Politica estera: non solo pacche sulle spalle
Com’è noto, gli osservatori in perenne vena di snobismo e/o sbeffeggio sostengono che la politica estera dell’attuale governo riflette inevitabilmente l’anima del suo capo assoluto, riproducendone con fedeltà i più riconoscibili tratti di stile: pacche sulle spalle, barzellette e battutacce da villaggio vacanze, con la recente conferma (da brividi) dell’abbronzato affibbiato a Obama. Il tutto a dare corpo a una politica estera abborracciata, senza vera bussola, anzi tesa costitutivamente a perpetuare la leggenda dell’Italietta opportunista e banderuola, pronta a buttarsi tra le braccia ora degli Usa ora della Russia, purché qualcosa alla fine si mangi. L’inconsistenza, la goffaggine, il velleitarismo insiti nella politica di “impotenza” berlusconiana risulteranno particolarmente visibili proprio adesso – così si vocifera e neanche troppo sotto sotto si spera negli ambienti collegati all’opposizione – ora che gli “amici” Bush e Putin hanno abbandonato la scena o quantomeno non recitano più la parte di immediati interlocutori nel reticolo delle relazioni internazionali.
A favore della posizione italiana ci sono però almeno tre elementi, corrispondenti al ruolo giocato dal Paese su tre scenari di crisi che stanno molto a cuore sia a Washington che a Mosca. Questi tre scenari sono il Medio Oriente, l’Iran e l’Afghanistan.
Per quanto riguarda il primo, con la nuova maggioranza l’Italia è tornata nel club dei Paesi convintamente sostenitori d’Israele, dopo le audaci giravolte filo-Hamas cui ci aveva abituati l’ex ministro degli Esteri D’Alema: questo dovrebbe provocare una reazione di simpatia nella nuova amministrazione Obama, che in campagna elettorale ha fatto sapere chiaro e tondo il suo futuro appoggio allo Stato israeliano. D’altra parte è pure vero che la Farnesina non ha cessato di muoversi con prudenza e sagacia sul fronte arabo, e in più va ricordata la persistente presenza militare italiana in Libano, che porta il nostro Paese a essere il punto di riferimento internazionale in quell’area perennemente calda del Mediterraneo.
Proprio l’Iran sta a evidenziare l’equilibrismo del governo italiano, che pur nella ferma condanna dei piani di sviluppo nucleare portati avanti da Ahmadinejad, continua a intrecciare con questo Paese proficui legami commerciali, già tradizionalmente molto saldi. Ciò non ha impedito all’Italia di ricevere un pubblico apprezzamento dal nuovo presidente americano per la durezza con cui il governo Berlusconi ha giudicato i programmi iraniani di riarmo nucleare, il che a Roma è stato interpretato con qualche forzatura come una implicita sconfessione dell’impostazione che il governo Prodi aveva dato del problema. L’equilibrismo potrebbe rivelarsi molto prezioso appena Obama prenderà le prime misure nei confronti di Teheran (e non è affatto detto che il cambio di presidenza comporti un ammorbidirsi dell’atteggiamento Usa), e un confronto diplomatico con la Russia non potrà più essere rimandato: a quel punto l’Italia potrebbe apparire come un mediatore ideale tra le istanze incrociate dei due giganti mondiali e dell’Iran.
Capitolo Afghanistan. È ormai risaputo che Obama intende trasferire su questo fronte le forze raccolte grazie al parallelo disimpegno dall’Iraq, e appare quasi scontato che richiederà un incremento degli sforzi da parte degli alleati, tra cui l’Italia. Berlusconi ha sempre insistito perché gli Usa e la Russia avviassero un dialogo intorno alla politica da attuare da adesso in poi in Afghanistan, ed è quanto sta effettivamente avvenendo in questi ultimi mesi. Malgrado a uno sguardo lucido non possa non sembrare piuttosto illusorio che questo riavvicinamento sia frutto diretto dell’intervento del Cavaliere, resta la prova che l’Italia si sta proponendo come un interlocutore ricercato e intelligente anche per questo delicatissimo teatro.
Piuttosto, sarà curioso osservare quale linea prenderanno i super obamiani del Pd al momento in cui all’Italia verrà domandato di inviare più soldati in Afghanistan. Un appoggio del partito di Veltroni all’azione del governo potrebbe determinare un fatto praticamente inedito nella storia italiana, e cioè l’emergere di una politica estera finalmente condivisa nelle sue tracce fondamentali dalla maggioranza e dall’opposizione.
Patrick Karlsen