Piazza Tiananmen: quando la storia non insegna nulla
Volendosi soffermare sulla “logica” di questo regime ancora oggi saldamente ancorato ai principi più dogmatici di un comunismo chiuso ad ogni apertura verso i concetti di democrazia, non si può che constatare come lo stesso reputi i fatti di vent’anni or sono assolutamente “legittimi” ed “opportuni”, avallandoli di fatto con la rituale ferrea cortina di silenzio e negazione assoluta che fa da corollario ad ogni anniversario dei fatti.
La “normalizzazione” tanto cara al regime cinese, oggi dà già i suoi frutti in quanto le nuove generazioni, succedutesi ai fatti riportati, letteralmente nulla sanno di quell’epoca e conseguenzialmente non palesano alcuna necessità di sapere o peggio ricordare, quindi… il gioco è fatto e la quadratura del cerchio è per i burocrati cinesi cosa assodata!
Vi è da chiedersi chi siano realmente questi burocrati, e la risposta è altrettanto tragica: sono in parte i “figli” di coloro i quali a suo tempo ordinarono la strage, ma in parte sono ancora gli stessi protagonisti di allora ed entrambi oggi partecipano “convintamente” alla promozione del loro Paese per un inserimento nella globalizzazione dalla quale non desiderano essere esclusi, ma, si badi bene, tempi, modalità e “prezzo” di tale inserimento (lo hanno fatto intendere ripetutamente), lo decidono loro e solo loro!
Un esempio? I giochi olimpici di Pechino! È risaputo come la scelta di Pechino come sede olimpica è stata a suo tempo non facile in quanto oggetto di riserve forti e motivate da parte di un nutrito numero di Paesi del nostro pianeta, Paesi – si noti bene – di etnia, cultura ed opinioni politiche diversificate, ma unite da un comune sentire per quanto attiene la vera libertà che si deve concedere ad un Paese qualora si voglia considerare veramente moderno ed al passo con i tempi. Ciò non di meno le famose “ragioni di opportunità” (politiche ed economiche) indussero a suo tempo gli organizzatori a concedere alla Cina questa chance irripetibile di palesarsi a tutto il mondo.
Da un punto di vista diplomatico l’Occidente auspicò e sperò (fortemente) che la nomina a favore di Pechino inducesse la Cina a rivedere le sue posizioni dogmatiche ferree per quanto attiene le libertà fondamentali per l’uomo ed in tal senso qualche timido segno di apertura ci fu. Ma è ben vero che oltre questo non si andò, per cui – è un ricordo comune – la partecipazione corale di tutti i Paesi del mondo accreditati ai giochi olimpici cinesi fu messa in discussione fino all’ultimo e da parte nostra si auspicò, con non poco fervore, che prevalesse l’astensionismo, unico segno forte che avrebbe dovuto far intendere al regime cinese come non si fosse “gradito” l’aver omesso quelle aperture minimali verso i diritti della persona violati.
Ma nulla di fatto! Interessi economici, politici e di rapporti internazionali sempre e comunque tesi ad esternare aperture e cointeressenze prevalenti su ogni altra esigenza di carattere etico, morale e sociale, hanno prodotto ciò che si temeva: la Cina ha ottenuto la sua visibilità mondiale, si è palesata con una opulenza ed una grandiosità da regime, volendo dare di sé un’immagine di coesione sociale e di “letizia” senza però concedere concretamente alcunché all’Occidente per quanto riguarda – si ribadisce – i diritti fondamentali per l’uomo, che hanno continuato ad essere quelli di sempre, caratterizzati da un’unica costante: la loro sistematica negazione, scandita fra l’altro da esecuzioni capitali spesso platealmente pubbliche (degne del Medioevo più oscuro), scadenzate nel tempo con precisione notarile.
Qualora l’Occidente potesse porsi il quesito se l’operazione “giochi olimpici” è valsa la pena, la risposta avulsa da ogni logica di opportunità non potrebbe essere che negativa, prevalendo – al contrario – la logica dell’opportunismo che ne evidenzia sempre e comunque la positività secondo un principio utilitaristico vecchio come il mondo: se il tuo nemico non lo puoi battere, blandiscilo!
Mr Cljmax