pianeti abortiti”. Formati da un materiale primitivo, non si sono aggregati e sono quindi ideali per studiare l’evoluzione chimica e quella biologica e per verificare se questi due sistemi evolutivi si sono incontrati e complessati”. “Ancora non sappiamo esattamente dove e come la scintilla biologica è scoccata – ha proseguito la scienziata che ha poi raccontato alcuni dettagli dei risultati emersi dallo studio dei frammenti del meteorite di Murchison caduto in Australia e da altri raccolti in Antartide – ma le prove che raccogliamo fanno sempre più pensare che dallo spazio ci siano giunti “i semi primordiali”. All’interno dei meteoriti abbiamo trovato amminoacidi proteinogenici, molecole che rappresentano i mattoni fondamentali della vita e dotate di una struttura analoga alle biomolecole terrestri”.
Tra i diversi composti che si trovano nei meteoriti, l’attenzione degli studiosi si è focalizzata in particolare su alcuni amminoacidi che hanno controparti identiche nelle biomolecole terrestri e nella loro chiralità. Quando si sintetizzano queste molecole in laboratorio, metà finiscono per essere sinistrorse (tipo L) e metà destrorse (tipo D). Ma gli amminoacidi, i mattoni elementari delle proteine terrestri, sono tutti sinistrorsi, contrariamente alle molecole di Dna e di Rna che sono destrorse. Anni fa la Pizzarello e altri colleghi analizzarono gli amminoacidi estratti dal meteorite di Murchison, che cadde in Australia nel 1969. Tali campioni mostravano una preponderanza di molecole sinistrorse. I materiali organici rappresentavano frammenti di asteroidi all’incirca della stessa età del sistema solare (circa 4,5 miliardi di anni). “Grazie alla natura assolutamente incontaminata di questo meteorite, siamo stati in grado – ha sostenuto la Pizzarello – di dimostrare che altri amminoacidi di provenienza extraterrestre hanno una sovrabbondanza di molecole sinistrorse e possiamo ipotizzare che i loro precursori siano caratterizzati dalla stessa peculiarità. In altre parole, una “prova” molecolare che dimostra come la vita possa avere una notevole diffusione nel cosmo”.
Una straordinaria storia la sua, esempio di conciliazione fra lavoro e famiglia, di pari opportunità di genere, di riconoscimento della competenza nella ricerca scientifica. Incominciata quarant’anni fa, dopo la laurea in Scienze biologiche all’Università di Padova con una tesi sulla vitamina E, quando entra nei laboratori della Farmitalia a Milano. Era il 1955 e lei sceglie di fare la mamma e la moglie a tempo pieno. Il marito, scienziato dei computer, esperto di software, ha l’opportunità di andare negli Stati Uniti. Sandra Pizzarello lo segue e cresciuti i figli si guarda intorno: “Mi aveva sempre affascinato – ha riferito – la ricerca e all’Università dell’Arizona ho cercato finalmente di materializzare il sogno. Ho scelto gli argomenti meno esplorati, con meno letteratura disponibile. In quegli anni si iniziavano le prime ricerche sui meteoriti in connessione con le missioni lunari degli astronauti. Mi ci tuffai anch’io e da allora i miei studi sono finanziati dalla Nasa. Tornare all’università e fare ricerca, dopo 15 anni di intervallo, in Italia sarebbe stato impossibile. L’America offriva e offre questo”. “Credo – ha tirato le somme enfaticamente la Pizzarello – che su questo in Italia ci si debba interrogare e riflettere”.
Dalla “signora dei meteoriti” a Giovanna Tinetti, giovane astrofisica dell’University College di Londra, alla quale si devono le indagini più avanzate sulle atmosfere di pianeti extrasolari. Si era appena laureata in Fisica a Torino studiando l’infinitamente piccolo, le particelle atomiche, quando Michel Mayor dall’Osservatorio di Ginevra individuava in cielo il primo pianeta orbitante attorno ad un’altra stella, la 51 Pegasi. “La notizia suonò per me come una folgorazione – ha rivelato la Tinetti – e da allora la mia scienza e il mio interesse sono dedicati solo a questi mondi lontani, non solo per trovarne di nuovi ma per vedere come sono fatti, che cosa nascondono e, soprattutto, se ci possono essere tracce di vita”. A caccia di “altri” pianeti, extrasolari: il primo di una lunga serie che ne conta attualmente ben 450, è stato il 51 Pegasi b, che orbita vicinissimo alla propria “stella” 51 Pegasi. La loro esistenza si coglie indirettamente, analizzando le anomalie del comportamento della stella madre oppure le variazioni luminose della stessa stella.
La biografia della giovane astrofisica testimonia di come il cambio di vita personale, di interesse scientifico, offra inaspettate possibilità e prospettive affascinanti. La caccia al possibile gemello della Terra è ormai una contagiosa sfida per gli astronomi di tutta la Terra. Ma è ancora un’ardua impresa perché nessun telescopio terrestre o spaziale riesce a fotografare questi corpi troppo lontani per le capacità umane. Forse sarà il telescopio spaziale James Webb, al quale sta collaborando, a offrire la possibilità di una vera rivoluzione perché il suo occhio sarà in grado di avvistare pianeti sempre più lontani. Quando questi argomenti, oltre al fascino delle ipotesi, avranno le straordinarie risposte delle ricerche, il sogno, la speranza, l’aspirazione di essere “figli delle stelle” troveranno conferme credibili.
