General Motors verso il fallimento. Una crisi che somiglia sempre più a un'economia di guerra
La General Motors (che in Europa è conosciuta con il marchio Opel) ha messo le mani avanti, preparando dipendenti e fornitori al peggio: l'ipotesi di fallimento è ormai a portata di mano.
In una nota, la più grande casa automobilistica americana scrive: "La nostra società indipendente di revisione contabile ha presentato un parere sui nostri bilanci consolidati dove attesta che gli stessi bilanci sono stati preparati sulla base del presupposto della nostra continuità aziendale", ma "indica inoltre che le nostre continue perdite operative, il depauperamento del capitale e l'incapacità di generare sufficiente flusso di cassa per far fronte ai nostri obblighi sollevano dubbi sostanziali sulla nostra capacità di garantire la continuità aziendale". "Se non riusciremo ad applicare con successo il nostro piano di rilancio, potremmo non essere in grado di garantire la continuità aziendale e potremmo essere costretti a chiedere la protezione dai creditori in base al codice fallimentare americano".
E' la dichiarazione che tra pochi giorni, massimo qualche settimana, a meno che non succedano fatti clamorosi (di cui accenneremo in seguito) la General Motors si preparerà al fallimento. Centinaia di stabilimenti in tutto il mondo, migliaia di concessionarie, centinaia di migliaia di occupati tra impiegati, manager, venditori e soprattutto operai ma anche milioni di posti di lavoro a rischio nell'indotto sono alcuni dei numeri che un eventuale cataclisma fallimentare provocherà su scala mondiale.
Secondo le stime, soltanto in Europa andrebbero persi complessivamente, includendo l'indotto, oltre 400mila posti di lavoro, concentrati prevalentemente in Germania e Inghilterra, ma tra cui oltre il 10% nella sola Italia. Ecco allora rincorrere ipotesi di salvataggio per il gruppo automobilistico. La più verosimile vede l'intervento nientemeno che del Governo inglese: la Gm avrebbe intenzione di chiedere circa 500 milioni di euro (440 milioni di sterline) in cambio di una partecipazione nel suo capitale azionario.
Dal punto di vista prettamente economico si tratterebbe di una goccia nell'Oceano, sufficiente forse a dilatare di poche settimane ancora i tempi del fallimento, perché si pensi che nel solo 2008 GM ha perso 30,9 miliardi di dollari. Una cifra stratosferica, oltre 15 volte più elevata della presunta partecipazione del governo inglese.
Insomma, pare che negli Stati Uniti la crisi finanziaria iniziata con il crack di Lehman Brothers sia destinata a fare ancora sfracelli. Cosa resterà al termine di questa tempesta economica? Poco, molto poco. Sarà come dover affrontare la fine di una guerra del '900 senza però rimettere in moto l'economia soprattutto grazie alle ricostruzioni edilizie e alle conversioni delle industrie belliche. Le fabbriche, tante fabbriche, usciranno dal 2010 (forse l'ultimo anno della crisi più profonda) vuote, senza più il capitale umano specializzato e dall'altissimo valore che il sistema ha formato nel corso degli ultimi 50 anni, con macchinari obsoleti e non funzionanti.
Forse però a quel punto sarà finalmente arrivato il momento di veder investire risorse in nuove tecnologie, in motori puliti, in energia rinnovabile gratuita o quasi: perché la colpa principale della crisi del settore automobilistico è proprio delle case automobilistiche che non hanno voluto investire già 10 anni fa, ad esempio, nei motori a idrogeno, consentendo - in plateale combutta con le compagnie petrolifere - che i cittadini fossero dissanguati ogni volta che dovevano fare il pieno.
La notte è più buia subito prima dell'alba. L'importante sarà arrivarci.