> Nuove prospettive per la scienza astronomica
A partire dal 1859, anno in cui Darwin pubblicò “L’origine delle specie”, fino ad oggi la biologia ha progredito con passi da gigante che hanno portato a scoprire la struttura del Dna, a decifrare il codice genetico e a sequenziare il genoma di decine di organismi animali e vegetali. Tuttavia, non conoscendo pianeti che ospitino forme di vita oltre la Terra, la nostra percezione delle scienze della vita è rimasta sostanzialmente precopernicana: la Terra è ancora al centro dell’universo biologico quattro secoli dopo che il nostro pianeta è stato rimosso dal centro dell’universo astronomico. Il bisogno di porre le scienze della vita in una prospettiva più ampia è sempre più sentito nella comunità scientifica. È tempo, insomma, affinché Darwin e Copernico si incontrino.
È con questo spirito multidisciplinare che è stato pensato il convegno realizzato al castello di Duino, appoggiandosi su una rete di relazioni tra ricercatori italiani di diverse estrazioni scientifiche, consolidata grazie al lavoro sinora svolto dalla Società italiana di Astrobiologia. “Abbiamo voluto fortemente che questo convegno si tenesse nella nostra città – spiega Giovanni Vladilo, astronomo associato all’Osservatorio astronomico di Trieste e uno degli organizzatori dell’evento – perché l’area scientifica di Trieste possiede un notevole potenziale per questo tipo di studi, grazie alla presenza di istituzioni scientifiche che coprono tutte le aree di interesse astrobiologico. Nel proporre Trieste abbiamo anche voluto fare un omaggio alle precedenti esperienze portate avanti dal Centro Internazionale di Fisica Teorica di Miramare (ICTP), testimoniate dalla serie di sette conferenze sull’evoluzione chimica e l’origine della vita tenutesi tra il 1992 e il 2003. Infine volevamo richiamare l’attenzione dei ricercatori degli enti cittadini su nuove possibilità di collaborazioni stimolate da tematiche di ricerca che si stanno aprendo strada nel mondo della ricerca astrobiologica”.
Per quel che concerne l’astronomia nuove ricerche con forti ricadute astrobiologiche si stanno affacciando a livello internazionale e anche in Italia. “Sono quelle – precisa Vladilo – che riguardano i pianeti extrasolari (esopianeti), ovverosia i pianeti trovati attorno ad altre stelle. I progressi nelle tecnologie osservative astronomiche ci permetteranno probabilmente a breve di scoprire esopianeti simili alla Terra. Studi di astronomia, geologia e climatologia planetaria ci aiuteranno poi a stabilire se tali pianeti siano abitabili o meno”. “Infine – conclude – in un futuro non molto lontano ci auspichiamo di riuscire a caratterizzare le atmosfere di tali pianeti per cercare evidenze indirette di presenza di vita”.
Ignazia Zanzi
BOX: Pillole di scienza: la chiralità
Uno dei tanti misteri della biochimica terrestre riguarda la chiralità degli aminoacidi e degli zuccheri presenti nel Dna (acido desossiribonucleico) e nel Rna (acido ribonucleico). Per chiralità in chimica si intende la proprietà del carbonio che permette la formazione di due strutture di composizione chimica identica: una struttura è l’immagine speculare dell’altra, così come la mano sinistra lo è della mano destra. Mentre gli zuccheri presenti nel Dna e Rna terrestri sono di tipo D, gli aminoacidi che formano le proteine sono solo di tipo L.
L’enigma sta nel fatto che sia gli zuccheri che gli aminoacidi sono molecole chirali, cioè molecole che possono esistere nelle due forme speculari, eppure sul nostro pianeta ciò non avviene e nessun biochimico è in grado di dare una giustificazione soddisfacente. Nei meteoriti di Murchison e di Allende sono stati scoperti una sessantina di aminoacidi extraterrestri di tipo sia D che L. Anche nelle stratificazioni geologiche risalenti alla transizione Cretaceo/Terziario sono stati scoperti aminoacidi extraterrestri importati probabilmente da comete o meteoriti.
Il chimico californiano William Bonner, uno dei maggiori esperti di chiralità, ha cercato di spiegare la omochiralità terrestre con una suggestiva ipotesi astrofisica. La luce circolarmente polarizzata avrebbe distrutto in modo selettivo molecole di tipo L, risparmiando quelle di tipo D (o viceversa). Questo potrebbe spiegare l’anomala chiralità terrestre: sembra che nel meteorite di Murchison vi sia un eccesso significativo di aminoacidi di tipo L, forse dovuto a un lontano incontro con una stella a neutroni. Poiché finora nessuno ha potuto osservare luce ultravioletta circolarmente polarizzata proveniente da una pulsar, questa teoria è difficile da verificare.